Franklin: recensione della serie TV Netflix
La nuova serie targata Netflix è una produzione libanese
Il 15 maggio 2025 è arrivata su Netflix la miniserie thriller Franklin, creata da Husain El-Minbawi. Girata in Libano, la serie TV è stata realizzata con l’intento di avere disponibili più prodotti originali Netflix in lingua araba, dopo il successo internazionale di titoli come The Exchange, che nel 2025 si è aggiunta di una seconda stagione.
La trama segue le vicende di Adam (Mohamad Al-Ahmad), un falsario che vuole creare la banconota da 100 dollari perfetta. Con una figlia gravemente malata e il padre, Mounir, in fin di vita, Adam si vede costretto a ritornare a una vita di criminalità per rimediare i soldi per le cure. Ma quando una sua vecchia fiamma, Yulia (Daniella Rahme), torna dal passato, le cose precipitano.

Franklin: una Casa di Carta un po’ troppo soap
Benjamin Franklin è il volto sulla banconota da 100 dollari americani. Franklin era però anche un inventore e lui stesso creò una cartamoneta composta da fili blu e un materiale riflettente, talmente avanzata da essere considerata a prova di falsario. Quale nome più adatto quindi per la storia di un falsario che ha un obiettivo così ambizioso? L’idea alla base della serie promette intrighi, azione e colpi di scena: la polizia sta cercando chi crea banconote così perfette; allo stesso tempo un malavitoso (che scopriamo essere il padre di Yulia) è implicato in una faida con lo stesso padre di Adam; infine, Adam è costretto a collaborare con un pericoloso boss criminale. Tanta carne al fuoco dunque, che avrebbe potuto portare a un prodotto non profondo ma avvincente. Purtroppo, l’esecuzione mostra non poche falle.

Innanzitutto, per costruire una trama di genere heist seguendo la scia de La Casa di Carta, prodotto che più si avvicina a quelli che sembrano gli intenti della serie, è necessaria una ferrea sceneggiatura e un ensemble di personaggi forti e memorabili, che qui non troviamo. I dialoghi mancano di originalità e le situazioni sono estremamente confuse, forse colpa anche di un montaggio approssimativo, per cui lo spettatore, per quanto riesca a seguire (e anticipare) la principale linea narrativa, è spesso perso circa gli specifici passaggi da un plot point a un altro. Inoltre, la premessa thriller viene continuamente intrecciata con la sfera personale e famigliare del protagonista, che diventa la parte più prominente: abbinata a una musica enfatica e a una recitazione poco espressiva, Franklin ha quindi più elementi in comune con le soap opera che con le produzioni originali Netflix a cui siamo abituati.
Franklin: valutazione e conclusione

Nonostante il ritmo difficoltosamente scandito, dato dall’assenza di una vera chiarezza di montaggio che porti a distinguere le scene in nuclei a sè stanti, Franklin è adatta a chi vuole comunque una serie godibile senza che necessiti di grandissima concentrazione. Alcuni punti della trama sono inaspettati e tengono viva l’attenzione (ad esempio il finale incredibilmente tragico), e gli si possono riconoscere ambizione e impegno. La fotografia, diretta da Quim Michel, è sicuramente uno dei punti di forza, con chiaroscuri efficaci ed eleganti, che vanno ad elevare il prodotto. Colonna sonora, recitazione e montaggio invece sono gli elementi più deboli.
Una piccola nota di colore: in alcuni flashback, i protagonisti parlano in italiano, e l’unica canzone presente nella colonna sonora altrimenti strumentale (musicata da Ashraf Elziftawi) è italiana.