Eddington: recensione del film di Ari Aster da Cannes 2025

Ari Aster esordisce nel mondo festivaliero che conta con il suo quarto lungometraggio da regista.

Ari Aster è ormai senza alcun dubbio uno degli autori più importanti e attesi del panorama internazionale, e questa è una grande notizia soprattutto per il cinema di genere, che sta finalmente ottenendo i meritati riconoscimenti di pubblico e la giusta attenzione mediatica. Si tratta naturalmente del genere horror, ma Aster – così come i suoi colleghi di atmosfera (Peele ed Eggers su tutti) – è riuscito anche ad uscire dai confini della definizione e del canovaccio classici dei film dell’orrore. Eddington ne è la conferma definitiva: un film ibrido e bulimico, sconclusionato e destabilizzante, sulla scia del suo precedente Beau ha paura, che può contare su un cast stellare – Joaquin Phoenix, Emma Stone, Pedro Pascal, Austin Butler – capace di attrarre anche chi abitualmente non frequenta questo tipo di cinema.

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Il 2020 di Eddington: Beau ha ancora paura

Dopo la parentesi delirante e paranoica di Beau ha paura, Aster riprende il filo del discorso a cominciare dal protagonista Phoenix, che si trova ad interpretare un altro personaggio straniante, deviato e vittima degli eventi – qui anche artefice, ma solo in parte e apparentemente. Il centro del racconto è sempre la rappresentazione della follia collettiva e degli effetti della contemporaneità – con uno sguardo particolare verso gli Stati Uniti d’America, che si estende inevitabilmente al mondo intero. Stavolta lo spazio e il tempo narrativi sono ancora più familiari: siamo nel 2020 del Covid e delle rivolte antirazziali provocate dal caso George Floyd.
Lo straniamento e il grottesco da commedia nera che si respirano in Eddington rappresentano un’ulteriore evoluzione stilistica del suo regista e sembrano quasi andare nella direzione del cinema di Yorgos Lanthimos. Non è un caso, a questo punto, che il prossimo lavoro di Lanthimos sia prodotto dallo stesso Aster e che, in questo film, il personaggio di Emma Stone sia molto simile a quelli che finora le ha cucito addosso il regista greco. Emerge con forza l’affinità tra i due cineasti nel mettere in scena il caos del mondo contemporaneo attraverso la decomposizione della struttura fisica – i corpi, gli oggetti – e la frammentazione di quella narrativa.

Sbagliare non è mai sbagliato

Ari Aster ha dichiarato che dai film precedenti vuole imparare a non sbagliare, ma di Beau ha paura corregge solo gli estremismi che risultavano incompatibili con un pubblico più ampio. Eddington è un esperimento altrettanto rischioso, ugualmente libero. Prende strade impervie, si sgretola, divide. Un cinema che non vuole piacere è un cinema che palpita scegliendo di non sopravvivere, che supera il proprio tempo e sospende il giudizio mentre lo subisce, che mostra più di quanto voglia mostrare. Chissà se Aster è consapevole del fatto che questo film non parli solo dell’America trumpiana – i critici italiani sicuramente no.
Nell’universo di Eddington tutto è sfumato, specialmente le questioni più delicate: c’è la psicosi di chi indossa la mascherina da solo in macchina o in videochiamata e di chi utilizza la tecnologia come protesi, l’ignoranza di chi invoca la tradizione ma è disposto a credere a qualsiasi teoria che passi in rassegna sullo schermo del cellulare; e poi c’è l’incoerenza di chi protesta armato di hashtag e spogliato del linguaggio – gli antifa diventano terroristi, come in Lanthimos, le vittime sono anche carnefici e viceversa. Come nella sequenza già di culto in cui Phoenix spara all’impazzata mentre gli manca il respiro. Ma in questo caso e in questo Cannes, il cinema respira. E spara fortissimo.

Eddington: valutazione e conclusione

Eddington è un film che già divide e continuerà a farlo, perché non ha paura di sbagliare. Si disintegra per mettere in scena la disgregazione del contemporaneo, ma resta libero pur raccontando l’omologazione.

Regia: 4,5 - 4.5
Sceneggiatura: 4 - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

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