La Rosa Purpurea del Cairo: recensione

Chi di noi non ha mai cercato conforto in un libro, in una semplice canzone o in un film per trovare anche solo un piccolo sollievo in un momento di crisi e di bisogno, una possibilità di alienazione da problemi e turbamenti , una illusoria ma rincuorante evasione nel mondo della fantasia e dei sogni ?

Nel periodo della Grande Depressione, il cinema e la sua capacità di evasione sembrano essere l’unica ancora di salvezza per Cecilia (Mia Farrow), maldestra e sognatrice cameriera, intrappolata in un matrimonio infelice con un uomo infedele e manesco e in una realtà che non la rappresenta ed in cui non si rispecchia. Dopo essere stata licenziata, e in costante precarietà economica, cerca conforto nell’unico luogo in cui si sente davvero se stessa, il piccolo cinema “Gioiello”, dove non fa altro che vedere e rivedere gli stessi film, rapita dalle atmosfere fiabesche, dai preziosi vestiti e dalla bellezza delle dive hollywoodiane. Cecilia  sogna di poter danzare anche lei come Ginger Rogers e Fred Astaire e viene conquistata dalla bellezza di Tom Baxter (Jeff Daniels), “poetico giovane archeologo” protagonista de “La rosa purpurea del Cairo”, un “film d’amore sullo sfondo del mondo” che la appassiona a tal punto che lo stesso protagonista, accorgendosi della sua assidua presenza in sala e invaghitosi di lei, esce fisicamente dallo schermo per incontrarla e per fuggire dalla ossessiva routine di un copione già scritto in cui non vi è nulla di reale, desideroso di “imparare il mondo reale con lei”.

La fuga di Tom dallo schermo getta nella disperazione l’intero cast, che non fa altro che discutere e litigare su chi sia il personaggio principale, la vera star del film, incapace di vivere al di fuori del copione. La mancanza di azione e la petulanza degli attori spazientisce gli spettatori che iniziano a lamentarsi e disertare la sala, provocando una vera e propria crisi nell’industria cinematografica. Nel frattempo Tom sperimenta spensierato il mondo con Cecilia, che via via si innamora di lui, della sua irreale ingenuità, del suo essere semplice frutto di una fantasia, della sua capacità di farle provare sensazioni nuove; Tom rappresenta per lei tutto ciò che non ha mai avuto, ma ha sempre profondamente desiderato. L’ incantesimo viene però rotto da Gil Shepherd, l’attore che interpreta Tom che, intenzionato a salvare la propria carriera dalla rovina, attrae con false lusinghe Cecilia, costringendola a scegliere tra il mondo della perfezione cinematografica rappresentato da Tom, e la prospettiva (illusoria) di una vita insieme ad Hollywood.

Ceclia (Mia Farrow) in una scena del film.

Ceclia (Mia Farrow) in una scena del film.

La rosa purpurea del Cairo (1985), scritto e diretto da Woody Allen, si configura ben presto come una surreale e irrimediabilmente romantica commedia, comica e toccante allo stesso tempo, sul labile confine esistente tra realtà e fantasia e su come questi due universi paralleli sfocino inevitabilmente l’uno nell’altro completandosi a vicenda, rendendo l’opera una profonda e cosciente riflessione metacinematografica sul rapporto tra cinema e realtà, un intimo viaggio all’interno del mondo dei film, tra realtà e finzione, schermo e vita reale.

Magistralmente Allen mostra le due facce dell’esistenza umana, attraverso una complessa e malinconica opera, non priva di sprizzi di comicità e irriverenza, basata sul principio secondo il quale chi appartiene alla realtà sogna il mondo della fantasia, e chi si radica nella fantasia cerca inevitabilmente una fuga, un ancoraggio nella realtà, e, nel caso dell’ingenua protagonista, nel mondo troppo bello per essere vero del cinema. Cecilia, grazie a Tom, ha potuto toccare con mano la vera spensieratezza, l’assoluta felicità, quella piena felicità appagante che sembra esistere solo nell’immaginario infantile e romantico e che si è trasformata per lei, anche se solo per un attimo fugace, in una vera e propria realtà. In fin dei conti, è il sogno di ogni spettatore, di ogni uomo o donna appassionato di cinema, quello di ritrovarsi improvvisamente e inaspettatamente proiettato nell’oggetto della sua visione, nel mondo magico ed incantato della finzione cinematografica, in cui i sogni si realizzano, tra “Drink al Copacabana” e piramidi egizie.

Cecilia (Mia Farrow) e Tom Baxter (Jeff Daniels) in una scena del film.

Cecilia (Mia Farrow) e Tom Baxter (Jeff Daniels) in una scena del film.

Attraverso la fantasiosa (dis)avventura di Cecilia, emerge la naturale necessità che l’uomo ha di illudersi per sopravvivere, e proprio l’illusione e l’immaginazione rappresentano quel mondo salvifico ed incantato in cui rifugiarsi, in cui trovare sollievo e conforto. La rosa purpurea del Cairo risponde perfettamente a questa esigenza; per poco più di un’ora lo spettatore si dimentica completamente di sé, viaggia con la fantasia nel nuovo strabiliante itinerario filmico che il regista ha per lui congeniato.

Ancora una volta Woody Allen rivela la propria capacità di acuto osservatore della natura umana, fino ad esplorarne le più remote profondità, addentrandosi del mondo più onirico e personale del suo animo, portandone cinematograficamente alla luce i sogni, i desideri più intimi e nascosti, rivelando, attraverso un solo, piccolo personaggio e la sua intima e personale storia, la condizione dell’intero genere umano. Obiettivo primario del regista newyorkese è quello di riflettere sulle infinite possibilità del mezzo cinematografico, sulla sua capacità di coinvolgere intimamente lo spettatore, trasponendo nella vita reale i sentimenti e le emozioni che è in grado di veicolare. Il cinema è sogno, fantasia, immaginario ma può contemporaneamente essere realtà: basta credere, lasciarsi trasportare dalle emozioni che solo lo schermo può regalarci.

Ciò che porta lo spettatore ad affascinarsi al mondo del cinema, è la sua capacità di trasportarlo lontano anni luce dal luogo in cui si trova, in universi incantati, esotici, in epoche passate o future, senza che vi sia alcuno spostamento fisico, rimanendo fermi dove si è, viaggiando solo ed esclusivamente con la fantasia. Attraverso La rosa purpurea del Cairo, Allen mostra che il cinema è realtà, è vita.

Cecilia e Tom all'interno dello schermo cinematografico.

Cecilia e Tom all’interno dello schermo cinematografico.

La Rosa purpurea del Cairo, non è un film che si osserva razionalmente, ma è un viaggio incantato da cui ci si lascia travolgere ed emozionare, che si vive fuori e dentro lo schermo, che investe lo spettatore a tal punto da trasportarlo all’interno dello schermo, nel mondo incantato del cinema, quel mondo che arricchisce da sempre l’immaginario umano e che si lascia da lui arricchire, rendendolo parte della storia, di quella finzione che grazie alla abilità narrativa di Allen è più che mai una vera realtà.

 

Giudizio Cinematographe

Regia - 5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 5
Recitazione - 5
Sonoro - 3.9
Emozione - 5

4.8

Voto finale