Morti immortali: il cinema che cammina con gli zombie

Quando si parla di cinema horror, inevitabilmente, si pensa ad un genere che letteralmente resuscita di continuo e non muore mai: il filone cinematografico dedicato agli zombie; ma da dove arriva questa figura? Lo zombie è una creatura che appare priva di pensiero, guidata unicamente dall’istinto, priva di individualità, in genere lenta e ripetitiva. Secondo il folklore haitiano questo stato di letargia sarebbe determinato da un rito di stregoneria in grado di catturare l’anima di una persona condannandola alla schiavitù perenne; gli haitiani temono più la zombificazione stessa degli zombie: non a caso il regime dittatoriale della famiglia Duvalier esasperava il clima di superstizione in merito.

Ispirato all’esotico clima haitiano è White Zombie, uno dei primi film a trattare il tema, impregnato di folklore voodoo e stregoneria praticata da un ipnotico Bela Lugosi. Nel 1968 Romero occidentalizza il concetto di zombie con Night of the Living Dead: il morto vivente non è più vittima di una magia ma, colpito da un virus di origine sconosciuta che può trasmettere con un morso, muore e in seguito resuscita sottoforma di creatura mossa da istinti antropofagi. Il primo lungometraggio del giovane regista sembra, ad un primo sguardo, una pellicola a costo zero da drive-in, in realtà Romero non si libera solamente di molte convenzioni del genere horror, ma fa dello zombie una questione sociale ed intavola riflessioni sulle dinamiche capitalistiche di fine secolo.
Quello che impressionò maggiormente gli spettatori (nonché gran parte della critica in senso negativo) fu la rappresentazione esplicita della violenza, nonostante il bianco e nero le viscere di Romero sembrano maledettamente reali. Il morto vivente diventa un mostro sociale che rappresenta diverse condizioni dell’uomo moderno: il suo impellente bisogno antropofago senza limite ricorda alcune dinamiche del capitalismo che riducono l’uomo ad una massa alienata senza individualità. I miti americani della famiglia e del self-made man vengono sbudellati e ridotti all’osso e la violenza viene politicizzata. La disillusione è un tema ricorrente nell’opera romeriana: sembra impossibile risvegliarsi dalla narcosi consumistica e mettere in atto la rivoluzione ipotizzata dalla love generation, ormai il mito dell’amore è diventato mito dell’odio.

 

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Night of the Living Dead

Zombie movies: tra morti viventi e cannibali

Il filone zombesco è un prodotto che si intreccia facilmente con altri generi: è il caso di Incubo sulla città contaminata di Lenzi (1980) che mescola una visione apocalittica ad un contesto pseudo fantascientifico in cui il contagio si propaga a causa di una mutazione genetica dovuta a misteriose radiazioni nucleari che trasformano gli umani in feroci cannibali. Questa volta i mostri non deambulano trascinandosi ma corrono e possiedono una faccia trasfigurata in una grottesca maschera.  Zombie e filone cannibalico si attorcigliano in pellicole come Zombie Holocaust (Girolami, 1980) e Virus (Mattei, 1981), fame e violenza si alternano a situazioni erotiche e splatter che fanno tremare la censura, in Italia i due film sono pressoché dimenticati.

A differenza del genere cannibalico, ambientato in verdi inferni intaccati dall’essere occidentalizzato, uno degli habitat perfetti per gli zombie movies sembra proprio la jungla urbana: il secondo capitolo della saga romeriana Dawn of the living dead (1978) ambienta l’assedio zombie in un contesto urbano multiforme diventato il regno dei morti viventi: studi televisivi in pieno caos, condomini, centri commerciali, tutti spazi significativi per il capitalismo dell’epoca.
Con il terzo capitolo romeriano Day of the Dead (1985), le città diventeranno in tutto e per tutto il regno degli zombie, mentre gli umani saranno destinati ad una vita da reclusi nel sottosuolo; la sola possibilità di sopravvivenza si situa al di là della città.
Land of the Dead (2005), l’ultima opera del corpus,  può essere letta come socialmente, politicamente e spazialmente significativa. La scelta del titolo è da notare: dopo Night, Dawn e Day, per la prima volta l’accento ricade su una prospettiva più spaziale che temporale. La superficie della terra è divenuta definitivamene  land of the dead. Gli uomini occupano il downtown di Pittsburgh il cui perimetro è messo in sicurezza e costantemente sorvegliato. Tutto il resto è uno spazio incontrollato, pericoloso.
Sembrerebbe che Romero voglia per un istante rovesciare il sentimento urbafobico delle precedenti opere, relegando gli zombie al di fuori del tessuto urbano, mentre gli umani sono costretti a barricarsi in una città-fortezza. Anche quando l’apocalisse sembra avere la meglio sull’umanità, le divisioni classiste sono dure a morire e l’organizzazione sociale degli ultimi umani puzza di feudalesimo; in tutto ciò lo zombie appare come un contadino che assedia il castello per guadagnarsi il diritto di esistere.

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Land of the Dead

A differenza di Romero, Fulci riprende le origini haitiane degli zombie, tralasciando la critica sociale; l’epidemia, questa volta, parte dalla lontana Repubblica Domenicana. Zombi 2 (1979), definito da Fulci un “horror artaudiano”, ci mostra degli zombie come orribili cadaveri in putrefazione scavati dai vermi. Al di là della problematiche commerciali attribuibili al titolo (in Italia Down of the Dead venne tradotto in Zombi), il film si discosta nettamente da quello del maestro americano: qui ci troviamo al cospetto di esseri che risorgono in virtù di un maleficio voodoo. Diversi aspetti hanno reso questo lavoro un vero oggetto di culto: dalle soggettive degli zombie, all’uso del grandangolo alle idee collegate fra loro da movimenti della m.d.p. gestiti con naturale ed artigianale capacità creativa.
Tra le scene da ricordare vi è la lotta feroce (con tanto di morsi da parte di entrambi) tra uno zombie ed uno squalo e la sequenza in cui il globo oculare di Olga Karlatos viene penetrato e divelto da una scheggia di legno, a detta di Fulci “una citazione chiaramente dadaista e surrealista” che porta il cinefilo attento ad apprezzare una poetica della crudeltà ricca di citazioni.

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Zombi 2

La figura del non-morto inserita in un’ affascinante aura di stregoneria esotica si mischia ad un’atmosfera di onirismo in The Serpent and the Rainbow di Craven (1988), un film che incanta e suggestiona senza esplicite scene horror. Un giovane antropologo (Bill Pullman) viene mandato da un’importante casa farmaceutica ad Haiti per indagare su una misteriosa polvere in grado di ridare vita ai morti. Una volta sul posto si troverà in contatto con un popolo sottomesso dal terrore del dittatore Duvalier e asservito alle credenze animiste creole. La critica sociale è palese: lo zombie diventa la vittima e non il carnefice, il quale va ricercato tra coloro che detengono il potere in grado di manipolare i corpi e le menti al proprio volere. La mano di Craven questa volta è molto delicata, crea un’atmosfera da incubo allucinatorio con eleganza e accuratezza.

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The Serpent and the Rainbow

Nello stesso anno esce una pellicola a basso costo che si rivelerà un gioiello: They live di Carpenter, un film dal gusto retrò, importante per la cinematografia che non tratta esplicitamente di zombie o creature infette da virus dilaganti , ma di un male sociale profondo ed invisibile agli occhi dell’uomo occidentalizzato accecato dal consumo. Torna l’atmosfera fantascientifica ma questa volta è politicizzata: alieni simili a zombie travestiti da umani invadono la terra e cercano di indottrinare le masse attraverso potenti messaggi subliminali. Carpenter vuole farci riflettere su cosa stiamo rischiando di diventare, una massa alienata di dormienti indirizzata da colorati cartelloni pubblicitari che obbedisce, si riproduce e consuma.

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They Live

Lo zombie infetto come minaccia del territorio urbano torna nel 2002 in 28 days later di Danny Boyle. La città di Londra appare agli occhi del protagonista Jim, appena uscito dal coma e ignaro dell’epidemia che ha distrutto l’Inghilterra, come spazio deserto privo di umanità. Le inquadrature insistono su oggetti e spazi  suggerendo lo sguardo dello spettatore nonché del protagonista; il cambiamento catastrofico, sociale ed urbano, è ormai attuato e la città diventa uno spazio di estremo pericolo di infezione fatale. Del 2002 è anche Resident Evil di Anderson, tratto dall’omonimo videogioco cult, un horror con protagoniste femminili atletiche e statuarie decisamente più intraprendenti delle donne di Romero (Milla Jovovich e Michelle Rodriguez).
Questa volta il virus che trasforma gli umani in zombie nasce da un esperimento batteriologico ideato per rallentare il processo di invecchiamento: qualcosa va storto nei laboratori sotterranei dell’Umbrella Corporation, la provetta contenente il T-virus sperimentale si rompe, dilaga il contagio, non ci sono solo zombie affamati di carne umana ma anche dobermann zombie e creature feroci e grottesche create in laboratorio. Ottime le scene d’azione miscelate con un’adeguata dose di suspense, interessante l’accostamento di un’atmosfera cupa inserita nel contesto asettico del laboratorio scientifico.

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Resident Evil

L’atmosfera apocalittica e virale cresce spazzando via quella horror con World War Z di Forster, gli zombie diventano infetti rapidi, mostruosi, violenti e frenetici, creature potenziate in grado di contorcersi grottescamente e formare mura (non)umane così alte da superare quelle della città di Gerusalemme. L’atmosfera catastrofica è decisamente patinata, con un supereroico sempre ben pettinato Brad Pitt (e un Pierfrancesco Favino sprecato) intento a correre per tutto il film alla ricerca di un antidoto; questa volta non sono gli zombie a barcollare, ma la trama che non sta in piedi…

Lo zombie si presta non solo ad essere una minaccia d’estinzione ma anche un personaggio comico, compagno lobotomizzato di pomeriggi passati davanti ad un videogame (Shaun of the Dead). Lo scenario apocalittico può diventare un’esilarante avventura  con protagonista un nerd che passa traumaticamente dall’essere ignorato dai vivi (soprattutto dalle vive) a dover cercare di essere ignorato dai non morti (Zombieland).

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Shaun of the Dead

Come abbiamo visto in queste righe che riportano solo alcuni dei titoli di una vasta lista di zombie movies che, di certo, non si può esaurire in qualche paginetta, la figura cinematografica del morto vivente barcolla di fianco  all’uomo da parecchio e non è fine a se stessa ma si può adattare a infiniti contesti. D’altro canto è proprio grazie a figure mostruose come queste che l’uomo può riempire quel vuoto inspiegabile che lo atterrisce da sempre, la sua più antica paura inspiegabile ed angosciante più di qualsiasi creatura romeriana: l’ horror vacui.