I 3 film migliori di Martin Scorsese

Cresciuto con il Neorealismo italiano di Visconti e Rossellini, con i capolavori di Godard e con il cinema hollywoodiano, l’italoamericano Martin Scorsese è oggi uno dei maggiori registi esistenti. Dopo un esordio nel campo del cortometraggio, si dedica al grande cinema collezionando capolavori che da Mean Streets-domenica in chiesa, lunedì all’inferno (1973), fino al più recente The Wolf of Wall Street (2013), che gli hanno permesso  l’ingresso nell’Olimpo cinematografico: grande maestro e idolo da osannare per il pubblico.
Dotato di una forte coscienza metacinematografica, Scorsese ha un’innata capacità di applicare nella contemporaneità stilemi classici, creando con estrema efficacia non solo una relazione tra differenti momenti storici, ma operando una magistrale contaminazione di generi e mostrando come la necessità di innovazione e sperimentazione sia in realtà una ripresa della tradizione e non una sua totale negazione.
L’abbiamo visto migrare dal musical in New York New York (1977), al genere storico-drammatico Gangs of New York (2002), al biografico su cui si basano l’indiscusso capolavoro Toro Scatenato (1980), storia del pugile Jake LaMotta, The Aviator (2004) sulla controversa figura di Howard Hughes fino al Jordan Belfort di The Wolf of Wall Street.
Tra le tematiche che hanno da sempre sedotto ed affascinato il regista italoamericano  vi è la rappresentazione della malavita in tutta la sua drammatica complessità, in ogni sua minima implicazione e sfaccettatura. Da Mean Streets a Quei bravi ragazzi (1990) a Casinò (1995), Scorsese ha dipinto il volto della criminalità come unica forma di vita conosciuta, come unica strada da percorrere per uomini che sembrano non avere o non conoscere alcuna alternativa. La spregiudicata ed insensata violenza, la famiglia, la religione, le insane ossessioni umane, la sete di potere e l’atroce senso di solitudine ricorrono costantemente all’interno di un cinema che si caratterizza per l’ eclettismo, per le immagini ipnotiche, per i continui virtuosismi tecnici attraverso i quali si mostra la disperata deriva di uomini in balia dei propri ossessivi fantasmi e alla ricerca del proprio posto nel mondo, trasformando così il cinema in un intenso viaggio all’interno della mente e dell’anima dei suoi personaggi.

Martin Scorsese.

Martin Scorsese.

Le magistrali capacità registiche, la meticolosa attenzione nell’osservare le dinamiche umane hanno dato vita a collaborazioni artistiche con attori che proprio grazie ai suoi film sono diventati icone indiscusse . Di particolare importanza ed intensità è il sodalizio creatosi fin da Mean Streets con il grande Robert De Niro, attore feticcio che ha messo in mostra la propria versatilità prestando il volto a personaggi complessi e controversi, dall’alienato Travis Bickle di Taxi Driver(1976) al brusco Jake LaMotta in Toro Scatenato (1980)premiato con l’oscar al miglior attore. Con Gangs of New York(2002) si inaugura un’ulteriore fondamentale collaborazione artistica con l’attore Leonardo DiCaprio, ad oggi colonna portante di cinque opere “scorsesiane”, The Aviator(2004), The Departed-il bene e il male (2005), Shutter Island (2010) e The Wolf of wall Street (2013). Appassionato cinefilo, Scorsese si batte da sempre per la salvaguardia delle opere cinematografiche del passato, mostrando come la settima arte sia da sempre il suo più grande amore che continua ad omaggiare all’interno del suo cinema.

Scorsese si è reso artefice di capolavori che hanno rappresentato un tassello fondamentale del cinema contemporaneo, collezionando un successo dopo l’altro. Per comprendere l’importanza di un regista che ad oggi incarna l’essenza pura  del cinema, occorre prendere in considerazione tre opere principali che ne mostrano la grandezza e la complessità artistica.

TAXI DRIVER (1976)

“In ogni strada di questo paese c’è un nessuno che sogna di diventare qualcun. È un uomo dimenticato e solitario che deve disperatamente provare di essere vivo.”

Robert De Niro in una scena di Taxi Driver.

Robert De Niro in una scena di Taxi Driver.

Bassi fondi di New York. Un taxi si fa strada tra la nebbia di una città opprimente e psicotica, incarnazione del male in grado di tradurre visivamente l’intima essenza di un uomo la cui solitudine muta in alienazione, la cui alienazione si trasforma in brutalità. Dalla sceneggiatura di Paul Schrader, Scorsese plasma uno dei più crudi esempi cinematografici di violenza, un saggio disincantato e cruento che mette in scena le ossessioni paranoidi dell’alienato reduce del Vietnam Travis Bickle (Robert De Niro), eroe-antieroe per eccellenza, solitario, disadattato, estraneo alla propria stessa realtà e in continua ricerca di una ragione di vita. Oppresso dal ricordo della guerra, turbato dalla bassezza morale e dal forte degrado che dilania la New York anni ’70, teatro di incontenibile ed autodistruttiva violenza, si trasforma in un sanguinario giustiziere notturno, un uomo emarginato che tenta di “raddrizzare” a modo proprio la realtà che lo circonda, ripulendola dal crimine, dalla prostituzione, dalla delinquenza. Forte potenza visiva, immagini ipnotiche spesso prive di dialogo, psicotiche atmosfere claustrofobiche fanno di Taxi Driver non soltanto una colonna portante della filmografia “scorsesiana”, ma un vero e proprio cult dell’intera storia del cinema, un viaggio che assume le sembianze di un incubo all’interno delle più intime implicazioni della mente umana distorta dal trauma della guerra, trasformata anch’essa in un sanguinario campo di battaglia. L’assurda violenza del protagonista si rende manifesto di una intera generazione, di una intera epoca, emblematica metafora del degrado che governa il mondo , un mondo in piena crisi di identità,  in cui violenza genera violenza. Differenti e stratificati sono i significati, le chiavi di lettura che possono essere attribuite a questo capolavoro in grado di configurarsi anche come una forte denuncia nei confronti di una società che respingeva come diversi, che emarginava coloro che proprio per le avevano combattuto, destinandoli alla propria solitaria solitudine trasformatasi ben presto in una trappola di insensata follia. Palma d’oro al festival di Cannes 1975, consacra la coppia Scorsese-De Niro, trasformando la figura di Travis Bickle in una vera icona cinematografica (Are you talkin’ to me?)

QUEI BRAVI RAGAZZI (1990)

“Che io mi ricordi, ho sempre voluto fare il gangster”

Joe Pesci, Ray Liotta e Robert De Niro in una scena del film quei Bravi ragazzi.

Joe Pesci, Ray Liotta e Robert De Niro in una scena del film Quei bravi ragazzi.

Brillante gangster movie tratto dal romanzo “Il delitto paga bene” di Nicholas Pileggi basato sulla figura del pentito Henry Hill, offre un imponente affresco quanto più realistico del mondo della malavita italo-americana, filtrato attraverso lo sguardo del protagonista, di chi ha fatto di rapine, spaccio di droga e contrabbando la propria ragione di vita. L’intento primario di Scorsese è quello di operare un’analisi documentaria approfondita sulla drammatica realtà della mafia percepita come un’aspirazione, una via rapida che porta fama e successo, in cui ancora una volta la fredda e gratuita violenza si ergono non soltanto a dichiarazione di potere, ma a parte quanto più integrante della quotidianità all’interno di un’opera che ha proprio il dichiarato scopo di portare alla luce l’aspetto quotidiano, le tradizioni, gli usi e i costumi della malavita eliminando tutti gli abusati luoghi comuni e trasfigurandosi in una ideale lente attraverso la quale Scorsese traccia meticolosamente un dettagliato profilo psicologico e familiare dei protagonisti, ragazzi e uomini resi ciechi e brutali dalla sete di potere e denaro. Impreziosito da un cast di attori straordinari (Liotta, De Niro, Joe Pesci), Quei bravi ragazzi permette a Scorsese di ripercorrere le tappe della propria infanzia, di riscoprire le proprie origini, raccontando una drammatica realtà quanto più contemporanea senza giudicarla ma esplorandola con un approccio quasi antropologico. Caratterizzata da una sempre crescente tensione emotiva, arricchita dalla forte simbologia, curata fin nella più minima inquadratura, dotata di uno stile dinamico ed incalzante in un vertiginoso susseguirsi di eventi all’insegna della violenza che sfiora il grottesco, e di continui riferimenti al grande cinema del passato, Quei bravi ragazzi si è guadagnato a buon diritto l’appellativo di assoluto capolavoro del cinema Gangster.

 THE DEPARTED – IL BENE E IL MALE (2006)

                  Poliziotti o criminali, quando ti trovi davanti ad una pistola carica, che differenza c’è

Leonardo Dicaprio, Jack Nicholson e Matt Damon.

Leonardo DiCaprio, Jack Nicholson e Matt Damon.

L’ambivalenza dell’uomo, il suo indossare una maschera, la febbrile ricerca del proprio io, sono le tematiche intorno alle quali gravita il riuscito remake scorsesiano di Internal Affairs, film  creato da Andrew Lau e Alan Mak. Oscar alla miglior regia nel 2007, The Departed si configura come un’opera estremamente complessa, un labirintico gioco di specchi in cui il confine tra ciò che realmente si è e ciò che si cerca disperatamente di essere è labile a tal punto da disintegrare il concetto stesso di identità. Billy Costigan (Leonardo DiCaprio) e Colin Sullivan (Matt Damon), un poliziotto infiltrato e un infiltrato nella polizia,  rappresentano egregiamente la metafora del gioco delle parti, la tanto agoniata redenzione, il desiderio di essere altro da ciò che si è e dal proprio passato, ciò che buono e cattivo c’è in ognuno di noi. Attraverso la specularità tra di due personaggi, appare chiaro come buono e cattivo non sono due entità universali distinte ma due diverse parti di noi in perenne distruttiva lotta tra loro. Magistralmente diretto e superbamente interpretato, The Departed si caratterizza come una pellicola spietata e feroce , si avvale di una andrenalinica colonna sonora, di un montaggio dinamico e discontinuo, di sequenza da action movie su cui aleggia un pungente humor nero che accompagna il regista nel suo intento di mostrare  il marciume che appesta la società, una società anch’essa alla ricerca della propria identità, del proprio volto, ambigua,ambivalente, corrotta fin nel midollo, sedotta dalla sete di denaro e dai giochi di potere, alle prese con il proprio lato oscuro, alla ricerca di una redenzione per il proprio animo nero, una società in cui non esiste più giusto o sbagliato, lealtà o tradimento, buono o cattivo, bene o male.