Sinister: recensione

Sinister è indubbiamente una delle pellicole horror più originali e significative degli ultimi anni, diretta da Scott Derrickson e uscita nelle sale statunitensi nel 2012.
Derrickson, come in lavori precedenti e successivi sul genere horror, quali The Exorcism of Emily Rose e il più recente Liberaci dal Male, ha dimostrato una consapevole capacità di sperimentazione e una notevole accuratezza formale che lo contraddistinguono per la sua forte vena eclettica.

Protagonista del film è un inconsueto Ethan Hawke nei panni di Ellison Oswalt, uno scrittore ormai caduto nell’anonimato dopo aver raggiunto il successo con il libro Kentucky Blood, ispirato ad un reale fatto di cronaca. Per risollevare la propria carriera Ellison decide di trasferirsi, all’insaputa della propria famiglia, in una casa in cui poco tempo prima si era consumato l’efferato omicidio della famiglia Stevenson. Pian piano però, si rende conto che la faccenda è più oscura del previsto; ritrova infatti in soffitta una scatola con dei super 8, che non solo mostrano l’uccisione dei poveri Stevenson, ma anche di altre famiglie, ognuna con modalità diverse. Ad accomunarli è la presenza di un individuo strano, inquietante, che compare di sfondo in tutti i video. Convinto di poter sfruttare a proprio vantaggio tale scoperta, Ellison decide di tenere il materiale per sé e raccogliere più notizie utili in merito alle vittime. Ellison scatena così una serie di eventi catastrofici dovuti al fatto che, purtroppo, non si era imbattuto in un serial killer, ma in un’occulta entità pagana risalente all’epoca Babilonese conosciuta come Bughuul, ossia il mangiatore di bambini.

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Il demone Bughuul

Oltre all’intreccio narrativo, ben costruito e decisamente efficace per un lungometraggio horror e alla pregevole sceneggiatura, ciò che colpisce di Sinister sono gli espedienti tecnici utilizzati dal regista per infondere terrore nello spettatore e i molteplici significati attribuibili al film correlati alla trama principale. L’utilizzo del finto snuff movie e l’accezione che si evince del concetto di pellicola ne sono due esempi lampanti.
I filmini amatoriali, che il protagonista ritrova in soffitta, sono una giusta nota di veridicità atta a creare un senso del tragico e del funesto che permeano l’intera pellicola. Un altro regista ne fece un uso simile qualche anno prima, raggiungendo un risultato altrettanto apprezzabile: stiamo parlando di Nimród Antal con il film Vacancy. Anche questo vivamente consigliato agli amanti del genere.

Altro aspetto decisamente significativo di Sinister riguarda l’uso che Ellison fa delle bobine. Egli infatti utilizza lo strumento cinematografico per raggiungere la verità, riuscendo a captare dettagli impercettibili all’occhio umano. Si evince da tutto ciò un discorso molto interessante paragonabile, addirittura, a quello affrontato in Blow – Up, uno dei più grandi capolavori di Michelangelo Antonioni.

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I bambini rapiti dal demone Bughuul

Il tutto è organizzato con maestria da Derrickson che, attraverso un sguardo oggettivo della macchina da presa (o soggettivo di un’entità maligna?), segue silenziosamente le vicende della malcapitata famiglia. Altrettanto ammirevole la fotografia che, connotando i personaggi in un ambiente quasi sempre oscuro e tenebroso, aggiunge una considerevole nota di suspense ricorrentein tutto il film.

Sinister, come anticipato in precedenza, è sicuramente uno dei prodotti migliori degli ultimi anni, pertanto ci auguriamo vivamente che il sequel sia all’altezza dell’originale e non deluda le aspettative.

Giudizio Horror House

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.7
Recitazione - 4
Sonoro - 3.2
Emozione - 4

3.7

Voto Finale