Lolita: recensione del cult di Adrian Lyne con protagonista Jeremy Irons

Un film discusso e criticato, aberrante e narrativamente forte. Lolita è la pellicola cult del 1997, diretta da Adrian Lyne e avente come protagonisti Jeremy Irons, Melanie Griffith e Dominique Swain.

Lolita del 1997 è un cult della storia del cinema, il secondo adattamento cinematografico del romanzo omonimo dello scrittore russo Vladimir Vladimirovič Nabokov.

Prima di Adrian Lyne vi fu infatti Stanley Kubrick a proporre un film basato sul romanzo Lolita nel 1962, riuscendo anche a coinvolgere Nabokov in prima persona nella stesura della sceneggiatura.

Il film del 1997, oltre a presentare un ricchissimo maneggiamento che rende il racconto molto diverso dal romanzo, rappresenta una grande prova di regia e un’ottima prova di interpretazione, Jeremy Irons su tutti.

La storia di Lolita è quella di una giovane e sensuale ninfetta – di cui l’aggettivo lolita è diventato ben presto sinonimo. Nel 1947 il professore inglese Humbert Humbert (Jeremy Irons) va ad insegnare letteratura francese in una piccola città del New England e viene ospitato dalla vedova Charlotte (Melanie Griffith).

Quando entra in questa nuova parentesi di vita, viene incredibilmente stregato dal fascino della quattordicenne Lolita (Dominique Swain) che gli ricorda il suo amore adolescenziale, suscitandogli impulsi ed istinti forse messi a tacere da tempo.

Pur di stare accanto a Lolita, Humbert sposa Charlotte che, venuta a conoscenza delle passioni di lui tramite il suo diario personale, decide di fuggire, ma viene tragicamente investita da un’auto e muore. Humbert decide così di viaggiare attraverso l’America con Lolita, finendo per vivere e appagare a pieno quelle passioni talvolta pruriginose, talvolta inspiegabilmente innocenti e arrivando a compiere l’estremo gesto di uccidere.

Lolita di Adrian Lyne è un film che sviscera il tema della sessualità proibita con toni ombrosi e affascinanti

La pellicola ha subìto e subisce inevitabilmente il confronto con quella di Kubrick, uscendone penalizzata nella maggior parte dei giudizi di pubblico e di critica senza tener conto che, in realtà, per quanto infedele sotto alcuni aspetti al romanzo, ne rispecchia forse in maniera più realistica gli effetti.

Sia per quanto concerne i semplici colori e le ambientazioni, sia per la sottile – e sublime – trattazione psicologica, il racconto di Lyne è coerentemente raffinato, anche se fortemente artificioso.

La sensibilità della narrazione di Lyne è parallela a quella del romanzo in maniera decisamente più incisiva di quella di Kubrick, il quale – essendo Kubrick – rimane inesorabilmente lontano dalla vulnerabilità psicologica dei personaggi, riuscendo a donarci d’altro canto, un affresco pittorico meno verosimile ma comunque di grande valore. Rimane un dato di fatto che Nabokov sia paradossalmente più presente nel film di Adrian Lyne e non in quello di Stanley Kubrick.

Nel film di Lyne l’anormalità delle passioni circoscritte alle età anagrafiche di entrambi i protagonisti è rimarcata dalle inquadrature, dal voyeurismo, dal ritmo, dalle interpretazioni.

Un altro merito della Lolita degli anni ’90 è quello di aver concesso una pellicola in cui anche se si parla essenzialmente di pedofilia, si fa passare questo sentimento come un amor fou a cui non si danno certamente giustificazioni ma neanche giudizi di sorta. È un sentimento che pervade una storia e come tale viene trattato, con l’aggiunta di velleità più o meno artistiche che riguardano strettamente le tecniche di regia.

Jeremy Irons è perversamente struggente nei panni di Humbert, presentando un personaggio perennemente vestito ma continuamente desideroso di spogliarsi di fronte ad una Lolita, fatta di carne, treccine e apparecchio per i denti.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4.5
Recitazione - 5
Fotografia - 4.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

4.3