Un padre, una figlia (Bacalaureat): recensione del film di Cristian Mungiu

Un padre, una figlia, meglio conosciuto in patria come Bacalaureat, è il titolo del quinto lungometraggio del regista romeno Cristian Mungiu, che nella 69esima edizione del Festival di Cannes è riuscito, con questo, ad aggiudicarsi il Prix de la mise en scène dopo dieci anni dalla Palma d’Oro per 4 Mesi, 3 settimane, 2 giorni.

Bacalaureat è, in romeno, anche il “diploma”, titolo di studio che Romeo, medico d’ospedale a Cluj, si augura che la sua adorata figlia Eliza riesca ad ottenere al più presto e con il massimo dei voti. L’alunna modello, però, a pochi giorni dal primo esame, subisce un’aggressione che farà vacillare il suo equilibrio psicologico e tutte le fondamenta del brillante futuro che suo padre aveva progettato per lei fuori dalla Romania, e Romeo rimetterà in discussione ogni principio morale affinché Eliza non perda l’occasione della vita.
Un padre, una figlia (Bacalaureat): recensione del film di Cristian MungiuNon è la prima volta che Mungiu adopera il mezzo cinematografico per ritrarre il rapporto, spesso doloroso, che si fissa fra una scelta e la sua conseguenza.

L’aveva già fatto con 4 Mesi, 3 settimane, 2 giorni, in cui lo sguardo del regista era interamente focalizzato sulle decisioni dei protagonisti e sugli effetti che ne derivavano. Decisioni che sono, stavolta, quelle del protagonista Romeo, padre di famiglia e medico in una piccola cittadina della Romania in cui non c’è futuro e “non si possono cambiare le cose”, e che ha sempre rispettato e mai messo in dubbio il proprio saldissimo codice morale. Questo almeno finché non si trova a dover fronteggiare la profonda ingiustizia di un “incidente” che non poteva essere previsto e che rischia di minare per sempre il raggiante progetto che aveva in serbo per Eliza.

E quando si parla di incidente, in realtà, ci si riferisce alla brutale aggressione sessuale – di cui Mungiu spiega i dettagli tramite la scena della deposizione – subita dalla figlia, che fa immediatamente mettere in moto l’intero apparato degli organi della giustizia locale ma non il padre: Romeo ne è visibilmente disturbato, a tal punto da sopprimere lo stupro vero e proprio e da risolvere l’intero accaduto con la vaga (e più confortante) definizione di “aggressione”, ma lo sarebbe ancora di più se questo piccolo evento significasse una svolta (o, meglio, una non-svolta) nella vita di Eliza, che merita molto più del paese disonesto in cui vive.

Un padre, una figlia (Bacalaureat): recensione del film di Cristian Mungiu

Per dare a Eliza la seconda chance che le viene negata secondo la legge, Romeo cade nella contraddizione e si attiva come parte viva e palpitante di quel paese disonesto, scivolando sempre più a fondo nel buio della rete nascosta di chi agisce iniquamente – proprio come l’aggressore, proprio come chi ha scagliato un sasso sulla finestra della sua casa – sfruttando ogni via illecita perché “a volte, è il solo risultato che conta”.

Tutto questo, Mungiu lo suggerisce senza propriamente spiegarlo e senza ricorrere a impropri toni paternalistici, che ne appesantirebbero il risultato finale. Al regista, infatti, basta la fluidità e l’estrema asciuttezza del suo racconto e delle sue immagini, che producono uno stile del tutto personale: non si utilizzano quasi mai primissimi piani, né campi lunghi, affinché si possa rimanere sempre vicini (quanto basta) ai personaggi. Tuttavia, la faccia del protagonista che ne esce lesa non è quella di un uomo che sfida e raggira i meccanismi delle leggi offrendo favori professionali a chi può aiutarlo.

Si nota, anzi, che questa parte è una parte umana, una parte che Mungiu non favorisce, né difende, ma che quasi comprende e che si limita a descrivere nella semplice sequenza dei fatti, facendo del proprio distacco emotivo fra sguardo e (s)oggetto osservato suo vero punto di forza.

Piuttosto, a emergere più chiaro e vigoroso che mai è il ritratto di padre più invadente che apprensivo (aspetto che, peraltro, va a scontrarsi con la totale apatia di una madre assente), padre che elide ogni aspetto caratteriale di Eliza a favore delle “sue” aspirazioni e dei suoi voti scolastici, padre che preferisce parlare di Eliza piuttosto che con Eliza, padre che cerca di aggrapparsi con le unghie al sogno doppio e contraddittorio di un cambiamento nel proprio paese e, insieme, di una rottura del legame fra la propria figlia e questo stesso paese, presa coscienza del fatto che non può essere trasformato, né scalfito.

Non è davvero un puntare il dito, quello di Mungiu: è, piuttosto, l’amara constatazione di una realtà che conosce molto bene, e la descrizione di un amore filiale impossibile da esprimere in un ambiente domestico intaccato più dalle singole decisioni che dal caso di un solo triste avvenimento, ambiente in cui si finisce per “rattoppare” una finestra rotta con pezzi di qualcos’altro piuttosto che aggiustarla da capo.

Un padre, una figliè al cinema dal 30 agosto con BIM Distribuzione.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 5

3.9