Güeros: recensione del film di Alonso Ruizpalacios

Non sappiamo molto di Alonso Ruizpalacios, tranne il fatto che Güeros rappresenta il suo primo film, vincitore dell’Orso d’oro come Migliore Opera Prima.

Non sappiamo molto di Alonso Ruizpalacios, tranne il fatto che Güeros rappresenta il primo lungometraggio del regista messicano (che ha vinto l’Orso d’oro come Migliore Opera Prima al Festival del Cinema di Berlino 2014) dopo l’apprezzato Café Paraiso, cortometraggio che gli valse un Ariel Award per il miglior corto e il premio per il miglior corto messicano al Guadalajara International Film Festival del 2008.

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Poi sappiamo che c’è l’adolescente Tomàs, spedito dalla madre a Città del Messico, dove vive suo fratello maggiore Fede. Fede condivide con Santos il suo misero appartamento di periferia, ma anche l’interesse comune verso lo sciopero che i suoi compagni di scuola hanno organizzato alla Universidad Nacional Autònoma de Mèxico. I tre ragazzi intraprendono, nel frattempo, un viaggio alla ricerca di un misterioso cantante messicano, Epigmenio Cruz, che sarebbe riuscito a far commuovere Bob Dylan grazie alla sua musica e ora si trova in ospedale…

Poco, eppure davvero tanto: perché quella che Ruizpalacios definisce la propria “lettera d’amore” alla sua terra, il Messico, svela in realtà il desiderio di narrare quanto di più personale un autore possa rivelare al proprio pubblico, che non tanto è un episodio autobiografico quanto, piuttosto, un senso di nostalgia scaturito dal ricordo di una frazione di tempo che non c’è più e che viene custodita nel cuore attraverso le immagini e i rumori, gli occhi, gli sguardi e i suoni impressi nella memoria di chi li ha vissuti e che vorrebbe comunicarli al mondo.

Güeros lo fa con delicatezza estrema: si riveste di un bianco e nero opalescente che appare come l’unico mezzo adoperabile per il proprio scopo, e subito si palesa come il frutto dei tempi non troppo lontani della nouvelle vague europea degli anni Sessanta: nelle loro fughe rocambolesche, nei propri discorsi forsennati e in ogni altra caratteristica, i personaggi riverberano l’immagine, ancora limpida, di quei protagonisti che condividono gli stessi intimi luoghi e le stesse strade delle città del primo Truffaut, ma soprattutto del primo periodo di Godard, in particolar modo se si pensa a Bande à Part.

Con Güeros Alonso Ruizpalacios scrive una lettera d’amore in bianco e nero alla sua terra

Senza dimenticare influenze rintracciabili in un certo Jarmusch e persino a Kassovitz, Güeros utilizza, sfruttandone ogni peculiarità, il medium del road movie per narrare il cambiamento, tanto da modificare continuamente se stesso e la propria forma, come se fosse questo l’unico modo (e, forse, lo è davvero) di fissare ciò che è mutevole: alle riprese statiche di uno squallido appartamento vengono sostituite i movimenti febbricitanti di una macchina da presa a mano che non può, in alcun momento, separarsi dai protagonisti e che si prefigge lo scopo di pedinarli ovunque. E, se è vero che adottare diversi linguaggi diviene un’urgenza, è anche vero che il ritmo del film si restringe e si dilata a seconda delle esigenze, piegandosi agli spostamenti e ai gesti dei personaggi e curvandosi a seconda degli atti da loro compiuti. Ne conseguono momenti schiacciati dall’assenza di suoni, che accompagnano il primissimo piano del volto di un ragazzo che ascolta una melodia, alternati a episodi avvolti dallo strepito delle strade e dalle urla delle persone che vi marciano e, ancora, fiumi traboccanti di parole che si alternano a silenzi prolungati.

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Le situazioni quotidiane, di cui si respira la semplicità, sono isolate dall’azione del tempo che modifica gli spazi urbani: automobili, appartamenti e locali, contaminati da un afflato metafisico, chiudono i protagonisti in piccole cellule separate dagli avvenimenti del mondo circostante, ma senza mai slegarsene del tutto. I trambusti della città, dovuti al famoso sciopero del 1999, sono ovattati, mentre ogni espressione dei ragazzi è amplificata. E tutto questo sottintende molto di più: la ricerca spasmodica del fantasmatico Epigmenio Cruz, onnipresente con la sua musica e avulso quando lo si incontra davvero, rappresenta forse quell’obiettivo e quell’aspirazione che risiede nella necessità di cercare qualcosa in se stessi, qualcosa che si sta sgretolando e che si vuole sottrarre al cambiamento imminente, cristallizzandolo nel tempo con una fotografia.

Güeros è in sala dal 23 giugno, distribuito da Bunker Hill.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 4

3.8