The Perfect Neighbor: recensione del documentario Netflix

The Perfect Neighbor è l'accattivante e al contempo agghiacciante documentario su una storia vera avvenuta negli Stati Uniti.

Ci sono storie che non hanno bisogno di essere raccontate per commuovere. Basta ascoltare il silenzio che lasciano. The Perfect Neighbor, documentario diretto da Geeta Gandbhir e distribuito su Netflix, è una di queste. È un’opera che si guarda con lo stomaco chiuso e la mente in allerta, perché ogni immagine, ogni respiro, ogni parola catturata sembra appartenere a una realtà che ci riguarda più di quanto vorremmo ammettere. È la storia di Ajike “AJ” Owens, madre di quattro figli, uccisa nel giugno del 2023 dalla sua vicina di casa, Susan Lorincz, dopo mesi di tensioni, minacce e chiamate alla polizia. Un caso reale, atroce, che Gandbhir trasforma in un film denso e necessario, capace di guardare in faccia il fallimento morale di un’intera società.

Il linguaggio della verità in The Perfect Neighbor

The Perfect Neighbor recensione - Cinematographe.it

Sin dai primi minuti, The Perfect Neighbor dichiara la sua scelta estetica e politica: nessuna intervista, nessuna voce narrante, nessuna ricostruzione. Solo la realtà, nuda e cruda, così com’è stata registrata. Il film è costruito interamente con filmati delle body cam della polizia, audio originali delle chiamate d’emergenza e immagini d’archivio. Gandbhir ci priva di ogni filtro e ci obbliga a guardare. Non c’è spazio per la distanza o la consolazione: lo spettatore diventa testimone, parte integrante di un dramma che si svolge davanti ai suoi occhi senza possibilità di fuga. È un cinema di immersione e verità, che affonda le mani nella materia grezza della cronaca e ne ricava una riflessione universale sul potere, sulla paura e sulla violenza.

Il montaggio è chirurgico, scandito dal ritmo delle sirene e dal respiro irregolare delle voci catturate dalle registrazioni. La tensione cresce in modo quasi impercettibile, fino a diventare insostenibile. Non c’è un climax nel senso tradizionale: c’è solo l’inevitabile, che arriva come un colpo sordo, come un respiro che si interrompe di colpo. Gandbhir non ricostruisce la tragedia, la lascia accadere, e in questo gesto risiede tutta la forza del film.

Una nazione dietro una porta chiusa

The Perfect Neighbor è molto più di una storia di cronaca. È un atto d’accusa contro una cultura della paura che, negli Stati Uniti, trova terreno fertile nelle leggi sulla “legittima difesa”. La regista pone al centro la legge “Stand Your Ground” della Florida, che consente a un cittadino di reagire con forza letale a una minaccia percepita. Il problema è proprio quel verbo, percepita. Perché in quella percezione si nascondono il pregiudizio, la paura del diverso, il razzismo sistemico che continua a insinuarsi nelle fondamenta della società americana. Gandbhir non lo dice apertamente, ma lo lascia emergere dalle immagini, dalle parole di chi chiama la polizia, dai gesti minimi che precedono il dramma. È il ritratto di un Paese che ha trasformato la paura in diritto, l’odio in giustificazione.

In questo senso, The Perfect Neighbor si fa manifesto di un cinema civile, erede della tradizione del documentario militante ma con un linguaggio visivo moderno, pulito, senza enfasi. L’orrore non è spettacolarizzato: è osservato con uno sguardo lucido, quasi chirurgico, e proprio per questo ancora più devastante. La regista non impone un punto di vista: lo costruisce insieme allo spettatore, chiamandolo a giudicare, a sentire, a ricordare.

Il volto umano del dolore

Dentro questa cronaca tesa e glaciale, Gandbhir trova spazio per la tenerezza, per l’umanità che resiste anche nella tragedia. La figura di AJ Owens non è mai ridotta a “vittima”, ma restituita come madre, come donna, come presenza viva che continua a esistere nel ricordo dei suoi figli e della comunità. Le immagini dei memoriali, delle veglie, delle mani che si stringono in preghiera restituiscono un’intimità che bilancia la durezza delle sequenze precedenti. È qui che il film trova il suo cuore pulsante: nel modo in cui, attraverso la memoria, la morte si trasforma in testimonianza.

Gandbhir costruisce un discorso potente senza mai cedere alla retorica. La sua è una regia di ascolto, che lascia spazio ai silenzi, agli sguardi, alle assenze. Ogni taglio di montaggio diventa un atto politico: un modo per ridare voce a chi è stato ridotto al silenzio. E nel farlo, The Perfect Neighbor diventa non solo un film da vedere, ma un’esperienza da attraversare, un richiamo etico a guardare oltre la superficie.

The Perfect Neighbor: valutazione e conclusione

Alla fine della visione, resta un senso di vertigine. Le immagini delle body cam continuano a riecheggiare, i rumori della notte non si spengono. The Perfect Neighbor non è solo un documentario su un omicidio: è uno specchio che riflette un Paese diviso, una comunità ferita, una società che ancora non sa proteggere le sue AJ Owens. È un film necessario, che ci ricorda quanto la violenza possa essere domestica, quotidiana, persino educata. E quanto spesso il male non viva lontano, ma proprio dietro la porta accanto.

Disponibile su Netflix, l’opera di Geeta Gandbhir si impone come una delle più importanti del 2025: un racconto di verità e di dolore, che trasforma la cronaca in coscienza. Guardarlo significa accettare il peso della realtà, ma anche riconoscere che solo attraverso lo sguardo — fermo, lucido, intransigente — si può ancora tentare di comprendere il mondo che abitiamo.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

3.7

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