Sly: recensione del doc Netflix su Sylvester Stallone

Un documentario profondo, triste ma anche ricco di vita da cui Sylvester Stallone viene fuori in tutta la sua umanità

Sly è un documentario su Sylvester Stallone distribuito da Netflix nel novembre del 2023, ma definirlo in questo modo rischierebbe di diminuire in modo imperdonabile la sua reale portata artistica e cinematografica. Il documentario su Sylvester Stallone, una testimonianza unica della sua carriera, del suo cuore, una confessione proveniente dalla più profonda umanità di un attore considerato da molti il più iconico degli ultimi cinquant’anni di cinema. Bisogna talvolta temere, diffidare di cosa accade dietro le quinte, dietro il sogno di un’icona come Stallone: potrebbe essere una realtà deludente, banale, oscura, fragile.

Siamo da sempre attenzionati a non prendere troppo sul serio l’immagine pubblica di persone che sembrano non possedere connotati umani a causa del gigantesco successo ottenuto, un successo quasi eccessivo per poter appartenere ad un solo essere umano. Ma è proprio in quel segreto inconfessabile, in quella cerchia strettissima, che il regista di Sly vuole portare gli spettatori. Thom Zimny non è nuovo nell’addentrarsi in questo mondo pericoloso, queste acque sconosciute da navigare a vista e con delicatezza: scoprire l’uomo al suo pubblico, donare la storia di un individuo come altri senza distruggere ciò che significa nell’immaginario collettivo.

Il lavoro di Zimny in Sly è però magistrale, frutto dell’esperienza precedente avuta con il complesso compito di raccontare il Boss della musica Rock: Bruce Springsteen. L’approccio con Stallone, la cui personalità è decisamente più cupa e malinconica di quella del rocker americano, è intelligente e minimale: lasciare la scena, la libertà di movimento più totale al punto focale del lavoro e fare in modo che si mostri da sé.

Sly: un documentario ricco di realtà e vita che vede Sylvester Stallone colto nella sua intimità

Sly recensione - cinematographe.it

Sly è una pellicola che decide di approcciare alla narrazione di un mito contemporaneo utilizzando metodi alternativi, puntando dritta al cuore del suo soggetto, senza orpelli o trucchi che lascino percepire l’invasività del regista in alcun modo. Sono molti i documentari che lavorano sul proprio protagonista agendo in modo molto pesante sul montaggio finale, rendendo chiaro e visibile l’intervento di un regista con il proprio stile tecnico, le proprie scelte artistiche. Ma Zimny decide di operare per sottrazione, sceglie di lasciar vedere invece di farsi vedere, donando a Stallone tutto lo spazio di cui la sua storia e la sua personalità necessita per potersi comunicare interamente.

La scelta di sparire dietro la telecamera per seguire i movimenti di Sylvester mentre abbandona la sua megavilla di Los Angeles per trasferirsi altrove, mentre ripesca nel suo passato tramite i vagabondaggi nelle enormi stanze, è vincente e originale. Così, più che un documentario nella sua forma classica, Sly risulta una scelta da parte di Stallone: una auto-analisi, una narrazione naturale e sentimentale della sua vita. E il pubblico può così penetrare il mito, comprendere il mistero indicibile, affrontare la realtà di un uomo che ha costruito attorno a sé il mito dell’eroe cinematografico per sfuggire ad un vuoto familiare, ad una infanzia difficile e solitaria. Non possiamo non vedere nello sguardo ancora smarrito di Sylvester, nonostante la sua carriera e la sua età, il vuoto di una ricerca che non troverà mai la sua meta, che non realizzerà mai il suo desiderio più profondo.

La difficile esperienza di vita di Stallone viene fuori attraverso il suo stesso racconto, la sua voce rotta e i tanti cimeli, ricordi di un passato brillante ma anche oscuro. La vita di un ragazzino povero cresciuto ad Hell’s Kitchen in una famiglia disfunzionale che trova sollievo – come tanti – in un’arte in continua espansione ed evoluzione: Sly cerca la sua verità privata nel cinema, quel grande mezzo che avrebbe reso la sua figura celebre e venerata in tutto il mondo. Il cinema diventa per il giovane attore una vita alternativa, un mondo in cui l’eroe esiste e vince sul male, in cui il bene c’è ed è ben palpabile.

La commovente storia di vita di Stallone lo immerge profondamente nella sua umanità, permettendo allo spettatore di sperimentare le sue emozioni con un impatto violento ma toccante. Sembra incredibile che la scultura umana che posò per un celebre spot, senza veli, in compagnia della supermodella Claudia Schiffer possa nascondere dentro e dietro di sé una storia familiare di abusi, di un amore paterno mancante e la ricerca perpetua di una figura che potesse tappare quel buco incolmabile. E il cinema, nella sua funzione di arte e di sogno, è ciò che ha donato a Sly la possibilità di riscatto e guarigione interpretando e creando padri ideali come Rocky Balboa o Rambo. In queste figure maschili altamente testosteroniche ma ricche di ideali, di forza, l’artista ha trovato la sua valvola di catarsi e sfogo.

La potenza guaritrice dell’arte si fa dunque largo in questo prodotto formalmente stringato ma ricco di profondità, contenuto, libertà narrativa e, infine, reale opera conoscitiva di una star internazionale che ha rappresentato per decenni il sogno americano. A coronare questa narrazione personalissima e intima, partecipano anche inserti di repertorio, interviste a big dello spettacolo che hanno condiviso con Stallone la fama negli stessi anni o che hanno visto la sua stella brillare nella loro infanzia: parliamo di personaggi del calibro di Quentin Tarantino e Arnold Schwarzenegger.

Valutazione e conclusione

Sly è un documentario creato ad arte per mettere al proprio centro il soggetto scelto: Sylvester Stallone. La star di Rocky e Rambo viene fuori in tutta la sua fragile umanità, in tutta la sua necessità di trovare il bene nel male, l’eroe all’interno della propria dolorosa storia. Le delicatezza ed il candore con cui questo racconto di successo e di vita viene portato sullo schermo è raro, e questo documentario risulta più come una consapevole e spontanea autoconfessione che come un’opera creata a tavolino per parlare della grandezza di una star. L’accompagnamento musicale di Tom Waits, sul finale, è un tocco di pura poesia che corona questo racconto commovente con una nota d’emozione irresistibile.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.2