Vita da Carlo 4: recensione del finale di stagione della serie TV
Carlo Verdone chiude il suo racconto più intimo con una stagione finale che riflette sulla carriera, la fragilità e l’eredità di un grande autore
Carlo Verdone ha raccontato tutto di sé. Le sue psicosi, il suo quotidiano, gli ostacoli del suo mestiere, la fama, l’affetto e la mitomania della gente, le sue passioni, i suoi legami familiari. In poche parole, ha raccontato la sua vita. Nell’ultimo atto di Vita da Carlo – Stagione Finale il mondo seriale dell’attore romano esce di scena in punta di piedi, ritornando alle origini. Mostra le difficoltà di un regista affermato dopo la delusione di aver toppato malamente nella direzione del Festival di Sanremo. Verdone, affiancato alla regia da Valerio Vestoso, conclude così il suo racconto iniziato ormai quattro anni fa, conferendo a quest’ultima stagione un’atmosfera più riflessiva e consapevole, in cui l’attore/protagonista lascia maggiore spazio all’umanità che lo circonda. Dopo l’anteprima alla Festa del Cinema di Roma, la serie uscirà su Paramount+ il 28 novembre. Nel cast anche Sergio Rubini, Monica Guerritore, Antonio Bannò, Caterina De Angelis, Maria Paiato e Claudia Potenza.
Si chiude un cerchio
L’ultima stagione si apre con Carlo Verdone in ritiro a Nizza, lontano dai riflettori e dal clamore mediatico post-Sanremo che l’ha sommerso. Immerso nella bellezza della Costa Azzurra, vuole concedersi un po’ di riposo, una pausa mentale che lo rigeneri completamente. Questo momento però si interrompe quando gli viene proposto di insegnare regia al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma. Lì dove ebbe inizio la sua storia. Inizialmente rifiuta. Afferma, disilluso: “Ma cosa ho da insegnare io ai ragazzi? Cosa ho lasciato alla gente?”. Poi, in aeroporto, vive un momento che gli restituisce fiducia nei confronti del suo pubblico. Di spalle, dopo l’annuncio di un volo in ritardo, alcuni ragazzi commentano l’accaduto con le battute iconiche del cinema di Verdone. Da quel momento sente il bisogno di ritornare. Di ritornare a essere il Carlo Verdone che conosciamo tutti.
Tornato a Roma, accetta la sfida di insegnare a sei aspiranti registi il mestiere del cinema. Qui incontra l’amico/nemico Sergio Rubini che, scottato da alcuni tagli alle sue scene avvenuti nel film Al lupo al lupo (1992), cerca in tutti i modi di mettere il bastone tra le ruote a Verdone. La storyline tra i due è divertente, complice la bravura degli attori (da menzionare la scena in cui mostrano agli allievi del Centro come interpretare un momento di alta drammaturgia).
Tra i momenti più apprezzabili ci sono le scene di Monica Guerritore: il suo personaggio decide di ritornare a teatro con un testo innovativo e stimolante, e l’incontro con il giovane autore risveglierà in lei sensazioni vitali mai sopite. Chicco e Maddalena, invece, sono pronti per il grande passo: tra incomprensioni lavorative e la crescita di un figlio piccolo, troveranno il modo di maturare ancora di più come coppia.
Vita da Carlo, una chiusura tra sogno e malinconia

La serie alterna momenti di quotidiano a scene più oniriche e grottesche. In quest’ultima stagione, Vestoso e Verdone si concedono la possibilità di osare un po’ di più proprio con la regia, risultando a tratti persino eccessivi. Tuttavia, il piccolo cameo con Alvaro Vitali è forse l’elemento autoriale più interessante della serie: gioca con registri diversi e sfrutta al meglio il volto un po’ felliniano e un po’ grottesco di un eterno Pierino. Verdone riesce a omaggiare uno dei caratteristi più noti del cinema italiano, donandogli un ultimo faro di celebrità prima della definitiva uscita di scena. L’attore infatti è scomparso il 24 giugno scorso, portando con sé un’intera stagione del cinema erotico degli anni Settanta.
Per quanto riguarda gli allievi del Centro Sperimentale, è interessante la dinamica maestro/alunni: due generazioni che si incontrano e si scontrano continuamente. Alcuni passaggi rivelano i cambiamenti sociali e antropologici della contemporaneità e, con essi, anche l’approccio verso il cinema. Tuttavia, la sensazione è che diversi allievi siano fin troppo stereotipati, quasi blocchi monolitici che rappresentano le varie istanze giovanili moderne.
Un peccato, perché lì risiede forse il nucleo principale della serie: il Verdone regista che lascia i riflettori ai giovani, concedendo e offrendo tutto sé stesso a chi sogna di fare del cinema la propria vita. Restano momenti di riflessione e di dolcezza, ma non completamente credibili fino in fondo. Quello che resta, più di tutto, è il volto di Carlo Verdone: da sempre un comico capace di far ridere dietro la maschera della malinconia. I suoi film sono ritratti di umanità e nevrosi collettive, rappresentate grazie al potere della risata ma irrorate di riflessioni profonde e sincere. In quest’ultima stagione tornano vivide le espressioni e le note nostalgiche di Un sacco bello, Borotalco, Maledetto il giorno che t’ho incontrato, fino a Sono pazzo di Iris Blond, Perdiamoci di vista e Viaggi di nozze.
Vita da Carlo – Stagione Finale : Valutazione e conclusione

Questa stagione finale di Vita da Carlo rappresenta l’ultimo tassello di un percorso umano e artistico iniziato quattro anni fa, ma in realtà preparato da un’intera carriera. Carlo Verdone è riuscito a raccontarsi a tutto tondo, mettendo in scena fragilità, nevrosi, ricordi, insicurezze e desideri con una sincerità che non è affatto scontata nel mondo dello spettacolo. Con questo capitolo conclusivo si chiude il ritratto di un regista e attore che, lungo tutta la sua filmografia, ha saputo parlare di sé attraverso le idiosincrasie degli italiani, facendo ridere e riflettere allo stesso tempo.
Per chi ama Verdone, la serie assume quasi il valore di un simulacro della sua vita: un luogo narrativo in cui l’autore si concede totalmente, mostrando senza filtri ciò che rimane quando i riflettori si spengono. Ed è qui che Vita da Carlo trova il suo senso più profondo: ricordarci che dietro la statura iconica di un grande attore si nascondono le stesse difficoltà, fragilità e ostacoli di una persona qualunque. Ed è proprio in questa normalità così esposta, così autentica, che risiede il valore più prezioso della serie.