This city is ours: recensione del crime drama di TIMVision

Una serie eccezionale, da non perdere!

Crime drama trasmesso su BBC One, This city is ours è creata da Stephen Butchard, precedentemente noto per The last kingdom e per due serie tv inedite in Italia. Già rinnovata a maggio 2025 per una seconda stagione, This city is ours, è scritta dallo stesso Stephen Butchard insieme a Robbie O’Neill. Con un cast stellare, tra cui anche Sean Bean, This city is ours arriva su TIMVision dal 10 luglio 2025 dove sarà disponibile con tutti gli otto episodi che la compongono. La trama della serie si concentra su Michael, secondo al boss di Liverpool, Lonnie Phelan. Nonostante tutti sappiano che Michael è il diretto successore di Lonnie, Jaime, l’ambizioso figlio di Lonnie, vorrebbe avere la possibilità di dimostrare al padre quanto vale. Un carico di droga in arrivo al porto sparisce e tutti sospettano che sia opera di qualcuno all’interno della famiglia di Lonnie Phelan. Mentre ognuno cerca di mettere ordine e ritrovare stabilità nella propria vita, affari e guadagni vacillano e l’equilibrio diventa un miraggio sempre più lontano.

This city is ours e l’inaspettata esplorazione dell’umanità nel mondo della malavita

This city is ours - cinematographe.it

This city is ours è un piccolo gioiello britannico con un cast irripetibile, e che pur seguendo il filone del crime, il più in voga degli ultimi anni, si distingue in ogni aspetto. Partendo dall’ambientazione: la serie si svolge a Liverpool, presentata come una città tanto grigia quanto Londra, ma molto meno magica ed estrosa, dove tra il porto e i sobborghi dislocati, si respira un’aria di monotonia e giornate uguali a se stesse. Dove è appunto nel mondo della criminalità che vide la possibilità che esista davvero qualcosa di diverso. Grattacieli e riprese dall’alto mostrano un piccolo centro interamente controllato dalla famiglia Phelan. Non si vedono ville dal lusso o dallo sfarzo eccessivo, e non è il possibile aumento di guadagno, come spesso accade in serie del genere, a scuotere i personaggi. This city is ours decide di scavare in profondità, e di mostrare l’umanità di persone abituate a uno stile di vita dove l’omicidio è concesso, così come l’uso delle armi e il traffico di droga.

Eppure questo non ha reso ognuna delle figure legate a quel mondo del tutto apatiche e anaffettive, assuefatti dal concetto di morte, vendetta e faide familiari; allenati a non provare più nulla quando queste bussano nuovamente alla loro porta. Un tradimento da parte di qualcuno che si considerava fidato non è visto solo con rabbia. Tutti i personaggi appaiono tormentati, delusi, increduli, angustiati da ciò che hanno fatto, hanno visto e spesso hanno fatto finta di non vedere. Come accade in altre serie che raccontano storie simili e che sempre riguardano il mondo della criminalità organizzata, molte azioni appaiono avventate, esagerate, ma This city is ours riesce a renderle anche “comprensibili”. Pur sempre nell’universo che racconta. Ed eleva alla nozione di necessario un significato che acquista forme diverse. Necessario per salvarsi, per uscire da quel mondo, per cambiare vita. Necessario per non rischiare, per prevenire una guerra, per non dover sopportare il peso di un cambio di successione.

La lotta per il potere tra famiglie nel mondo della criminalità organizzata è diventato un genere a sé stante

This city is ours

L’avversione, il conflitto, l’astio che rasenta l’odio è trattenuto, frenato, controllato, visibile e materiale negli occhi, nei muscoli tesi del viso, nelle vene del collo che si contraggono aumentando di dimensione e consistenza. Fino ai denti serrati che sembrano reprimere e sedare parole letali. Fino a quel timbro di voce che cerca, invano, di non scoppiare in quell’azzardata collera che diventerà un pericolo per se stesso, più che per gli altri. Non c’è spazio per sdegno o furia quando questa è puramente verbale. Lo scontro è destino ineluttabile e quello che nasce dalle vere pieghe vocali è solo profezia di una tempesta che avrà un vincitore e un vinto. L’archetipo del membro della criminalità organizzata che si sente estromesso, sopraffatto, emarginato, escluso dopo aver “servito” per anni chi credeva avere tutto sotto controllo, in This city is ours è l’insulto, lo sfregio, la ferita e l’umiliazione alla quale non si può soprassedere. 

Da MobLand a Top boy, da Gangs of London a Kin, non è solo il crime ad attirare il pubblico più ampio, ma sempre di più famiglie della malavita londinese o di quartiere, con Kin che si sposta in Irlanda, che si contendono il potere e il dominio del territorio. Ma in This city is ours, tra violenza, passività e inerzia, c’è più spazio per emotività, sensibilità e soprattutto umanità. La stessa crudezza è velata, mai evidente, gratuita o spropositata. Ogni grilletto che viene premuto è, come ci si aspetterebbe, la lenta corruzione dell’individuo. I soggetti della serie sono prima di tutto persone, e anche la sfida e la vendetta più spregevoli, infime, squallide e misere, sono date dalla sofferenza. Quella che nasce però all’interno dell’ambiente criminale: essere ignorati, comandati, non più ascoltati, o peggio sfidati, provocati e affrontati. Quella sofferenza che, nel suo nesso con la criminalità, ha solo insegnato aggressività e smodata orrenda esagerazione.

This city is ours e i suoi primari aspetti che la rendono una serie da non perdere

This city is ours

This city is ours è una serie dove nulla è scontato, dove ogni aspetto è al proprio posto. Non coinvolge solo in ciò che accade, ma in ciò che si sente, si prova, si testa e si intuisce, stia accadendo all’interno dei personaggi e tra i personaggi. This city is ours è infatti una storia fatta di personaggi, di figure che vengono magistralmente interpretate da attori come James Nelson-Joyce, Sean Bean, Julie Graham, Hannah Onslow, Jack Mullen, Bobby Schofield, Mike Noble, insieme a moltissimi altri. Ognuno è punto di uno schema studiato: c’è rivalità, devozione, stima, rancore, sfiducia e rammarico. Famiglia di sangue e famiglia acquisita, negli anni, tra ammirazione e fedeltà. La regia è quindi attenta ai volti, al modo di camminare, di vestire, di rispondere e di rimanere in silenzio. E mostra i secondi che si susseguono interminabili e faticosi nella sequenze di suspence, abbandonando sempre di più la sorpresa del colpo di scena, che si aspetta fin troppo, e che funziona ormai solo in alcuni casi.

E This city is ours sa quando è il momento di sorprende e quando invece di stupire nella tesa staticità di quello che non accade. Tutto nella plumbea e cinerea città marittima di Liverpool, tra magazzini, banchine, container, mattoni rossi, colonne in ghisa e droni, che a 130 metri di altezza, coronano l’intero capoluogo della contea del Merseyside. La fotografia si serve di colori come il verde, l’indaco e il blu, insieme alle loro sfumature. E dove anche nelle loro tonalità più accese, questi vengono oscurati e offuscati da un grigio perlaceo che sovrasta, sempre, ogni angolo della città. Nei locali interni si coglie e si afferra una maggiore luminosità, tra l’eleganza dei costumi e degli ambienti, nella ricerca interiore dei protagonisti di creare situazioni intoccabili di relax, tranquillità e pace. In luoghi di classe, sofisticati e chic, dotati di ogni comfort. Dove l’irruenza e la crudeltà della malavita non devono mai entrare.

Quando la colonna sonora si guadagna l’appellativo di “eccezionale”

This city is ours

This city is ours è molto più di un accurato crime drama del panorama britannico. E ha il pregio di non assomigliare fin troppo a serie tv che trattano lo stesso tema. E che invece di mostrare famiglie in lotta tra loro, mira preferibilmente ai singoli soggetti in conflitto, dove il conflitto non è basato solo sugli affari. Su sentimenti interni, disaccordi e divergenze che non hanno l’interesse di trovare un punto d’incontro. Per non parlare di come questo si leghi anche alla colonna sonora, spesso all’inizio, a metà e alla fine di ogni episodio che regala momenti indimenticabili: da Take care of business di Nina Simone ad A well respected man dei The Kinks, da Sway di Dean Martin a La casa del sol naciente di Frida Boccana, fino a The good life di Tony Bennett, insieme a tantissime altre. Un connubio di brani noti al grande pubblico volte non solo raffinare e arricchire la serie, ma anche a sottolineare il contrasto tra il mondo in cui si vive e i tratti caratteriali dei personaggi.

This city is ours: valutazione e conclusione

This city is ours

La serie creata da Stephen Butchard riesce ad essere inaspettata e credibile, non facendo solo dello spettacolare e del sensazionale, elemento capace di coinvolgere, entusiasmare e appassionare. C’è una volontà, mai troppo lampante, che sennò avrebbe reso lo show didascalico, di chiarire come si stiano rappresentando prima essere umani e poi quelle stesse personalità all’interno della malavita. Una scelta che si è abbandonata negli anni, sembrando forse un’ovvietà, ma che in This city is ours non poteva funzionare al meglio. La sceneggiatura della serie tv attesta l’unicità dello show, che andrebbe vista in lingua originale, tra un accento incomprensibile – non a caso Liverpool è proprio al confine con il Galles – e modi di dire sconosciuti. Con battute che però si modificano in base a chi le pronuncia, tra mezze verità e risposte taciute che non possono che essere affermative. This city is ours è una serie da gustare puntata dopo puntata e che, in attesa della seconda stagione, regala un finale al cardiopalma. 

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Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 5
Sonoro - 5
Emozione - 4

4.3

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