The Witcher – Stagione 4: recensione dell’ultima stagione

Questa volta c’è qualcosa di stranamente malinconico nel tornare nel Continente. Non è solo una questione di continuità narrativa: è come entrare in una casa che conosci bene, ma dove i mobili sono stati spostati, i colori delle pareti cambiati e il profumo che ti accoglie non è più lo stesso. Così si presenta la quarta stagione di The Witcher, l’amata serie fantasy tratta dai romanzi di Andrzej Sapkowski, che ha finalmente fatto il suo debutto su Netflix il 30 ottobre 2025, dividendo definitivamente il suo pubblico e la critica. The Witcher 4 si presenta come un momento di svolta, o quanto meno di biforcazione significativa, per il destino dello show. Con l’addio dell’ormai iconico Henry Cavill nei panni di Geralt di Rivia e il passaggio di testimone all’attore Liam Hemsworth, questo nuovo ciclo non vuol dire soltanto “continuare”, ma rilanciare. Ma il rilancio avrà funzionato davvero? In parte sì, in parte no. Tuttavia, ridurre la quarta stagione al cambio di volto del protagonista sarebbe ingiusto, perché, se qualcosa The Witcher ha sempre tentato di fare, è raccontare il mutamento: delle persone, dei mondi, delle idee di eroismo. E questa stagione, pur con le sue imperfezioni, è tutta una lunga riflessione su cosa significhi cambiare senza smettere di essere sé stessi.

The Witcher - Stagione 4: la recensione dell'ultima stagione Cinematographe.it

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The Witcher 4, una storia di separazioni e ricongiungimenti

La quarta stagione riparte dalle macerie: la guerra tra gli stati del Continente infuria, le fazioni si confondono e i legami che univano i nostri protagonisti, Geralt, Yennefer e Ciri, si sono dissolti. Geralt, ferito, isolato e più umano che mai, deve ritrovare la forza di essere “il Lupo Bianco” in un mondo che non lo riconosce più. Yennefer tenta di ricostruire la propria Loggia delle Maghe, mentre Ciri, sempre più consapevole del potere oscuro che la attraversa, si rifugia con una banda di ribelli, i Rats, in un’oscura parabola sulla perdita dell’innocenza. Questa frammentazione in tre linee narrative, tenta di riflettere l’instabilità del mondo che circonda i nostri personaggi, diventando la chiave strutturale della stagione: la storia si apre, si disperde e poi lentamente tenta di ricomporsi.

È un racconto sul disfacimento e sulla ricostruzione, di un mondo, un’identità e un’ideologia. In questo senso The Witcher 4 ha una certa coerenza poetica, anche se a livello ritmico non sempre riesce a mantenere la tensione emotiva che la scrittura promette. Infatti, il ritmo spesso durante gli episodi si fa altalenante e alcune storyline risultano più lente o meno incisive di quanto ci si potrebbe aspettare da una stagione conclusiva che avrebbe potuto (o forse dovuto) accelerare verso una conclusione.

Il nuovo Geralt: un’ombra o una rinascita?

Il cambio di attore, lo si sapeva, sarebbe stato l’elefante nella stanza. Hemsworth affronta la sfida con dignità e intelligenza, non cercando di imitare Cavill, ma di reinterpretarlo, di dare al personaggio un tono meno titanico e più ferito, quasi disilluso. Il suo Geralt parla poco, osserva molto, agisce con lentezza, come se sentisse sempre addosso il peso del tempo. È un guerriero stanco, più che un eroe in missione. La serie sembra consapevole di questa mutazione e la sfrutta a proprio vantaggio, costruendo attorno a lui una malinconia palpabile, un’eco di perdita che attraversa anche lo spettatore. Certo, manca la potenza iconica di Cavill, una presenza che bastava a riempire lo schermo, ma c’è nel nuovo sguardo di Hemsworth una fragilità che rende il personaggio più umano, più crepuscolare.

Yennefer e Ciri, la forza dei personaggi femminili

Anya Chalotra conferma la sua Yennefer come una delle figure più complesse dell’intera serie. Questa stagione la mostra più matura, più lucida, ma anche più sola. Il suo rapporto con la magia si fa meno esteriore e più politico: la strega diventa costruttrice, diplomatica, madre mancata e guida riluttante. Ciri invece, interpretata con sapienza da Freya Allan, è il vero cuore emotivo della quarta stagione di The Witcher. Ciri è una giovane donna in fuga non solo dai suoi inseguitori, ma soprattutto da se stessa e da ciò che sta diventando. L’arco narrativo dei Rats, sebbene non sia sempre gestito con equilibrio, porta la serie in territori inesplorati, più sporchi, underground e punk, regalandoci uno sguardo inedito sul Continente, visto non solo come campo di battaglia medievale, ma come un crogiolo di disperazioni giovanili.

The Witcher 4: punti di forza e punti deboli

In questa stagione, The Witcher abbandona parzialmente la sua natura da action-fantasy per abbracciare qualcosa di più riflessivo. C’è meno enfasi sul mostro da affrontare e più attenzione sul senso politico della storia, perché il vero male non è più incarnato nella creatura che emerge dalla foresta, ma dall’umanità che si consuma nell’odio, nell’ambizione e nel desiderio di controllo. L’intera stagione diventa una metafora dell’identità: cosa resta di noi quando cambiamo? Possiamo ancora essere “noi stessi” se il mondo ci rifiuta nella nostra nuova forma? Domande che risuonano anche sul piano metanarrativo: The Witcher 4 è, a tutti gli effetti, una serie che parla della propria trasformazione, del tentativo di essere se stessa pur essendo diversa. A livello visivo, la quarta stagione mantiene la sontuosità che ha sempre contraddistinto The Witcher: le battaglie sono più asciutte ma più viscerali, con ambientazioni che oscillano tra il cupo e il lirico; la fotografia lavora molto con i contrasti, con il rosso e l’oro della magia che entrano in contrasto con il blu pallido delle notti del Nord e il grigio delle strade fangose dove i personaggi si perdono.

Se da un lato la serie guadagna profondità emotiva e un tono più intimista, dall’altro perde un po’ di ritmo. I primi episodi faticano a ingranare, impiegano tempo per ricollegare i fili narrativi e solo verso la seconda metà la stagione trova un equilibrio più convincente. Le linee narrative di Ciri e Yennefer sono spesso più forti di quella di Geralt, che in alcuni momenti sembra ridotto a mero osservatore della storia, ma è un effetto voluto: The Witcher si sta preparando alla sua conclusione e questa stagione appare come il respiro prima dell’ultimo colpo di spada.

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The Witcher – Stagione 4: valutazioni e conclusioni

The Witcher – Stagione 4 è un lavoro di passaggio, imperfetto ma sincero. Non è la stagione più spettacolare, né la più coerente, ma è quella più consapevole. È una serie che accetta di mostrarsi vulnerabile, di rivelare le proprie crepe. Il nuovo Geralt non è una replica, ma una rinascita, lenta, esitante, ma necessaria. E così come il Lupo Bianco deve imparare di nuovo a combattere, anche la serie sembra imparare di nuovo a respirare.

Per chi cerca il puro intrattenimento, forse in questa stagione troverà più introspezione del previsto; per chi invece ama vedere un mondo che si evolve, si smarrisce e si ritrova, questa stagione è una tappa indispensabile. In fondo, The Witcher 4 ci ricorda che cambiare non è tradire la propria natura: cambiare è, a volte, l’unico modo per sopravvivere.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

3

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