The Walking Dead: Dead City – stagione 2: recensione della serie TV

The Walking Dead è in continua evoluzione e le tematiche in Dead City ci sono, peccato che arrivano realmente solo nell'ultima puntata.

Torna il quarto spin-off di uno dei franchise che hanno fatto la Storia della serialità televisiva e che continua a raccontare le storie dei suoi personaggi: dal 4 agosto 2025 arriva la seconda stagione di The Walking Dead: Dead City, incentrata sull’alleanza tra Maggie e Negan, ancora nemici e la cui sete di vendetta, in particolare quella da parte di Maggie, e quella di riscatto, da parte di Negan, sembrano entrambe non arrivare mai a compimento. Lauren Cohan e Jeffrey Dean Morgan rivestono nuovamente i panni dei loro storici personaggi, insieme a Logan Kim che interpreta Hershel, Željko Ivanek, volto del Croato, Gaius Charles che interpreta Armstrong, alleato di Maggie e membro della New Babylon e Mahina Napoleon che veste i panni di Ginny. Tra i nuovi personaggi Lisa Emery, volto di Dama, Dascha Polanco che interpreta Lucia Navarez, sottoposta di Armstrong e fedele soldato della New Babylon e Keir Gilchrist che interpreta Benjamin Pierce, uno storico che vedrà la sua lealtà vacillare più volte. Composta questa volta da 8 episodi invece che da 6 come la prima stagione, The Walking Dead: Dead City è stata rinnovata per una terza stagione che vedrà anche un cambio di showrunner con Seth Hoffman che sostituisce Eli Jorné.

The Walking Dead: Dead City: l’obiettivo finale della seconda stagione si rivela identico a quello della prima

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Nonostante The Walking Dead: Dead City abbia qualcosa in più rispetto alla prima stagione, i cali di ritmo sono inequivocabili e, soprattuto, pesano gravemente. La serie appare monotona, ravvivata da ciò che nello show originale aveva provocato uno shock, sbalordito e lasciato del tutto senza parole. La tensione è palpabile, così come anche i momenti di suspense, ma sia il filo conduttore che la missione finale di cui scene cariche di inquietudine e agitazione sono tappe obbligate, non sono così efficaci. La conclusione e le scelte che ne conseguono sono forse l’unica parte che convince e che chiude, aprendo nuovi inizi, le storyline di ognuno dei personaggi. Sembrando in più mettere un punto a un odio esasperato e una rivalità assillante che ha contraddistinto i primi due capitoli: quella tra Maggie e Negan. Dando vita anche a una nuova fase del rapporto tra Maggie e suo figlio, con Maggie che si separa da quel compito di proteggerlo ad ogni costo. Una volontà che, nella prima, come nella seconda stagione, aveva un po’ sconfortato.

Non si tratta di una poca persuasione del personaggio, anzi il maggiore spessore dato alla figura di Hershel è uno dei lineamenti più convincenti della seconda stagione. Il problema è un altro: è chiaro come Hershel sia del tutto in grado di cavarsela da solo, almeno esteriormente; inoltre il dovere di salvare qualcuno non basta più come dato di coinvolgimento di The Walking Dead, non di certo ai fan della serie originale. Per quanto Dead City, differentemente dagli altri spin-off, sia il più simile alla serie originale, c’è bisogno di qualcosa di nuovo. Ciò che va portato a termine deve alzare l’asticella di un universo che è cambiato. Il materiale in Dead City però c’era: l’elettricità che potrebbe tornare, con alcuni pronti ad uccidere e morire per averla e altri che vi rinunciano, avendo come desiderio solo quello di sopravvivere; i più giovani nati durante l’apocalisse zombi ai quali non manca un mondo che non hanno mai conosciuto e per questo sono estremamente vulnerabili.

Le nuove generazioni alla guida di un pianeta Terra che continua a trasformarsi

The Walking Dead: Dead City 2

L’adolescenza di bambini che sanno combattere e uccidere, il sogno di un mondo migliore che bisogna avere la forza di non identificare per forza simile a com’era prima, e unirsi, mettendo da parte il passato, per annientare un nemico comune. Elementi e ambiti presenti in The Walking Dead: Dead City, ma lasciati fin troppo a margine, mettendo come incarico primario sempre la difesa, la tutela e la custodia di qualcuno. Un qualcuno che forse non vuole neanche essere salvato. Da qui la caratterizzazione di Hershel che invece funziona: emotivamente fragile, in crisi nei confronti di una madre che giudica ancora ossessionata da Negan e che vede l’omicidio come un qualcosa di normale, di quotidiano, di ovvio. Fuorviato e traviato da un nuovo villain le cui intenzioni non sono del tutto chiare, ma che è capace di esercitare su di lui un controllo. Mascherandolo da affetto e fiducia. Ecco che il Croato, diversamente dalla prima stagione, non è più l’avversario numero uno.

The Walking Dead: Dead City – stagione 2: valutazione e conclusione

The Walking Dead: Dead City 2

Nella seconda stagione di The Walking Dead: Dead City bisogna fare i conti con la mente dietro la figura del Croato: Dama, donna misteriosa, sadica, imperscrutabile e crudele, e che trova terreno fertile nell’animo esposto e indifeso di Hershel. Questa è la vera minaccia, l’innesco insidioso che doveva stravolgere la serie. Invece ci si concentra su qualcosa di già visto, su una violenza che è quasi ordinaria e non stupisce più né personaggi né spettatori. Con un maggior bisogno di eroi e meno di villain. La caratterizzazione dei personaggi e anche la regia sono ancora un punto di forza, ma serve un po’ più di coraggio, una ventata di innovazione e per quanto The Walking Dead ha sempre avuto tutti i presupposti per essere un storia infinita, la necessità di ampliare le situazioni che gravitano intorno agli effetti dell’apocalisse zombi è ormai palese. La sceneggiatura manca quindi un po’ di creatività, e forse anche di audacia. L’universo di The Walking Dead è in continua evoluzione e le tematiche in Dead City ci sono, peccato che arrivano realmente solo nell’ultima puntata.

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Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.8