Shahmaran: recensione della serie turca su Netflix

Quando Sahsu arriva ad Instanbul per una masterclass in università, si trova al centro di una storia che viene dal passato...

Shahmaran è una serie turca con Serenay Sarikaya, Mustafa Ugurlu, Burak Deniz, scritta da Pinar Bulut e diretta da Umur Turagay; è distribuita su Netflix il 20 gennaio 2023 ed è composta da otto episodi.

Shahmaran racconta di Sahsu (Serenay Sarikaya), dottoranda di Istanbul che si reca ad Adana per una conferenza in qualità ospite in un’università. Sahsu trova però il tempo per incontrare e parlare con il nonno, Davut (Mustafa Ugurlu), che ha abbandonato la madre morta diversi decenni prima. Non è però questo il suo problema: o non l’unico.
Il vicino di casa di suo nonno, Maran (Burak Deniz), ma più in generale la sua intera famiglia, sono profondamente coinvolti in una profezia mistica nella quale Sahsu pare sia parte integrante. Quando allora iniziano a verificarsi presagi e simili, Sahsu inizia a credere alle parole dei suoi parenti.

Dalla Turchia con passione

Fin dalla trama, Shahmaran si pone come una serie costruita su elementi diversi dal solito, che fanno della stravaganza il loro punto forte.
Sahsu e Davut e il loro rapporto è la relazione fondante della storia, facendo partire una serie di azioni e reazioni che allargano il focus come cerchi concentrici al rapporto sentimentale tra la protagonista e Maran (potenzialmente pericolosa). Le dinamiche della storia d’amore corrono allora parallele a quelle famigliari: un duello continuo tra obbligo e desiderio, tra ciò che si vuole fare e ciò che invece si deve.

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La narrazione allora procede per singoli momenti, prendendosi tutto il tempo per raccontare i suoi personaggi e delinearli attraverso il loro confronto: in questo modo, il ritmo non ne risente ma diventa una cifra caratteristica dello show, mantenendo come una linea stabile tra l’inizio e la fine.

Per questo, più della trama ad essere centrali in Shahmaran sono i personaggi: Sahsu e Maran soprattutto, anche se l’utilizzo che si fa di Sarikaya è fin troppo incentrato sulla sua avvenenza fisica, puntando continuamente l’attenzione su una sua fisicità che non si perde occasione di sottolineare.

In ogni caso, Shahmaran è perfettamente in linea con certa produzione turca, nella quale gli stereotipi (fisici e narrativi) prendono sempre il predomino su tutto il resto: qui, in particolare, sul còte di tradizioni e leggende che avrebbero invece potuto essere un ottimo spunto per una dimensione narrativa altra.

Perché alla fine la storia della donna che si tramuta in serpente si perde per strada diventando solo un altro racconto di un amore ostacolato dagli eventi.
Quello che manca è insomma la gestione, intelligente, di una buona idea di base; e si nota soprattutto una tessitura drammatica che disloca malamente i diversi punti di tensione, svelando troppo tardi alcuni elementi che sarebbe stato interessante vedere spiegati negli episodi centrali, puntellando in questo modo quel ritmo di cui si parlava sopra che così è diluito.

Gli errori di costruzione della serie

La Shahmaran è comunque una creatura con un corpo per metà di serpente e per metà di donna, che viene dal folklore e dalla tradizione turca e in varie forme è arrivata fino a oggi. È anche utilizzata in Medio Oriente dalla comunità LGBQT+.

Senza dire che invece l’apparato culturale e sociale in cui la storia è ambientata, interessantissimo se ben inserito e ben spalmato lungo gli otto episodi, viene dato scontato come se lo spettatore dovesse già esserne a conoscenza (quando invece è tutto il contrario, perché la forza di Netflix sta proprio nel mostrare ad un pubblico più ampio possibile storie, leggende e contesti sociali nascosti e/o poco conosciuti).

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2

2

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