Sandman – stagione 2: recensione della parte 1 della serie Netflix
Sandman 2 conferma che alcuni fumetti non dovrebbero diventare serie TV, ma essere lasciati Empireo in cui risiedono.
Disponibile su Netflix dal 3 luglio 2025, la prima parte della seconda stagione di Sandman adatta principalmente le storie La stagione delle nebbie e Vite brevi, quest’ultima destinata a portare a conclusione la storia dell’incarnazione attuale di Sogno.
Morfeo è l’epicentro narrativo di Sandman 2

La serie si incentra sui tentativi del Signore dei sogni di correggere alcuni errori commessi in passato, a causa del suo carattere poco conciliante. Morfeo decide di liberare Nada, la regina dei primi umani, dall’Inferno, cui egli stesso l’aveva condannata per un rifiuto. In seguito deve gestire le mire di varie divinità, che vorrebbero il dominio proprio su un Inferno svuotato e chiuso a tempo indeterminato da Lucifero, il quale, stanco di farne il regnante, ha cercato di appiopparne la responsabilità al Signore dei sogni. Infine, risolta anche questa magagna, il pallido tessitore si imbarca in un viaggio con la sorella minore Delirio, volto a ritrovare il fratello perduto Distruzione. Durante questo viaggio Morfeo dovrà confrontarsi con ciò che rimane di suo figlio, l’Orfeo della mitologia greca.
Insomma la carne al fuoco è tanta, così questa stagione, per risultare più coesa, decide di fare di Morfeo l’unico vero centro narrativo. Attorno al Re dei sogni si muovono ancora i soliti comprimari e alcuni nuovi personaggi, ma l’unico punto focale rimane il percorso di crescita che ci presenta il protagonista come una sorta di serioso Sheldon (Big Bang Theory), in versione dark, pronto finalmente a maturare e abbandonare le proprie psicosi. Morfeo riscoprirà l’importanza dei legami familiari, la necessità di accettare i rifiuti in amore e il punto di vista altrui, oltreché i doveri paterni. Niente di nuovo, tutto già presente nei fumetti.
Cosa non funziona in Sandman 2, la serie TV Netflix tra fumetto e messa in scena

Il problema della serie sta però nelle modalità di messa in scena e nelle semplificazioni narrative attuate. La serie a fumetti di Gaiman risultava affascinante e profonda proprio perché in grado di raccontare queste tematiche universali, caricandole di simbolismi e sovrastrutture narrative, che ne facevano la materia con cui raccontare infinite storie. Storie che si moltiplicavano fra le pieghe dell’immaginario mitico e letterario globale, fino a divenire rami infiniti delle varie sfaccettature dell’esistenza.
Così si raccontava Shakespeare mentre si rifletteva sulla natura del teatro e la necessità dell’uomo di creare storie/sogni, oppure si parlava di femminismo, di identità di genere e di necessità di autodeterminarsi attraverso la storia di Rose Walker, Barbie e della transgender Wanda Mann. Il mondo dei sogni fumettistico diventava davvero la materia con cui riscrivere la realtà a un livello più profondo, grazie anche a cangianti stili di disegno, che riproponevano topoi estetici e narrativi di periodi storici diversi, dall’incisione rinascimentale, ai comics di supereroi – si ricordi che Sandman sarebbe, in teoria, ambientato nel DC Universe -, dal cinema della Nouvelle Vague all’Espressionismo tedesco. Le vignette stesse erano spesso organizzate per riproporre le strutture del montaggio di alcuni dei generi filmici di riferimento o la forma del racconto illustrato ottocentesco. Questa varietà visiva si accompagnava all’approfondimento di ogni singolo personaggio, che a volte appariva più umano dei suoi stessi lettori.

Nella serie di Netflix invece tutto è appiattito a un’estetica patinata, accattivante certo, ma anonima. L’estetica transnazionale seriale generata proprio da Netflix in cui brillano, nel caso specifico, alcune trovate visive – come la forma oscura di Morfeo o la comparsa delle Baccanti – ma che in definitiva rientra nel monocorde panorama dell’odierna ossessione cinefotografica per il Teal and Orange e le luci al neon. Inoltre i vari personaggi non trovano il giusto tempo di approfondimento e così sembrano essere quasi delle caricature, macchiette buttate lì per dare un tono al tutto (Shakespeare) o per continuare l’opera di empowerment superficiale per “minoranze à la page”. Quest’ultimo aspetto è forse il più fastidioso, perché riconduce all’interno dei territori degli odierni cliché falsamente progressisti, personaggi come Wanda Mann, la cui storia nel fumetto aveva una forza e una potenza tale, da essere davvero un pugno allo stomaco per tutte le bieche pretese reazionarie di normalizzazione delle identità non binarie.
Sandman – stagione 2: valutazione e conclusione

Infine un’ultima critica. L’aspetto fortemente legato alla sottocultura goth degli Eterni, in questa serie è solo una patina superficiale che rende i protagonisti, Sogno per primo, al massimo dei modelli da club-revival darkwave, laddove nell’originale a fumetti la sottocultura goth-punk veniva intesa come la manifestazione postmoderna di idee e stilemi radicati in un certo tipo di cultura millenaria inglese.
Insomma questo primo volume della seconda stagione di Sandman, al netto di una confezione tecnica medio-alta, finisce per confermare quello che già appariva palese nella prima stagione. Alcune opere fumettistiche, che hanno la loro forza nell’utilizzo innovativo nelle tecniche narrative del medium cartaceo, andrebbero lasciate nell’Empireo in cui risiedono. Anche al di là delle intenzioni degli autori – Gaiman è stato coinvolto attivamente nel progetto, ma non è riuscito a salvarlo. Il tempo passa per tutti – e in questo caso, poi, il nostro autore rischia di rivelarsi un idolo infranto, da punti di vista ben più gravi rispetto a quelli artistici, nel caso in cui le accuse di violenza sessuale dovessero rivelarsi fondate.