Rocco Schiavone 4: recensione del primo episodio della fiction con Marco Giallini

Rocco Schiavone è tornato: una quarta stagione di sole due puntate ma particolarmente significative per comprendere ancora di più la geografia sentimentale del vicequestore interpretato da Marco Giallini.

Prodotto da Cross Production e Beta Film insieme a Rai Fiction per la regia di Simone Spada, Marco Giallini torna a vestire i panni di Rocco Schiavone in soli due episodi che compongono la quarta stagione, quasi un completamento della terza voluti dal regista. Queste due nuove puntate, per dare al personaggio di Schiavone ancora più profondita e la percezione che si ha è quella delle infinite sfumature di un uomo per cui la vita sembra ricominciare daccapo pur restando sempre la stessa.

Così tutto riparte dai punti oscuri dell’ultimo episodio della terza stagione, che se voleva suggerirci magari una fuga definitiva di Schiavone dal suo passato con un finale in stile Cast Away, la verità è che si era alzata troppa polvere per lasciarsi alle spalle un passato che sembrava definitivamente chiuso.

Rocco Schiavone 4: la trama della fiction di Rai Due con Marco Giallini

Rocco Schiavone (Marco Giallini) ha lasciato l’Italia: dopo le rivelazioni di Enzo Baiocchi, il fratello dell’uomo ucciso da Schiavone per vendicare l’omicidio della moglie, il vicequestore romano, per timore che la Polizia possa risalire a lui, prova a scappare da Aosta e al massimo attendere che il caso faccia il suo corso.

Rocco Schiavone 4 - Cinematographe.it

Grazie però ai suoi compagni Furio (Mirko Frezza) e Brizio (Tullio Sorrentino), viene a sapere che il corpo di Luigi Baiocchi non è stato rinvenuto dove Rocco credeva di averlo sepolto. Si apre così un nuovo interrogativo per Schiavone, che intanto può tornare in Italia e riprendere le indagini sul caso Fauvre, da lui bruscamente abbandonato.

Toccata e fuga per Schiavone: un epilogo possibile

Schiavone potrebbe essere il Montalbano burbero irriverente e politicamente scorretto di Rai Due per il materiale narrativo che offre, ma forse conoscendolo non amerebbe questo destino e ad un certo punto direbbe Chi è che scassa. Il personaggio nato dalla penna di Antonio Manzini dimostra ancora una volta di avere una geografia di storie e sentimenti interiori così ricca da poter fornire materiale per diverse stagioni, o magari episodi occasionali, che arricchiscano e completino l’immagine che abbiamo del vicequestore romano trapiantato ad Aosta.

Marco Giallini - Cinematographe.it

Rispetto alle serie precedenti da questa quarta possiamo aspettarci un epilogo, magari un finale della genesi stessa del personaggio, così come della sua storia. Ma se questo aspetto è in forse e lasciato al caso, è certo che la quarta è una stagione per lo più d’azione e di risoluzione. I dialoghi con la moglie, a cui ci eravamo abituati e che erano uno dei momenti sicuramente più intensi della serie, sono quasi assenti, come se i suoi demoni si fossero silenziati: ma parliamo di Rocco Schiavone, e in verità tutto resta potenzialmente possibile quando parliamo della sua matassa interiore.

Il primo episodio comincia infatti con il ritorno di Schiavone in Italia, il suo ritorno ai doveri di vicequestione, che non gli offre il tempo di concentrarsi su un interrogativo di cui ancora non sembra del tutto capacitarsi: l’assenza del corpo di Luigi Baiocchi, l’assassino della moglie seppellito proprio da lui e la fuga del fratello Enzo di Baiocchi, dopo che era stato lui stesso a risollevare il caso e a mettere in fuga il vicequestore. Schiavone però sembra quasi voler rifuggire da questa verità, come se volesse che la risposta arrivi da sé, senza doversi sforzare troppo per cercarla. Forse per non soffrire più o forse perché nulla cambierebbe al suo presente.

Se da un lato quindi Rocco Schiavone 4 sceglie la strada dell’indagine interiore e umana sollevando tanti interrogativi, dall’altra riesce a dare allo spettatore tutto quello che ha reso la serie di Cross Production una fuori classe delle fiction Rai. Un personaggio privo di cliché, una fotografia fumosa e per niente banale, una musica che interviene solo quando deve e una regia che riesce a rubare l’essenziale della Valle d’Aosta che non racconta se stessa, ma i paesaggi emotivi ed interiori di uno degli antieroi che resta attualmente il più riuscito e autentico di casa Rai.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.5

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