Palpito: recensione della serie Tv Netflix

Il 2022 di Netflix ha forse la sua serie tv peggiore. Palpito è il thriller mascherato da telenovela colombiana destinato (comprensibilmente) a scomparire. Dal 20 aprile.

Due anni fa, 365 giorni è stato considerato da molti (e non si fatica a comprendere perché) l’apice ineguagliabile delle brutture di Netflix. Un film problematico ed estremamente mediocre, frutto di un adattamento estremo e orgogliosamente trash, eppure, quello stesso anno, in cima alle classifiche dei più visti per numerose settimane. Un vero e proprio fenomeno mediatico che ha diviso critica e pubblico e, a sua volta, il pubblico stesso: c’è chi tutto sommato ha passato quasi due ore di sano guilty pleasure, c’è chi invece si accodava ai giornalisti rifiutandone il contenuto e puntando il dito contro la raffigurazione del suo controverso erotismo.

Arriva ora un contender in versione seriale, una risposta di tutto ‘rispetto’ alla pellicola polacca che lascia pochi dubbi sul perché la piattaforma americana stia perdendo così tanti abbonati. Palpito, così si chiama la serie tv in questione disponibile su Netflix dal 20 aprile con tutte i suoi (lunghi) 14 episodi, è la storia di un cuore, quello donato da una musicista (Margarita Muñoz), perfettamente sana e sposata con il pizzaiolo Simòn (Michel Brown), e ricevuto da Camila (Ana Lucía Domínguez), fotografa malata di una forma congenita di cardiopatia e in attesa da anni di un trapianto.

Palpito è il nuovo thriller-melò colombiano in 14 episodi su Netflix

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Quell’organo però, non arriva in ospedale per cause naturali o per destino, ma da un gruppo di trafficanti affiliati alla malavita locale quanto ai piani alti dell’élite politica, i quali una notte prelevano la povera Valeria dall’auto sulla quale viaggiava per compiere quello che nello stesso tempo sarà un crimine agghiacciante e la sopravvivenza di un’altra donna. Decisa, contro le leggi che lo vietano, a scoprire l’identità del donatore, la strada di Camila incrocerà fatalmente quella di Simòn e fra i due scoppierà la scintilla – fino a intuire la complicità di qualcuno a lei molto caro.

Melodramma telenovelistico con contorni da thriller, il colombiano Palpito concentra, rivelandosi già dai primissimi minuti, tutto ciò di cui è meglio stare alla larga. Una soap sudamericana mascherata da giallo, scadente nella scrittura quando nell’inverosimiglianza delle situazioni che fa avanzare al limite della credibilità. Dialoghi, recitazione, messinscena patinata: tutto nella serie creata da Ana Piñeres e diretta da Camilo Vega richiama a prodotti televisivi da prima serata estiva, quelli in cui il poco pubblico che è davanti allo schermo va intrattenuto con qualcosa, preferibilmente dalla durata prolissa, annacquato con sequenze extra diegetiche e con una forte caratterizzazione fra buoni e cattivi.

La sopravvivenza (streaming) delle telenovela sud americane

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Palpito, va detto, è scadente e probabilmente non sa neppure di esserlo. Nel corso delle puntate infatti si avverte una sorta di pathos esageratamente emotivo che non ha nulla a che fare con il lirismo. E’ piuttosto un sentimentalismo da soap condito con scene piccanti e qualche sparatoria, flashback che tornano indietro per rimestare la felicità dei bei tempi passati e il cuore usato più volte come metafora (ovviamente) dell’amore.

L’idea originale era forse quella di intercettare una platea popolare di ‘appassionati’ di titoli simili sempre proposti da Netflix come Che fine ha fatto Sara?, Sex/Life, Toy Boy e appunto 365 giorni, ma è evidente come quello di Palpito sia un battito a rilento destinato a tutto tranne che al clamore. Un’anatomia fisiologica di alcune derive sbrigative e incomprensibili della mole di produzioni seriali via streaming che non appassionano la rispettabile platea di fedeli ai prodotti succitati, figurarsi chi già da queste narrative non si sente per nulla attratto.

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2
Recitazione - 1.5
Sonoro - 1.5
Emozione - 1.5

1.7

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