Orange is the New Black – Stagione 6: recensione della serie tv Netflix

Piper Chapman e le altre detenute di Litchfield tornano nella sesta attesissima stagione di Orange is the New Black. La nostra recensione in anteprima.

Dopo un anno di iato che dire infinito sembra quasi un eufemismo, ecco concludersi l’attesa che riporta sul piccolo schermo le detenute del carcere femminile più famose della tv. Orange is the new black è pronto a tornare con la sua sesta stagione a partire dal 27 Luglio tramite, come sempre, la piattaforma Netflix. Abbiamo visto per voi la nuova stagione in anteprima e, senza spoiler, l’analizziamo in vista di un verace binge-watching.

Orange is the new black: nella sesta stagione le pecorelle smarrite trovano una nuova casa

Volgendo lo sguardo alla precedente stagione della serie tv, ricordiamo la rivolta che aveva completamente scombussolato il già precario equilibrio della prigione di Litchfield. Sin dai primi minuti di questa stagione sei è chiaro un forte intento di cambiamento e sradicamento dalle originali fila di Orange is the new black. Si parte anzitutto dall’ambientazione. La ragazze, divise in gruppi distinti e separati, vengono trasferite in una nuova prigione e qui inizia un lungo processo di indagini e interrogatori volti a chiarire le dinamiche che hanno portato alla ribellione a Litchfield e, soprattutto, all’omicidio dell’agente Piscatella. Piscatella, come ricordiamo, era rimasto ucciso da un suo stesso collega. Piper Chapman (Taylor Schilling) e le altre si trovano quindi in un nuovo stato del tutto nuovo e immediatamente disarmante. Una delle prime protagoniste a mostrare il totale disorientamento è Suzanne Occhi Pazzi (Uzo Aduba), le cui cure interrotte forzatamente la portano ad avere allucinazioni e comportamenti tristemente esagerati. La stessa Red (Kate Mulgrew), che a Litchfield aveva nel tempo guadagnato il massimo rispetto tra le detenute, si trova ad esser come un pesce fuor d’acqua.

La sesta stagione di Orange is the new black è palpabilmente diversa dalle cinque precedenti. Non solo a causa del cambio di location, primo elemento di differenziazione, ma anche se si parla di toni di racconto e linea narrativa stessa. Al contrario della stagione immediatamente precedente, infatti, la nuova ha delle tempistiche decisamente dilatate, più lente, che però non deludono lo spettatore abituato ad un ritmo certamente più sostenuto. Puntando nuovamente la lente d’ingrandimento sulle singole protagoniste, che quest’anno più dello scorso tornano ad avere un maggiore approfondimento personale, la narrazione aiuta lo spettatore a reimmergersi nella storia pur meno densa d’azione. Così come le protagoniste, chiamate a ricostruirsi da capo, anche chi guarda la nuova stagione di Orange is the new black è chiamato a farlo con occhi nuovi.

Orange is the new black e il potere femminile

Chiaramente non mancano elementi peculiari che hanno reso la serie un piccolo cult Netflix. Anche in questi nuovi tredici episodi ritroviamo un fortissimo potere femminile tradotto nella grande differenza di personalità sia tra le detenute che fra il personale della prigione. Dalle protagoniste che noi già conosciamo – in particolare Nicky e Taystee – a qualche new entry, OITNB – acronimo della serie tv – dimostra di esser in grado di raccontare donne sempre diverse e sfaccettate, ora buone, ora cattive, ora affamate della voglia di sopravvivere in una gabbia di leoni senza alcuna via d’uscita. Ma non solo. Orange is the new black, seppur in forma implicita riesce a scoccare una freccia contro una certa disumanità delle guardie americane verso le detenute del carcere femminile. Non mancano a tal proposito scene forti e violente che mostrano quanto lo status di agente possa accecare la mente di una persona investita di un potere tanto forte quanto pericoloso.

orange is the new black cinematographe

Nonostante la sesta stagione di Orange is the new black non rientri nei fasti dell’intero progetto televisivo nato dalla mente di Jenji Kohan, i nuovi episodi sono certamente utili a completare una sorta di trilogia, per così dire, iniziata con la quarta stagione: momento in cui la morte di Pussey scatena l’ira delle detenute e quindi della rivolta. Quest’anno siamo molto vicine alle protagoniste strappate a loro stesse e alla loro casa. Le sentiamo smarrite, ma al tempo stesso legate l’una a l’altra. È forse questo il grande potere e valore di questa serie: la forza di queste donne che fanno di tutto per sopravvivere e che, nel momento di vera difficoltà, riescono persino a sostenersi anche quando interagire è praticamente impossibile.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.6

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