New Amsterdam 3: recensione dell’ultima puntata del medical drama con Ryan Eggold

New Amsterdam 3 si può definire la stagione più ancorata al nostro presente, e il suo successo è proprio nel riuscire a far riflettere su come tematiche e problemi apparentemente americani della contemporaneità, siano fortemente universali.

Si sa i medical drama hanno da sempre fatto breccia nei cuori degli spettatori, qualunque fosse il loro genere: comedy alla Scrub, serie votate all’azione e all’indagine come E.R. e Dottor House, prodotti che nei secoli dei secoli resteranno sempre punto di riferimento e costante ispirazione del genere o ancora serial drammatici e fortemente empatici come Grey’s Anatomy. Ecco New Amsterdam riesce a farsi ispirare dai suoi predecessori ma perseguendo una direzione propria che sin dalla prima stagione si evolve senza cercare confronto e competizione alcune, sposando drammaturgicamente – in questa terza stagione più che mai –  il Come posso aiutare che ci ha sin dalla prima stagione presentato l’essenza del protagonista Max Goodwin.

La terza stagione rispetto alle precedenti, esaurito il compito di strutturare i protagonisti, ci fa entrare nelle loro vite riservandoci qualche colpo di scena, ma focalizzando l’attenzione dello spettatore maggiormente sui casi clinici e sulle problematiche sociali e umanitarie che incontra il New Amsterdam, nel nostro presente intaccato dalla pandemia.

New Amsterdam 3: la trama dell’ultima puntata del medical drama

Max (Ryan Eggold) rischia seriamente di perdere l’affidamento di Luna: i genitori di Georgia infatti ritengono che gli ultimi mesi hanno ulteriormente dimostrato la sua inadeguatezza come padre, e la sua incapacità di mettere al primo posto il bene di sua figlia. In occasione infatti di un incontro con i rispettivi legali, Goodwin vacilla e sente realmente di dover mettere in discussione il suo essere padre.

Per lui è un momento delicato, in cui il suo equilibrio personale viene messo in discussione dalla paura di perdere la figlia, e di avere il coraggio di iniziare un nuovo capitolo sentimentale. Con Helen Sharpe (Freema Agyeman) infatti c’è stata una reciproca pur se silenziosa confessione di un amore nascosto da diverso tempo. Tra i due c’è quindi l’attesa di un avvicinamento, non appena la dottoressa sarà di ritorno dall’Inghilterra, impegnata a sostenere sua nipote nel suo nuovo percorso universitario.

Intanto anche le vite dei colleghi subiscono alcuni cambiamenti che rischiano di sovvertire alcuni equilibri: Iggy (Tyler Labine) sembra aver trovato la serenità in famiglia e motivato a lasciare il suo ruolo di terapeuta, Bloom (Janet Montgomery) rischia di vedere andare via il suo grande amore e Floyd (Jocko Sims) matura la consapevolezza di aver scelto di iniziare una storia d’amore che non lo porterà molto lontano.

New Amsterdam 3: la pandemia e le tematiche sociali al centro della serie

Se nelle stagioni precedenti le storie dei medici protagonisti erano il fulcro di New Amsterdam e si amalgamavano con le storie dei pazienti e le problematiche dell’ospedale –  pur mantenendo sempre un equilibrio che evitasse alla serie di trasformarsi in un melò sentimentale -, New Amsterdam 3 ambientata ai tempi della pandemia, riesce a far emergere ancora di più l’anima informativa della serie di David Schulner.

Nel corso di questa terza stagione infatti la familiarità che lo spettatore ha ormai maturato con i personaggi, lascia spazio ad un coinvolgimento emotivo con una situazione vissuta e ben conosciuta da noi tutti, raccontata sia dal punto di vista dei medici che da quella dei pazienti. Forte infatti è la sensazione di seguire una serie dove il presente narrativo si sovrappone a quello della nostra realtà, non solo quando si parla della pandemia, dei vaccini, ma anche di tematiche sociali attuali come il razzismo, raccontato in una dimensione non solo americana.

Un finale che stabilisce nuovi equilibri, nella prospettiva di una quarta stagione

L’equilibrio è un fil rouge costante nel corso dei quattordici episodi della stagione: tutti lo ricercano, pazienti e medici, messi a dura prova dalla realtà circostante, dalla società, dalla storia antica e dal passato stesso del New Amsterdam. Lo stesso Goodwin è costretto a rivedere il suo apparente equilibrio e ad ammettere per la prima volta di doversi ricostruire da zero, esattamente come l’ospedale che dirige. Mai come in questa terza stagione, il ritmo richiesto al suo personaggio è così in continua evoluzione da sentirgli dire di rado il suo ritornello “Come posso aiutare”.

Emergono quindi dei punti di rottura, che tuttavia si sceglie di raccontare senza rivoluzioni tecniche, ma lasciando che lo spettatore si senta sempre al sicuro, con una colonna sonora americana un po’ indie e un po’ d’essai, e una regia ed una fotografia calda, tra primi piani e scorci newyorkesi. I dialoghi mai banali, restano un altro punto di forza di New Amsterdam, che contribuisce a creare una forte empatia con i personaggi e con la serie stessa.

New Amsterdam 3

Il finale di New Amsterdam 3 mette d’accordo tutti: può piacere a chi ama i colpi di scena – specie se pensiamo alla possibilità che potremmo non vedere Iggy nella prossima stagione tra i personaggi di punta della serie – e a chi sin dalla prima stagione ha affettuosamente atteso che Helen Sharpe e Max Goodwin si avvicinassero, perché troppo complementari umanamente e professionalmente per non stare insieme.

Restano quindi abbastanza spiragli e domande a cui rispondere e da cui ripartire per una quarta stagione, già confermata, nella quale sarà molto curioso vedere come questi semi gettati con gradualità, possano fiorire ed evolversi in un nuovo capitolo, soprattutto dal punto di vista sentimentale e umano.

Regia - 3
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3

3.3