Narciso nero: recensione della miniserie Star su Disney+

Tre sole intense puntate di un racconto ambiguo sospeso tra luce e oscurità.

Sorella Clodagh (Gemma Arterton) è incaricata di fondare un nuovo convento ai confini dell’Himalaya, un compito difficile se si pensa che una precedente missione, composta da monaci, aveva in passato miseramente fallito per motivi sconosciuti. Clodagh parte con un gruppo di suore composto dalla giardiniera Philippa (Karen Bryson), dall’allegra Briony (Rose Cavaliero) e dall’instabile Ruth (Aisling Franciosi). Questo è il punto da cui parte Narciso nero, la miniserie composta da tre episodi, in originale Black Narcissus, prodotta da Fx e Bbc, ispirata al romanzo omonimo del 1939 della scrittrice britannica Rumor Godden, da cui è stato tratto l’omonimo film cult del 1947 con Deborah Kerr. La serie arriva in Italia, il 16 aprile 2021, grazie alla piattaforma Disney+ che da quando ha inaugurato la sezione Star, ha arricchito e ampliato il catalogo sganciandosi dal prodotto “familiare”.

Narciso Nero_Cinematographe.itNarciso nero: un racconto ambiguo di luce e oscurità

Narciso Nero, scritto da Amanda Coe e diretto da Charlotte Bruus Christensen, fa capire subito che ci troviamo di fronte ad una serie che racconta l’oscurità e il dubbio proprio dove non dovrebbero esserci. Tutto sta negli sguardi, quello criptico e misterioso di Sorella Clodagh che vede il suo futuro da madre superiora – giovanissima -, quello verso sorella Ruth che lo dice subito desidera avere un ruolo importante. In quello sguardo sta tutto Narciso Nero, miniserie concisa, forse a tratti anche troppo; in quegli occhi poco “religiosi” e molto umani c’è l’ambiguità di questa narrazione.

Nel 1934 un gruppo di suore si trasferisce a Mopu per fondare in un castello abbandonato alle pendici dell’Himalaya, un nuovo convento. Sembra una storia semplice, addirittura banale ma in quella giovane devota, in quella sorella, c’è una donna ambiziosa. Clodagh non sa che dopo quel viaggio nulla sarà più come prima, né lei né le altre sorelle sanno che stanno entrando in un luogo peccaminoso: lì un tempo c’era un harem, lì c’è stata una terribile tragedia che ancora vive tra quelle mura attraverso ombre crudeli e disperate. Le suore hanno uno scopo, sicuro, certo: superare la diffidenza della popolazione locale e di Dean (Alessandro Nivola), affascinante tuttofare. L’uomo fin da subito è l’emblema del peccato, la rappresentazione di tutti i vizi umani, tutto carne e passioni, che diventa “tentazione” per le suore.

In Narciso Nero le suore sono vittime della malia di quel luogo e del loro essere profondamente umane; si trovano intrappolate in quel convento tutto vento e altitudine e vengono messe alla prova. Lo spettatore infatti si sente perso, oggetto di un totale straniamento; uno dei primi elementi che emerge è la contrapposizione tra il nitore delle loro vesti e le loro emozioni non sempre scevre dal “maligno”, la (finta) pace di una natura incontaminata e il mistero rinchiuso in quelle mura, tra la bellezza abbacinante del paesaggio e i sentimenti più oscuri che abitano quel convento. Clodagh è pronta a compiere la sua missione ma si evince chiaramente che in quel luogo di lì a poco qualcosa di immenso accadrà tra passato e presente, luci e ombre, purezza d’animo e pensieri “demoniaci”.

Narciso Nero_Cinematographe.itNarciso nero: sorella Ruth e sorella Clodagh, avversarie in un monastero

Le religiose si impegnano, lavorano per il bene mettendo tutto loro stesse ma qualcosa brucia sotto la cenere. Sorella Clodagh deve imporsi, deve essere guida e madre per queste sorelle ma è chiaro che anche lei ha dubbi e incertezze, anche lei rifugge la tentazione e la carne – il suo passato torna potente con una giovane donna dai capelli lunghi, desiderosa del primo amore -; per lei tutto questo magma di ricordi, i suoi pensieri impuri sono peccato, e quindi si frustra, si brucia le mani per punirsi. Non è più suora ma donna che stringe un rapporto con un uomo ed è questo che si fa forza detonante per lei stessa, per Ruth, per le altre.

In quel tempio himalayano ogni cosa sembra più difficile, come se in ogni stanza, in ogni angolo fossero ancora vive le anime di chi ci è vissuto prima; i suoi strapiombi vertiginosi, le sue porte chiuse a chiave diventano armi contro le giovani suore, in particolare sorella Ruth, turbata da un’incessante e pericolosissima febbre – di gelosia, passione, rancore. Ruth diventa avversaria di sorella Clodagh, mette in atto una guerra in cui lei mal sopporta ogni gesto, ogni idea, ogni pensiero della madre superiora. Clodagh la punisce quando irosa se la prende con i bambini della scuola, quando mostra segni di cedimento, quando inizia ad essere gelosa del rapporto tra la superiora e Dean.

La sorella non è pronta, si dice, non è all’altezza, pensa, mandarne via anche solo una  per Clodagh è un fallimento; però sente, sa che non c’è salvezza in quel luogo per chi è fragile. Narciso nero prende le venature del classico horror, non tanto per i misteri, le presenze, le immagini riflesse negli specchi, che le abitanti percepiscono quanto per i tormenti interiori, i dubbi atroci che le animano.

Se da una parte c’è la carnalità, la tensione amorosa, dall’altra c’è la fede che si traduce in precetti che le sorelle si dicono ma non tutte mettono in pratica. La pulsione erotica prodotta da Dean si scontra con l’idea che “la parsimonia è negli occhi. Vedere solo se necessario”, gli affreschi lussuriosi alle pareti si scontrano con i visi arrossati delle suore o nei loro sospiri angosciati. Le bizze furiose di Ruth vanno contro l’idea che al centro della loro vita ci sia l’obbedienza; la sua vanità – si guarda allo specchio – va contro all’abnegazione verso l’Altissimo. La bellezza di Dio, quella che “imparano” le sorelle confligge con il piacere che prova sorella Philippa guardandosi intorno: disperata, “lussuriosa” per il godimento derivatole dal guardare, ammette di soffrire e che per lei tutta quella bellezza “è troppo”.

Narciso Nero_cinematographe.itNarciso nero: una miniserie che avrebbe potuto raccontare molto di più

Narciso nero è un prodotto intenso e complicato perché ci sono molte sottotrame da narrare che per la scelta di avere solo tre episodi non possono svilupparsi: è proprio questo uno dei punti deboli della serie, la velocità con cui si evolve la storia. Lo spettatore salta tra presente e passato, e la sensazione è quella di non sapere abbastanza; eppure la miniserie a suo modo sa essere avvincente. La distruzione a cui sono soggette le protagoniste, grazie alla recitazione intensissima – Diana Rigg, la Olenna Tyrell di Game of Thrones, qui nella sua ultima prova -, diventa elemento fondamentale che fa crollare sotto il peso dell’ambizione e della colpa le suore.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 3

2.8