Messiah: recensione della serie TV Netflix

Recensione di Messiah, la serie TV che mescola religione e thriller ipotizzando la venuta di una nuova figura cristologica sulla Terra e mostrandone conseguenze sociali e politiche

Messiah è una serie televisiva statunitense del 2020, originale Netflix, disponibile dall’1 gennaio 2020 sulla piattaforma streaming. Creata da Michael Petroni, già sceneggiatore dei film Storia di una ladra di libri e Il Rito, e diretta dal regista di V per Vendetta James McTeigue, ha per protagonisti Michelle Monaghan e Mehdi Dehbi. La prima stagione della serie è composta da dieci episodi.

Nella trama di Messiah la comparsa di un sedicente profeta di Dio (con un sorprendente seguito) sul quale indaga la CIA

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Come reagirebbe l’umanità se da un giorno all’altro comparisse tra di noi un predicatore che sostiene d’essere il nuovo Profeta di Dio? La serie di Michael Petroni parte da questo presupposto.
Nella Damasco di un futuro imminente l’Isis ha ripreso un enorme potere e si trova alle porte della città, pronta all’attacco per la sua conquista. La popolazione, rassegnata, vuole darsi alla fuga, ma un giovane predicatore sostiene che la città è salva, per volere di Dio. Di lì a poco una tempesta di sabbia annienterà le truppe del Califfato convincendo le persone che quello davanti a loro è davvero il Messia. Al-Masih condurrà poi un gruppo di duemila profughi palestinesi al confine con Israele con l’obiettivo di riportarli nella loro terra, per poi apparire successivamente in Texas dove salverà la piccola chiesa e la figlia del pastore Felix da un violento tornado. Le notizie di questi avvenimenti iniziano a fare il giro del mondo e il misterioso predicatore raccoglie un grande seguito, attirando le attenzioni del Mossad e soprattutto dell’agente della Cia Eva Geller che inizia un’indagine su di lui, temendo possa trattarsi di un pericoloso terrorista alla base di un nuovo movimento simile ad Al Qaeda.

Messiah mette in scena il dualismo fede e ragione, attraverso l’ambigua figura di Al-Masih

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Il nuovo show Netflix si interroga su quali sarebbero le implicazioni socio-politiche di un evento come quello ipotizzato nel suo sviluppo, creando un personaggio che per tutta la durata della serie rimane costantemente avvolto da un’aura di mistero che non ne rivela l’effettiva natura. La narrazione evolve infatti sviluppando momenti in cui Al-Masih sembra conoscere l’intimo delle persone e compiere effettivi miracoli ad altri in cui ne emerge un passato controverso che potrebbe smascherarlo come un impostore. È su questa ambiguità che si regge lo storytelling, una dicotomia irrisolta che viene presa a pretesto per imbastire un più ampio dualismo tra fede e ragione, tra una salvifica ricerca di un punto d’appiglio per uscire dai mali che ci affliggono e il cinico pragmatismo della politica mondiale. Non è tanto infatti la figura del Messia il centro dell’indagine della seria, ma è la condizione umana ad essere il fulcro dell’interesse dell’intreccio narrativo.

La serie di Michael Petroni riflette sulle conseguenze politiche, oltreché religiose e sociali, dell’ipotetica venuta di un nuovo Profeta di Dio

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C’è un effettivo tentativo nel porre una riflessione ampia sul ruolo dei governi e dei loro organismi nel dirimere i grandi conflitti del nostro tempo, così come ci si interroga su quanto un’ipotetica nuova figura cristologica possa avere appeal sulle masse, divenendo incarnazione di una nuova speranza, in un’epoca di grandi lacerazioni e difficoltà sociali. C’è inoltre un elemento di particolare interesse che viene portato all’attenzione dello spettatore, ovvero l’effetto che un sedicente profeta – che va oltre le dottrine comunemente accettateavrebbe sui rappresentanti ortodossi delle grandi religioni. Viene infatti descritta la reazione di grande diffidenza di alcuni leader islamici che ritengono Al-Masih un eretico, ma al contempo vengono mostrate moltitudini di genti adoranti in attesa della sua parola e di un suo gesto. È forse l’emblema della religione che si fa politica, dove le figure apicali della fede temono di perdere il loro potere di controllo ed indirizzo di fronte ad una nuova potenziale figura di riferimento popolare, in cui le persone rimettono le loro speranze anche per la risoluzione dei piccoli e grandi problemi della loro vita.

E proprio la politica è una componente di primo piano nello sviluppo narrativo, attraverso le indagini della Cia e dei servizi segreti israeliani, con il coinvolgimento diretto del Presidente degli Stati Uniti e del suo staff operativo. Messiah ci suggerisce come alla base dell’interesse nei confronti dei grandi movimenti religiosi ci sia di fatto un interesse di stampo politico, un sostanziale timore verso un possibile sconvolgimento dello status quo.

Messiah parte da una base intrigante ma cerca di portare avanti troppe linee narrative contemporaneamente

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L’intreccio del racconto è costruito su più storie che si snodano parallelamente, fino a sfiorarsi o a convergere del tutto con diverse vicende e una pluralità di personaggi, ma tutte legate dalla figura del Messia. I diversi fili vanno a toccare varie tematiche d’attualità, dalla religione (ovviamente) al terrorismo internazionale, dall’antitesi tra pace e guerra con al centro conflitti e contraddizioni tra chi le professa, fino alla debolezza umana nella società odierna e il ruolo dei governi in essa. Lo script offre varie occasioni per poter generare un dibattito, tuttavia la volontà di caricare eccessivamente di contenuti il racconto ne compromette parzialmente la resa. La sceneggiatura è scorrevole e tutte le linee narrative arrivano ad un compimento coerente – pur lasciando un margine interrogativo sulla vera essenza di Al-Masih – però la grande quantità di materiale non viene gestita nella maniera migliore. Viene difatti sacrificato l’approfondimento di certi personaggi e di alcuni passaggi, così come si assiste a dei cali di ritmo nella parte centrale dovuti alla complessità della conduzione narrativa generale. Inoltre i dialoghi, pur sostenendo in maniera credibile l’incedere dei fatti e mantenendo una certa carica emotiva, risentono parzialmente della densità dei contenuti, risultando talvolta schematici e in alcuni casi stereotipati.

Una serie con una discreta realizzazione che potrebbe migliorarsi in un’eventuale futura continuazione

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Ad ogni modo c’è la concreta possibilità che questa prima stagione sia solo l’incipit di un progetto più ampio e questo ne giustificherebbe la struttura, come suggerito da un finale si potenzialmente risolutorio ma con domande ancora aperte e notevoli margini di sviluppo futuro.

Messiah  si presenta come un interessante e discretamente originale spunto di riflessione sul mondo odierno – pur con i suoi limiti – realizzato attraverso una buona regia, dinamica e variegata, un montaggio funzionale, ma con delle interpretazioni altalenanti e un po’ troppo impostate. Avviando un ragionamento sul concetto di verità e la sua effettiva labilità e rappresentando l’eterno conflitto tra razionalità e fede, unito a uno sguardo sul comportamento umano sempre più diffidente verso chi professa interessi altruistici, la serie ha certamente un suo fondamento interessante, che speriamo possa essere ulteriormente approfondito e sviluppato in una futura seconda stagione.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.9

Tags: Netflix