Las Muertas: recensione della serie TV Netflix
Las Muertas è tante, troppe cose insieme, con un ritmo che non sempre coinvolge.
“19 giugno 1960. Cañada Honda, Mezcala”. Una sirena suona mentre le auto della polizia percorrono una strada che costeggia un burrone; è stata chiamata da un operaio che ha trovato il corpo di una giovane donna abbandonato sul ciglio della strada. Inizia così Las Muertas, serie – entrata nel catalogo Netflix – ideata da Luis Estrada, composta da sei episodi che trae ispirazione dal romanzo di Jorge Ibargüengoitia e da eventi reali che coinvolgono due sorelle note per aver gestito una serie di bordelli negli anni ’60. La storia ruota attorno alle sorelle Arcángela e Serafina Baladro che hanno raggiunto il potere grazie a fascino, manipolazione e ferocia. Hanno poi fondato un impero criminale basato su corruzione e orrore. Le due sorelle rappresentano le serial killer, note anche come “Las Poquianchis”, che avevano preso d’assalto il Messico negli anni ’60, quando i crimini da loro commessi iniziarono gradualmente a diventare di dominio pubblico.
Las Muertas: la storia delle sorelle Baladro

Dopo quell’inizio, Serafina (Paulina Gaitan) è in macchina con un ufficiale militare, il Capitano Bedoya (Joaquín Cosio) e altri due soldati, tutti in borghese. Arrivano in una cittadina alla ricerca di un panificio. Serafina riconosce l’uomo dietro il bancone, Simón Corona (Alfonso Herrera) e assieme ai suoi uomini, iniziano a sparare. Simón riporterà solo ferite lievi. Interrogati, Simón e Serafina raccontano alla polizia il motivo dell’incidente: stanno insieme da oltre un decennio.
La serie ripercorre la storia di queste donne e quella d’amore tra Simón e Serafina. Emergono fin da subito le differenze tra le due sorelle, Serafina, impulsiva e seduttiva; Arcángela, fredda e calcolatrice, lei è tutta strategia. Non hanno nessuno scrupolo, anzi, rifiutano qualsiasi regola o legge. Nonostante a tratti, siano figure piatte, l’interpretazione romanzata della vita delle famigerate sorelle González Valenzuela, rompe i cliché, gli schemi precostituiti, loro sanno essere spietate, cattive, vendicative, non retrocedono mai.
Las Muertas: donne forti e uomini deboli

Se le sorelle sono forti, coraggiose, vendicative, pronte a lottare fino alla fine, gli uomini sono fragili, ombre vuote. Non hanno potere reale nella storia. Simón è un uomo debole, in bilico tra il rimorso e l’opportunismo. Bedoya, ufficiale dell’esercito, è corrotto fino all’osso, rappresenta la faccia istituzionale del crimine: un potere armato che protegge chi lo paga e distrugge chi lo sfida. Sono uomini che non servono a muovere il racconto, sono figure di sfondo, non hanno alcun tipo di evoluzione.
Arcángela e Serafina hanno i loro obiettivi, architettano, hanno grandi sogni e aspirazioni. Le sorelle Baladro avviano un’attività di bordelli, Arcangela è astuta, fa di tutto per il proprio tornaconto. Apre un bar e con esso un giro di prostituzione, il bar diventa un bordello. Intreccia rapporti con politici e poliziotti, li tiene a libro paga. Vuole espandersi, costruire un impero, inserisce all’interno del progetto Serafina ed è lei quella che spinge la sorella a aprire un terzo bordello. Stanno vivendo il momento migliore della vita, di lì a poco le cose si fanno sempre più complesse. Anni di traffico di minori e di sfruttamento a scopo di lucro stanno venendo a galla, la fortuna si sta esaurendo. Iniziano a perdere tutto ciò che conta per loro ma non vogliano rinunciare all’attività.
Las Muertas: conclusioni e valutazioni

Las Muertas non si costruisce con una linea temporale lineare. Le storie, gli eventi vengono consegnati allo spettatore un po’ alla volta e da vari personaggi. Tale variazione è il mezzo attraverso cui la storia acquisisce addirittura umorismo. Le sorelle sono o le più spietate o brave persone a cui giurare fedeltà. La serie è un po’ crime, un po’ una storia d’amore, un po’ satira sociale, insomma Las Muertas è tante, troppe cose insieme, con un ritmo che non sempre coinvolge.