L’altro Ispettore: recensione della serie TV Rai con Alessio Vassallo
L’altro Ispettore arriva su Rai 1 dal 2 dicembre in prima serata, e da subito rivendica uno spazio diverso nel panorama delle fiction italiane: quello delle storie raccontate senza fretta, senza rumore, lasciando che la verità emerga dalla vita delle persone più che dalle indagini.
La regia di L’altro Ispettore è firmata da Paola Randi, che guida l’intero progetto imprimendo alla serie quel tono sobrio, rispettoso e insieme narrativamente solido che la caratterizza. Alla scrittura lavorano Salvatore De Mola, Andrea Valagussa, Paola Randi ed Emanuela Rizzuto, un gruppo di autori che intreccia competenze diverse, mescolando la precisione del racconto civile con la struttura del crime e la delicatezza delle storie personali. La serie nasce inoltre dall’immaginario dei romanzi di Pasquale Sgrò, autore da cui proviene l’ispirazione originale e che contribuisce come consulente, mantenendo l’aderenza ai temi e alla sensibilità del materiale narrativo di partenza.
C’è una calma strana, quasi magnetica, che attraversa la serie fin dalle prime inquadrature. Non è la calma della lentezza, ma quella degli sguardi che osservano più del necessario. È un racconto che non rincorre l’effetto: lo prepara, lo lascia sedimentare e poi lo fa emergere con una naturalezza che sorprende, come fanno le storie che mettono le relazioni al centro del quadro.
L’altro Ispettore è Mimmo Dodaro, un uomo che avanza senza fare rumore

Alessio Vassallo dà vita al suo Mimmo Dodaro , un protagonista che non ha bisogno di eroismi per essere credibile. È un uomo attraversato dalle perdite, ma non definito da esse. Rientra a Lucca con la figlia Mimì come chi rientra in un luogo che ricorda tutto, anche ciò che si aveva tentato di dimenticare.
Il suo passo misurato diventa la grammatica stessa della serie: non c’è bisogno di forzare, non c’è urgenza di impressionare. C’è il tempo dell’ascolto, dell’attenzione, della cura. L’interpretazione è ben calibrata, capace di veicolare potenzialità stereotipi con realismo e delicatezza. Mimmo non è un protagonista violento, non cerca dramma o autodistruzione, è un ispettore del lavoro che cerca la giustizia e la verità, un uomo che crede ai valori più puri della sua vocazione. Vassallo entra in questa determinata purezza con l’agilità di chi la delicatezza la maneggia come materia prima. Questa scelta attoriale, artistica, crea simpatia e empatia nello spettatore, rendendo estremamente semplice tifare per l’impacciato ma resiliente Mimmo.
Una città che respira accanto ai personaggi
Lucca non è semplice sfondo: è un corpo vivo che accompagna ogni scena.
Le mura che trattengono la luce, i vicoli che si stringono e poi si aprono, gli spazi silenziosi che sembrano trattenere memorie: tutto contribuisce a creare una dimensione emotiva tanto concreta quanto narrativa.
Qui la città diventa parte della storia, come se sapesse accogliere e restituire il ritmo interiore dei personaggi. Lenta e poetica, segue e avvolge passo passo le vicende, tragiche e comiche, felici e tristi, dei protagonisti della serie.
Cesare Bocci costruisce un Alessandro sfaccettato, un uomo ferito che però non si arrende al ruolo della vittima. Con Vassallo si crea un equilibrio sottile, fatto di silenzi condivisi più che di parole.
Francesca Inaudi, nel ruolo della svelta PM Raffaella Pacini, aggiunge una nota di ironia asciutta che non spezza mai il tono emotivo della serie, mentre Silvia Mazzieri dà al suo personaggio una fragilità adulta e credibile. La sua ex “bella della scuola” e cotta adolescenziale del protagonista non è una rigida, algida bellezza, ma una madre ferita e fallibile.
E poi c’è Mimì, interpretata da Angelica Tuccini: naturale, luminosa, capace di tenere insieme il peso della storia e la leggerezza dell’età.
Le indagini: un crime che non cerca il clamore, ma la responsabilità
Ogni episodio nasce da fatti reali legati al mondo del lavoro. La serie sceglie un approccio quasi controcorrente: la tensione non arriva dalla caccia al colpevole, ma dall’esplorazione delle responsabilità, delle omissioni, delle scelte sbagliate che costruiscono un incidente.
Il primo episodio – dedicato alla vicenda di Luana D’Orazio – viene trattato con un pudore raro: nessun sensazionalismo, nessuna scorciatoia emotiva. La regia osserva, lascia spazio, permette alla realtà di essere ascoltata. È un crime che vive nei dettagli, negli incastri sottili, nei meccanismi quotidiani che spesso passano inosservati ma possono cambiare un destino.
L’altro Ispettore: valutazione e conclusione

L’altro Ispettore è una serie onesta. Con il suo stile semplice e asciutto sa raccontare l’Italia senza retorica, concentrandosi sulle persone prima che sui casi. La regia sceglie una via più difficile e più rara: quella del rispetto, del racconto civile, della responsabilità.
L’altro Ispettore non vuole solo intrattenere: vuole ricordarci che ogni storia è fatta di strade percorse, di errori, di possibilità mancate e di scelte che pesano.
Ed è proprio questo a renderla una serie che si fa ricordare, che permette di pensare oltre che di lasciarsi intrattenere.