Il ragazzo giusto: recensione della serie TV indiana su Netflix

Adattamento dell'omonimo romanzo del 1993, Il ragazzo giusto approssima dramma romantico e ricostruzione storica, in un racconto spesso anonimo capace tuttavia di avvolgenti sospensioni musicali e ritualistiche tipiche del folclore induista. Su Netflix dal 4 novembre.

Con le sue 1488 pagine in versione cartacea, A Suitable Boy: A Novel è considerato uno fra i libri in lingua inglese più lunghi mai pubblicati in un volume solo. Scritto nel 1993 dal poeta e autore indiano Vikram Seth, il romanzo, tradotto in miniserie dal celebre Andrew Davies (Il Diario di Bridget Jones, House of Cards) e ora disponibile nel catalogo Netflix a partire dal 4 novembre, condensa in sei episodi i diciotto mesi impiegati dalla protagonista Lata (Tanya Maniktala) per capire chi fra i tre pretendenti Kabir (Danesh Razvi), Haresh (Namit Das), and Amit (Mikhail Sen) è quello più adeguato al suo impellente appuntamento matrimoniale, fra pressioni familiari e inconciliabilità religiose, sullo sfondo di un’India che si affaccia alle sue prime elezioni democratiche.

Il ragazzo giusto adatta prima per la BBC ed ora per Netflix il celebre romanzo Vikram Seth del 1993

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Studentessa di letteratura inglese e d’idee moderne riguardo al valutare opzioni ‘altre’ all’infuori della vita coniugale rispetto alla sorella maggiore appena sposata, l’ultima dei quattro figli della signora Rupa Mehra (Mahira Kakkar) vive nella Brahmpur d’ inizio anni cinquanta, quattro anni dopo la proclamazione d’indipendenza dalla colonia britannica  e della conseguente partizione indiana con il nuovo stato del Pakistan. È proprio lì, in ambito accademico, che la diciannovenne approccia a più riprese il coetaneo Kabir, con il quale, nonostante l’evidente timidezza, si lega romanticamente fino alla scoperta, amara e scoraggiante, dell’appartenenza musulmana del ragazzo e dunque dell’intera famiglia. Consigliata dalla madre e dal fratello più grande Arun, Lata verrà incoraggiata a valutare altre papabili pretendenti: prima un manifatturiero di calzature dall’indole cortese, poi un sofisticato e aspirante poeta più eccentrico.

Il clima religioso del post-partizione nell’India degli anni Cinquanta

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La cosiddetta Spartizione generò, in quei fatidici anni, un forte conflitto religioso fra minoranze induiste e Musulmani, segnando inoltre contrasti etnici e comunitari fra i due paesi neonati, la Union of India e il Dominion of Pakistan, la prima dominata da indù e sikh e la seconda dai musulmani. In un clima pre-elettivo, piegato da riforme terriere, abolizione del sistema feudatario, e conflitti interreligiosi di templi costruiti accanto alle moschee che causarono innumerevoli morti e feriti, Il ragazzo giusto allarga così il dramma soap-romantico giustificandolo all’interno del più ampio substrato politico e religioso, dilatando il topos dell’amore ostacolato da padri padroni e appartenenze etnico-religiose attraverso altri personaggi e sotto trame; su tutte quella di Maan Kapoor (Ishaan Khatter), figlio ribelle del ministro delle finanze prossimo candidato alle elezioni, innamorato della cortigiana e cantante Saeeda Bai (Tabu).

Ammettendo una ricostruzione storico/politica spesso approssimativa, Il ragazzo giusto si pregia di un’atmosfera sospesa e meditativa tipica del folclore hindi

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Nonostante l’ approccio caotico e approssimativo nel riconfigurare la portata storica dell’India negli anni cinquanta, Il ragazzo giusto deve alla direzione di Mira Nair e Shimit Amin il pregio di accogliere chi si appresta alla visione in un racconto iper popolare e comprensibilmente auto celebrativo della tradizione indiana stessa, affidandosi a sinuosi canti, splendide musiche e affascinanti riti millenari come potenze espressive attraverso le quali compensare l’ordinarietà del racconto e dei caratteri archetipi di romanzi come questo.

Alla miniserie indiana, andata già in onda sull’emittente BBC One fra luglio e agosto di un anno fa, si deve riconoscere una certa infallibilità tipica del dramma telenovelistico nel mettere costantemente a proprio agio lo spettatore ‒ anche nella rappresentazione violenta della povertà e della disputa con esiti sanguinolenti ‒ non osando travalicare steccati e tabù, e cedendo forse con molta immediatezza alla relativa prevedibilità. Negando al contrario la capacità di stupire o di sviscerare le (poche) problematicità della storia, la serie trova tuttavia un avvolgente aura tra il meditativo e la suggestione enfatizzata della cultura hindi, ritrovando, proprio nella sospensione dello svolgimento narrativo, quelle piacevoli parentesi assorte tipiche del mito folcloristico indiano lo spazio sul quale crogiolarsi e omettere bonariamente la mediocrità del prodotto.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2
Sonoro - 3
Emozione - 1.5

2.3

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