Il Principe: recensione della serie TV Netflix

La serie TV Netflix è una riflessione sulla giustizia, sul privilegio e sulla storia del nostro Paese.

Non è la prima volta che Vittorio Emanuele di Savoia ha a che fare con la giustizia. Negli anni ’70 l’erede di casa Savoia è stato coinvolto in un’indagine della pretura di Venezia per traffico internazionale di armi ed è risultato iscritto alla loggia massonica della P2 con la tessera numero 1.621. La vicenda più drammatica e dolorosa risale al 18 agosto 1978. Isola di Cavallo, Corsica. Vittorio Emanuele, dopo una lite con il miliardario Nicky Pende, spara col fucile ad uno studente tedesco di appena 19 anni, Dirk Hamer che stava dormendo con gli amici su un’imbarcazione vicina. Il Principe arriva su Netflix, il 4 luglio 2023, in tutti i Paesi in cui il servizio è attivo, la miniserie in tre puntate, scritta e diretta da Beatrice Borromeo Casiraghi – produttrice insieme a Francesco Melzi d’Eril – che approfondisce luci e ombre di una delle figure più controverse e oscure della scena politica e sociale italiana, Vittorio Emanuele di Savoia. 

Il Principe: quando il colpevole è Vittorio Emanuele

Tutto parte dalla tragica notte del ’78, all’isola di Cavallo. Il principe, intervistato, racconta molte cose, piccole e grande storie, la sua nascita, la famiglia, i genitori, e si racconta. Ricorda di quando, dopo il referendum del 1946 – che ha trasformato l’Italia in una Repubblica -, è stato esiliato assieme alla moglie Marina Doria e al figlio Emanuele Filiberto, evento narrato come una lacerazione dal giovane.

L’episodio di Cavallo ovviamente è centrale, forma e fonda la storia non solo del Principe, degli Hamer ma anche della serie stessa. Nelle parole degli intervistati, all’epoca giovani di belle speranze, da Malagò ai Pende, passando per gli Hamer, emergono parole ancora sconvolte e un senso di ingiustizia. Un gruppo di ragazzi, in vacanza in Sardegna, vogliono solo divertirsi, alcuni di loro invitano a fare una gita la bella Birgit Hamer, modella, poi attrice – diranno addirittura che lei abbia usato la vicenda del fratello per avere facilitazioni per la carriera-, che porta con sé il giovane fratello Dirk, e decidono di visitare Cavallo e usare senza permesso il canotto del principe. Quell’azione dà vita ad un susseguirsi di situazioni che culmineranno con il ferimento e poi con la morte di Dirk. Sembra una scena da film, una storia inquietante ma disperatamente vera: lo yatch di Vittorio Emanuele di Savoia, il panfilo del medico romano Niki Pende e infine la barca su cui stavano i ragazzi. Il principe poi perde la testa – cosa che era già accaduta sempre con lo stesso gruppo – e “va a chiedere spiegazioni” ai proprietari del “Coke”. Le “spiegazioni” famigerate vengono chieste con in mano un fucile, due spari e uno colpisce il giovane Hamer, lì per caso. Poteva essere una bella favola – bello, intelligente, divertente, sportivo, diventa parte del gruppo dal primo istante –, di uno che non doveva essere lì, eppure, il destino lo ha scelto e lo ha reso “fortunato” per qualche giorno, invece la storia del giovane Hamer e della sua famiglia diventa un incubo che non ha fine.

Da lì attimi concitati, i soccorsi lenti, la paura di chi non ha capito nulla, le urla femminili (“che cosa hai fatto?”). Il colpevole non è uno a caso. Il colpevole è un principe.

Il Principe: una riflessione sulla giustizia, sul privilegio e sulla storia del nostro Paese

Il colpo è stato sparato in aria, il secondo per caso. Così si scusa Vittorio Emanuele. Parole che di volta in volta cambiano, si modificano. Ho sparato, no, non ho sparato. Il colpo è partito da qualcun altro. Insomma, il principe non dà una versione unica. Ciò che invece è unico è la versione degli altri, tutti concordi. Vittorio Emanuele di Savoia ha sparato a Hamer. Intanto l’opinione pubblica ricostruisce il caso torbido, tra arroganze e sangue. Quel proiettile che perfora la carlinga colpisce il giovane Hamer che dorme in un’imbarcazione vicina. Rimane ferito ad una gamba, perde molto sangue e l’arto va in cancrena, poi dopo mesi di agonia il giovane muore. A questo punto tutto cambia. Una morte. Inizia un’Odissea per indagare su cosa accadde quella notte, vengono a galla molte cose.

In un’intervista al Corriere della Sera, Birgit dice: “era chiaro l’intento di uccidere gli italiani presenti, lui lo urlava: “italiani di merda, vi ammazzo tutti!””. Lo ripetono tutti, donne, uomini, ricordano quelle parole che diventano fondamentali per comprendere la figura di Vittorio Emanuele di Savoia. Birgit diventa eroina in questa vicenda, un personaggio da tragedia greca che si immola per la verità. Nicky Pende (che si butta in acqua e nuota sotto la chiglia per evitare di essere colpito) è riuscito a disarmare il principe, buttandolo in acqua, altrimenti sarebbe potuta essere una strage. C’era la volontà di uccidere, non di uccidere il fratello, ricorda la sorella di Hamer.

Prende forma nella mente dello spettatore una domanda che sottile si muove tra le parole dei personaggi, se una persona “normale” per un fatto del genere paga con l’ergastolo perché per il principe la situazione è diversa? Anzi, ad un certo punto, si vanta di aver preso in giro i giudici francesi ed essersi salvato. Inevitabilmente, c’è questo problema, c’è questo vulnus: c’entra il privilegio? Ovviamente sì. I giudici che entrano a far parte di questa triste, ma quanto mai drammaticamente reale, pièce, lo assolvono e lo ritengono colpevole – a seconda della nazionalità e delle idee. Nel processo francese, nel 1991, Vittorio Emanuele di Savoia viene assolto e, semplicemente, condannato a 6 mesi con la condizionale per porto abusivo di armi da fuoco, però poi nel 2006 viene intercettato in carcere a Potenza, durante lo scandalo Vallettopoli, e confessa di aver sparato.

Nel video, inserito nella serie, si vede Vittorio Emanuele nella cella con una maglietta bianca, appoggiato ad un letto a castello, mentre racconta la storia a un altro detenuto. Prima di spiegare i dettagli del colpo di fucile contro Hamer, il principe si vanta di aver fregato il tribunale di Parigi che l’aveva assolto grazie agli avvocati. Ricorda il processo e dice “io avevo torto”, e aggiunge: “devo dire che li ho fregati…Eccezionale. Il procuratore aveva chiesto 5 anni e 6 mesi. Ero sicuro di vincere”.

La replica del principe è una e sola: video montato ad arte, nessuna ammissione. Quel video fa male ma con quelle immagini Birgit ha vinto la sua battaglia e anche quella del fratello. Il Principe è disamina sulla giustizia – in senso stretto e in senso lato –, sul privilegio e sulla storia del nostro Paese, si fa anche thriller perché l’occultamento della verità, il sentirsi persi di fronte ai potenti che fanno il bello e il cattivo tempo e poi addirittura racconto di famiglia, i Savoia e gli Hamer, e di un’epoca – gli anni ’70, quelli della P2, la gioventù del Principe e di Marina Doria con le immagini di repertorio.   

La storia di una famiglia e di un uomo

Oltre ad essere una serie che si fonda su una vicenda giudiziaria, Borromeo vuole anche consegnare una fotografia intima del protagonista verso cui lo spettatore italiano non ha simpatia e con cui non empatizza: il tormentato rapporto con i genitori, la storia d’amore con la moglie, gli scandali. Il Principe è un mosaico di varie sfaccettature che vengono tratteggiate attraverso il contributo e le testimonianze di giornalisti, familiari, persone informate sui fatti. 

La docu-serie vuole scrivere un racconto oggettivo su Vittorio Emanuele, eppure chi guarda si stringe intorno alla famiglia Hamer, solidarizza con Birgit che ha donato la sua esistenza al fratello – tornano in mente le immagini di lei che butta nella tomba di Dirk l’anello, come se fosse una sorta di promessa. Allo stesso tempo Il Principe è anche un racconto più ampio che riflette sulle conseguenze delle azioni e quindi anche sull’annosa idea che le azioni dei padri non debbano ricadere sui figli.

Se da una parte si erge la figura mitologica di Birgit, la controparte erige a statua pietosa Marina Doria, ex sciatrice nautica – sport che pratica a livello agonistico negli anni ’50 e che le permette di arricchire il suo palmarès di ben 4 ori mondiali -, bellissima, narrata come moglie coraggiosa e amorevole che non ha mai abbandonato il marito, anzi, gli è stata accanto, l’ha protetto senza se e senza ma. Dipinge il marito come un uomo non avvezzo alla rabbia – o meglio, si innervosisce come tutti dice -, la “storia” lo racconta serio, riflessivo, ma anche freddo a causa dello scarso affetto ricevuto dal padre, eppure poi si racconta di quando ha urlato contro i giovani a Cavallo, ha sparato, ha conosciuto Gelli e ha mentito. 

C’è posto anche per la narrazione della storia d’amore tra Vittorio e Marina, una bella copia, lui talmente innamorato di lei da fare di tutto per renderla felice, lei sempre al suo fianco. Insomma un vero amore da favola, sancito poi dalla nascita di Emanuele Filiberto che, così si racconta, ha vissuto con sofferenza e dolore le storie paterne. Si sente italiano, fin da piccolo, anche se per i suoi amici è svizzero, non ha mai visto l’Italia ma si sente profondamente parte di quella terra, sente che quella è la sua identità.

Questo capitolo di Il Principe serve per rendere più umana la famiglia Savoia. Emanuele Filiberto dice che è felice perché le sue figlie non hanno àncore di nessun tipo, possono andare dove vogliono ed è per questo che lui nei programmi italiani non si è mai fatto chiamare di Savoia, in modo da farsi conoscere non per il suo cognome ma per chi è.

Il Principe: valutazione e conclusione

Il Principe non vuole dare un giudizio, eppure chi guarda non può non essere dalla parte della vittima e quindi della famiglia Hamer, di quel ragazzo sfortunato e di quella ragazza così coraggiosa. Non c’è un momento in cui si dia credito al principe o anche alla moglie; non è tanto la narrazione a farci pensare questo ma è la storia in sé che è già scritta e “digerita”. Lo spettatore si sente in gabbia, in trappola, incastrati in un meccanismo molto più grande: ciò che è accaduto agli Hamer sarebbe potuto accadere a chiunque ed è talmente drammatico e difficile da accettare che addolora. La morte di quel ragazzo, accaduta per caso, una notte d’estate, è straziante, tanto quanto è straziante la fatica di Birgit che ha dovuto combattere per trovare giustizia per il fratello. 

Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.2

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