Ikusagami – Last Samurai Standing: recensione della serie TV Netflix

Una serie che esplora la fine dell'epoca dei samurai e l'avvento del capitalismo in Giappone, con piglio action

È disponibile su Netflix, da giovedì 13 novembre 2025, la serie di Michihito Fujii, Kento Yamaguchi e Toru Yamamoto, Ikusagami – Last Samurai Standing.
Pubblicizzata come un mix fra Squid Game (Aa. Vv., 2021 – 2025) e un chambara, l’opera è un adattamento del romanzo Ikusagami di Shogo Imamura, da cui è stato tratto anche un manga, illustrato da Katsumi Tatsuwaza.

Ikusagami. Il tramonto del Samurai

Ikusagami Cinematographe.it

La trama è semplice. Nel 1878, nel Giappone della restaurazione Meiji la classe dei samurai si avvia alla completa estinzione. I virtuosi dell’arte della spada sono ridotti a una vita di stenti ai margini della società di cui un tempo rappresentavano l’apice ideale. Chi non fa il mercenario o il brigante, cerca di sopravvivere come può, dedicandosi magari alla famiglia. Shjiro Saga, è uno di questi ultimi. Reduce della battaglia di Shiroyama, al servizio delle milizie dell’imperatore, Saga è stato uno di quei samurai che hanno contribuito al cambiamento sociopolitico del Giappone e al suo ingresso nella modernità. In cambio egli ha ricevuto difficoltà economiche, un PTSD e la morte di una figlia a causa del colera. Per evitare che lo stesso crudele destino tocchi anche alla moglie e all’altro figlio, il samurai si iscrive a un misterioso torneo di arti marziali, il Kodoku, che si rivelerà essere un gioco mortale in cui i vari samurai concorrenti dovranno uccidersi a vicenda. L’obiettivo del gioco è quello di raccogliere delle targhette e arrivare a Tokyo, dove l’ultimo sopravvissuto avrà diritto a una cospicua somma di denaro.

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Già dalla sinossi si comprende perché la serie sia stata accostata a lavori come il sudcoreano Squid Game o anche al precedente nipponico Battle Royale (Fukusaku, 2000). Ma in realtà Ikusagami presenta una specificità che lo avvicina di più a opere videoludiche come Samurai Showdown della SNK o ad anime come Kengan Ashura (Aa.Vv., 2021 – 2024). L’artificio del gioco mortale infatti fornisce solo una cornice atta a creare le condizioni per spingere vari guerrieri a lottare.

Ikusagami. Lo scontro come ideologia

Si crea così un’architettura narrativa basata sulla progressione lineare attraverso lo scontro come in un videogame. I vari personaggi e i loro stili di combattimento diventano incarnazioni archetipiche di diversi aspetti di un ideale spirito giapponese. Ogni scontro, quindi, come nella tradizione degli anime da combattimento, diventa uno scontro tra divergenti visioni del mondo – in questo caso tutte inscrivibili alla filosofia marziale su cui il Giappone fino al quel momento, aveva fondato la propria identità. Saga rappresenta, per esempio, l’onore, il nobile Ukyo la cieca fedeltà a un sistema gerarchico, la ragazzina Futaba la proverbiale grazia ed eleganza nipponiche, il brutale Bukotsu la violenza cieca di un mondo retto dalla guerra e così via. Chi invece organizza il gioco, al fine di eliminare i samurai, sembra essere costituito dal gruppo di dirigenti delle nascenti grandi aziende industriali giapponesi. Insomma in Ikusagami dei ricchi capitalisti si divertono a veder lottare e morire ciò che rimane della nobile tradizione spirituale/guerriera giapponese, in nome di un nuovo mondo occidentalizzato e orientato solo ai valori materiali dell’avidità e del profitto. Questa metafora si spinge ancora più in là, facendo presagire come da una simile perversione possa nascere una cupa burocrazia dello stermino, che ricorda da vicino il nazismo. Cioè l’ideologia di morte assoluta, di cui il Giappone stesso di qualche decennio dopo sarebbe divenuto alleato e complice, non mancando di elargire la propria dose di orrori ai paesi vicini.

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In questa presa di posizione la serie sembra quasi essere un teorema marxista, in quanto sostiene l’ineluttabile confluire del capitalismo nel fascismo. Più curiosa appare invece la scelta di opporre a tali nefandezze una differente idea di violenza, quella appunto dei samurai. Per questo motivo viene data tanta importanza agli scontri individuali, fino a giungere a un ottimo episodio finale puramente action. L’arte della spada diventa l’arte della verità. Chi vincerà determinerà quale aspetto del bushido meriti di sopravvivere. In quest’ottica si è data parecchia importanza alle coreografie, che si presentano molto più curate rispetto alla media di prodotti simili e variano fra stili di combattimento e soprattutto di messa in scena anche distanti fra loro.

Fra chambara e wuxia

Appaiono, forse, palesi e quasi scontati i richiami alla tradizione cinematografica nipponica. Vedendo la serie non si può non pensare ai capolavori del genere Harakiri (Kobayashi, 1962) – per quanto riguarda le premesse iniziali legate all’indigenza del protagonista, i suoi primi piani sofferenti e la dinamica degli scontri principali – o La sfida del samurai (Kurosawa, 1961) – lo scontro ideologico fra l’autoctona spada e l’occidentale pistola, oltreché l’accento su un certo tipo di taglio trasversale di katana, eseguito dai guerrieri. Più sorprendente risulta invece l’incorporamento all’interno dell’estetica samurai di elementi tipici dei kung-fu movie di Hong Kong. L’azione risulta in questo modo davvero sorprendente nell’unire la marzialità realistica del chambara al dinamismo wuxia, con tanto di piani sequenza ben congegnati, combattimenti talvolta più acrobatici ed elementi tratti da classici come Drunken Master (Woo-Ping, 1978).

Ikusagami – Last Samurai Standing: valutazione e conclusione

Se l’azione è un punto di forza della serie, anche l’intrecciarsi delle storie dei singoli personaggi è ben gestito e costruisce dei caratteri credibili e umani, nonostante il loro valore simbolico/archetipico. Fra i pochi difetti presenti in Ikusagami, invece, vi è forse una certa insicurezza di continuity nelle puntate iniziali – personaggi che in una scena si rasano, per tornare in quella successiva di nuovo forniti di barba – e una sovrabbondanza retorica, per quanto riguarda le esplicitazioni, in particolare del villain, legate alla palese metafora sociopolitica. Ma quest’ultimo tratto più che un difetto è in realtà una caratteristica di genere, riscontrabile in molti lavori nipponici simili, dunque alla fine l’apprezzamento dipende dal gusto personale. Al netto di ciò Ikusagami – The Last Samurai Standing, rappresenta un’ottima visione che non deluderà gli appassionati del cinema d’azione orientale e i cultori della figura mitica del samurai.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emzoione - 3

3.1

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