Disincanto – stagione 5: recensione della serie TV
Disincanto 5 diverte ma non convince: la storia di Bean arriva alla promessa conclusione, ma si poteva fare molto di più!
Disincanto è la serie irriverente e sboccata creata da Matt Groening arrivata sugli schermi con i suoi primi episodi nell’ormai lontano 2018. Dopo cinque sfrontantissime stagioni, lo show animato arriva alla sua conclusione con la sua stagione finale disponibile in streaming su Netflix a partire dal 1 settembre 2023. Dieci episodi per concludere degnamente la storia della principessa – davvero poco principesca – Bean e della sua malvagia madre: la Regina Dagmar. Nel frattempo, continuano anche le avventure dei suoi compagni, che la scorsa stagione hanno aiutato la principessa a sopravvivere dopo uno scontro mortale con la versione cattiva di se stessa. La Bean cattiva è stata eliminata in modo piuttosto brutale, ma la lotta della magica reale per il controllo di Dreamland non è ancora finita.
Il controllo del regno intero è ancora nelle mani di sua madre, la malvagia Regina Dagmar, che non si fermerà davanti a nulla per acquisire il potere magico di sua figlia. Lo scontro finale è l’apice del racconto, di cinque anni tra magie, alcol, battute sboccate e combattimenti esilaranti. Il rapporto tra Bean e sua madre è una spia della rivalità che ogni adolescente vive negli anni della propria gioventù con la figura materna e l’umorismo di Groening viene fuori in sprazzi di genialità che affrontano questo argomento delicato con sfrontata irriverenza. L’epilogo, però, perde pezzi per la strada fallendo nel rendere il percorso soddisfacente nell’attesa del grande climax finale. Disincanto 5 sconta la sua struttura rigidamente episodica e una autorionia che poco aggiusta i difetti che la serie ha sempre mostrato.
Disincanto 5: una serie animata a tratti brillante che si conclude con scarsa convinzione
Disincanto è sempre stata una serie TV che ha diviso la critica tra grandi fan e accaniti detrattori. Certamente, rispetto alle altre produzioni e creature di Groening non è quella con maggiore identità: la trama, nonostante sia costellata da intuizioni geniali e da una premessa certamente esilarante, resta rigidamente istitutita in una struttura episodica all’americana che leva il gusto della narrazione serrata. Troppe sono, in questi ultimi dieci episodi, le sensazioni di attesa inutile, di tergiversazione sterile e una tendenza a riempire i vuoti narrativi con gag ripetitive al punto di generare una certa quantità di noia nello spettatore.
L’umorismo autodissacrante di Groening e dei suoi autori, che leggono le critiche dei fan solo per trasformarle in battute autoironiche da utilizzare all’interno dello show, non riesce a raggiungere il livello di smalto e brillantezza necessarie per risultare geniale. Non si può salvare la carenza contenutistica con l’ammiccamento allo spettatore e al critico, puntando sul metaumorismo gigione quando non si ha molto da dire. In sostanza, si ha la sensazione che il momento di gloria raggiunto nella stagione 4 – probabilmente la migliore dell’intero arco seriale – si sia ridotto ad una pochezza narrativa dalla forza vitale debole. La conclusione di Disincanto 5 non ha, in conclusione, molto da dire e la struttura episodica rigidamente stabilita sui 25-30 minuti risulta un surplus di gag spesso percepite come una zavorra piuttosto che come uno sfoggio brillante di umorismo e intelligenza.
La reiterazione degli stessi eventi – spesso con lievi variazioni sul tema – risulta dunque un esercizio di stile che non aggiunge nulla e leva di pathos alla vicenda nella sua conclusione: lo scontro di una figlia ribelle con la sua algida madre, nemica della sua esistenza e boss finale.
Disincanto 5: valutazione e conclusione
Disincanto, nella sua stagione finale, risulta irrigidito nella sua struttura episodica dalla durata prestabilita di episodi e numero di puntate. Nonostante con meno materiale e una maggiore focalizzazione sullo scontro finale avrebbe potuto rendere meglio, risultando anche divertente e toccante, la scelta degli sceneggiatori penalizza pesantemente l’effetto finale. Le scene e le gag sono sempre simili a se stesse da cinque anni, risultando ormai poco efficaci su un pubblico abituato. Infine, lo scontro tra Bean e sua madre non è più il punto focale della narrazione, che si perde in mille svincoli alternativi senza forza narrativa o comica. Nonostante qualche scena riuscita, che per un attimo suggerisce un ritorno di Groening al suo meglio, il risultato globale è una serie senza personalità con una conclusione deludente e dispersiva.