Cold Case: The Tylenol Murders – recensione della serie crime Netflix
The Tylenol Murders è una serie crime ricca di suspence, brivido, dolore e raccapriccio.
Ci sono eventi che segnano una nazione senza lasciare rumore. Silenziosi, letali, irreparabili. Il 1982 è l’anno in cui l’America ha smesso di sentirsi al sicuro — non per una guerra, né per un attentato. Ma per una compressa. Apparentemente innocua. Potenzialmente fatale. Cold Case: The Tylenol Murders, la nuova docuserie Netflix firmata da Yotam Guendelman e Ari Pines, riporta alla luce uno dei crimini più freddi, più inquietanti, più incomprensibili della storia americana.
Un giallo senza soluzione

Sette persone muoiono a Chicago nell’arco di pochi giorni dopo aver ingerito capsule di Tylenol contaminate con cianuro. Non ci sono legami tra loro, non c’è un movente, non c’è una scena del crimine. C’è solo un gesto ordinario — prendere un analgesico per un mal di testa — che si trasforma in una condanna a morte. A quarant’anni dai fatti, il documentario ripercorre questa spirale con intensità narrativa e sguardo psicologico, restituendo non solo le vittime, ma l’eco emotiva che l’evento ha lasciato nei sopravvissuti, nelle famiglie, nell’intero Paese.
Il dolore si incide attraverso le parole: Michelle Rosen, che nel 1982 aveva otto anni, racconta gli ultimi attimi di sua madre, stroncata davanti ai suoi occhi dopo aver preso una compressa. I colleghi di Paula Prince, hostess di volo, ricordano la scena del ritrovamento del corpo con un dettaglio impossibile da dimenticare: sulle sue labbra restavano ancora tracce di cianuro, tanto da rendere pericolosa anche una banale manovra di soccorso. Il documentario non indulge nel macabro. È elegante, sobrio, ma preciso nel raccontare l’orrore.
Con uno stile asciutto ma emotivo, Cold Case disegna un ritratto inquietante dell’America degli anni Ottanta: fiduciosa, automatizzata, impreparata. Un’America in cui aprire una bottiglietta di medicina era un gesto meccanico, e in cui il concetto stesso di sicurezza domestica è stato sovvertito da un atto criminale tanto semplice quanto geniale. Perché l’orrore, stavolta, non era fuori. Era dentro casa.
James W. Lewis e il dubbio eterno

Il documentario ruota, inevitabilmente, intorno alla figura di James W. Lewis, il principale — e mai formalmente accusato — sospettato. Lewis aveva inviato una lettera a Johnson & Johnson, la multinazionale produttrice del Tylenol, chiedendo un milione di dollari per fermare le morti. Fu arrestato per estorsione, e scontò dodici anni di carcere. Ma nessuna prova concreta lo collegò mai agli omicidi. E non fu mai processato per quelli.
Il suo volto è uno di quelli che il tempo non ha reso più trasparente. Nell’unica intervista concessa ai registi — e la sua ultima prima della morte nel 2023 — Lewis appare sfuggente, ironico, disturbante. Sostiene la propria innocenza, ma con il ghigno ambiguo di chi sembra divertirsi a recitare la parte del cattivo. “Se un giorno riuscirete a leggere la mia mente,” dice alla telecamera, “non troverete niente di incriminante.” Il problema, è che non possiamo leggerla. E il documentario lo sa bene.
Ma il merito più grande di Cold Case: The Tylenol Murders è non limitarsi a un solo sospettato. La narrazione si allarga, esplora teorie mai approfondite prima, tra cui una che ha il peso dell’indicibile: e se il cianuro fosse stato inserito all’interno di un impianto di produzione? Se il veleno non fosse finito nei flaconi sugli scaffali, ma prima, durante il confezionamento? È un’ipotesi che sfiora lo scandalo. E Johnson & Johnson, prevedibilmente, ha rifiutato ogni commento.
A questo punto, ciò che resta è il vuoto. E la consapevolezza che l’assassino potrebbe non essere mai stato guardato negli occhi. Che forse non è mai stato cercato nel posto giusto. Che forse, la verità è sepolta sotto anni di piste sbagliate, scelte politiche, paure industriali. Una giustizia mai arrivata, e un crimine che ha cambiato per sempre il nostro modo di vivere l’intimità del quotidiano.
Cold Case: The Tylenol Murders – valutazione e conclusione
Cold Case: The Tylenol Murders non offre risposte. Ma restituisce dignità alle domande. E ci ricorda che la fiducia, una volta spezzata, è più fragile del vetro. Lo è ancora di più quando chi la rompe rimane impunito.
Un documentario necessario. Da vedere, con lo stomaco teso e il cuore pieno di dubbi.