Cinque giorni al Memorial: recensione della serie Apple TV+

La recensione dei primi episodi di Cinque giorni al Memorial, la serie Apple TV+ basata sul disastro avvenuto a causa dell'uragano Katrina, in Louisiana.

Cinque giorni. Cosa può accadere in cinque miseri giorni? Forse niente, forse tutto. Ci si può innamorare, si può rompere una relazione, si può decidere di cambiare vita, si può vivere la propria piatta e noiosa esistenza. Può anche trattarsi del lasso di tempo preso in esame dalla serie Cinque giorni al Memorial con i suoi 8 episodi (su Apple TV+ dal 12 agosto 2022) che racconta la storia di quei cinque giorni che seguirono l’arrivo dell’uragano Katrina, di come l’emergenza sia stata gestita, con pochi mezzi e grandi difficoltà per lo staff, i pazienti e le famiglie del Memorial Hospital. I problemi sono tanti, ingestibili, uniti alla paura per sé e per gli altri, alla disperazione e all’impotenza di fronte ad una tragedia e all’impossibilità di lavorare al massimo delle proprie capacità e risorse; quell’ospedale con un altro al suo interno, con due gestioni differenti che non comunicano al meglio, è una bomba ad orologeria. Cinque giorni al Memorial, con regia e sceneggiatura di John Ridley e Carlton Cuse, tratta da un’inchiesta della giornalista Sheri Fink, successivamente premiata con il Pulitzer – questo articolo diventa un saggio Five Days at Memorial: Life and Death in a Storm-Ravaged Hospital (2013); il punto centrale del libro è la riflessione riguardo a quanto uno scenario disastroso influenzi questioni etiche e legali intorno ai temi dell’assistenza medica e dell’eutanasia -, è una sorta di medical drama che però è ancora più complesso e, a tratti, insostenibile perché racconta una storia realmente accaduta, quella dell’ospedale di New Orleans che deve rispondere in prima linea alle conseguenze dell’uragano. 

Cinque giorni al Memorial: una tragedia di cui si deve trovare un colpevole

“Ci sta dicendo che siamo soli e non potete aiutarci?”

Negli ultimi giorni dell’agosto 2005, un uragano di categoria 5, si abbatte per ore su New Orleans (Louisiana). Piogge torrenziali e venti oltre i 280 chilometri orari causano il cedimento del sistema di argini che protegge la città, in buona parte situata sotto il livello del fiume Mississipi. L’80% di New Orleans è inondato, i danni sono enormi e le vittime si contano a centinaia. Di fronte a tutto questo, alla temperatura che sale incessante, alla corrente che manca e all’acqua che continua a salire, medici e infermieri si trovano di fronte a una situazione drammatica. All’arrivo degli aiuti dopo quei cinque giorni da incubo vengono trovati ben 45 cadaveri nella cappella dell’ospedale.

I primi episodi, pur introducendo solo alcuni elementi dell’inchiesta, si concentrano sui giorni all’interno dell’ospedale mostrando in modo molto realistico i momenti vissuti dai medici, dagli infermieri. L’ospedale dovrebbe essere il luogo in cui la protezione è al massimo ma così, per cause di forza maggiore, non è stato, quando accadono certi eventi le carte si sparigliano e non ci sono posti in cui si è al sicuro.

Il punto è uno, si chiarisce subito: la colpa pesa come un macigno, gli errori macchiano la coscienza e la “fedina” sociale e morale, però si deve incolpare qualcuno per tutto ciò che non ha funzionato e questa volta il capro espiatorio è la dottoressa Anna Pou (Vera Farmiga), la dottoressa che ha deciso di rimanere durante l’emergenza, che si sospetta abbia iniettato una dose letale a un numero elevato di pazienti. Si tratta di un storia profondamente e drammaticamente umana che colpisce dritto al cuore, è un racconto che fa riflettere sulle difficoltà del sistema sanitario americano con ospedali gestiti da corporazioni che spesso non tengono conto del principio primo: curare i malati. La dottoressa Pou lo dice, lei ha un solo compito, un solo desiderio: aiutare nel dolore, non fare soffrire più, invece si vuole tentare di far emergere l’idea che lei abbia voluto in qualche modo ovviare al problema delle troppe persone da evacuare entro troppo poco tempo dalla struttura. Ogni scena, ogni dialogo, ogni storia è un pugno in piena faccia: manca l’acqua, il cibo, l’elettricità, si inizia a fare una lista di chi ha la priorità. I medici sono sempre più stanchi e disperati: corrono da un reparto all’altro per fare il possibile, perché anche una sola vita è importante.

Cinque giorni al Memorial: un teso legal drama che ha la durezza dell’essere molto vero

“è così che è iniziato tutto, noi al buio, senza corrente. Non potete capire come è stato, anche per noi, anche per i medici, a volte, noi salviamo le vite, ma siamo passati dal poter salvare le vita a… Non ci vuole molto perché tutto precipiti, quel che è successo dopo, non potevamo impedirlo. Io non potevo impedirlo “

Un paziente in arresto cardiaco diventa un vero problema perché non hanno i macchinari, servono medici ma nessuno è libero; sul lettino c’è il corpo non di un paziente ma di una persona che ha bisogno d’aiuto, ha la necessità che il medico sia pronto ma le condizioni in cui si trovano fanno sì che nulla sia normale. La dottoressa Pou corre in sala, è madida e quando entra immobile assiste a quello che sembra un gesto disperato, tutti sono attorno a quel corpo e tentano l’impossibile. Tra le lacrime, zuppa di sudore, dolore e rassegnazione, guarda con umana disperazione la morte di un paziente, ne ha viste altre, questa ha un valore e un significato particolari. 

“Non poteva impedire che morissero o che venissero uccise?”

Cinque giorni al Memorial è anche un legal drama perché lo spettatore assiste alle indagini e agli interrogatori, domande che già presuppongono una risposta, toni da cui traspare un bisogno impellente di dire la nostra colpevole è la colpevole.

Medici e infermieri, con gli occhi di chi continua a vivere il trauma, rispondono consapevoli che non potevano agire meglio di così. Esplodono le immagini delle infermiere che fanno il possibile e l’impossibile per salvare la piccola neonata più bisognosa di cure, riecheggiano le parole di ciascuna di loro che cerca di dare un attimo di pace a chi pace non ha, agli anziani che stanno esalando l’ultimo respiro, al paziente bisognoso di una parola, alla collega ormai disidratata che non ha tempo neppure di bere un goccio d’acqua.

I primi episodi della serie Apple TV+ gettano le basi per raccontare una storia che fa ancora male

Vera Farmiga riesce perfettamente a raccontare la sua dottoressa Anna Pou, esprime ogni sentimento della donna, ogni emozione da lei vissuta, anche il resto del cast è capace di portare a galla una tragedia ancora vivida, nonostante siano passati più di 15 anni. Lo show non vuole dare la sua opinione, non parla di vittime e carnefici, di colpevoli e innocenti, è un’opera che sta in perfetto equilibrio, presenta i fatti e al massimo i sospetti nei confronti dei personaggi, narra gli avvenimenti non solo grazie a filmati d’archivio ma ricostruisce l’uragano Katrina, imponente e inquietante. La serie porta a galla i dilemmi morali e etici, come già aveva fatto con Dr Death, anche se le due situazioni sono completamente diverse, del “non recare danno” che qui viene sviscerato per comprenderne tutte le sfumature. In questi primi episodi si vuole porre un primo quesito ed è: la dottoressa è quindi un’eroina o un mostro sotto mentite spoglie?

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.8

Tags: Apple TV+