Black Spot – Stagione 2: recensione della serie tv

La seconda stagione di Black Spot mescola thriller e noir al mondo mistery.

Nulla sembra essere più lo stesso a Villefranche dopo il finale della prima stagione di Black Spot. Ogni personaggio si porta dentro un disagio – da Laurène a Cora, la figlia del maggiore, da Nounours al sindaco – dovuto ai misteri che sono elemento fondante di questo paese, che non si chetano mai, anzi, se possibile si fanno ancora più sconvolgenti. Dal 14 giugno su Netflix si possono trovare gli otto episodi che compongono la seconda stagione di Black Spot appunto, tv show franco-belga, creato da Mathieu Missoffe e diretto da Thierry Poiraud insieme a Julien Despaux.

Black Spot: una seconda stagione che mescola thriller, noir e mistery

Black Spot

La serie con questi nuovi otto episodi tenta di spiegare che cosa capiti nel bosco di Villefranche, cosa accada ai suoi personaggi; si lavora ancora intorno alle varie morti (casi di puntata) che “disturbano” la quiete della “ridente” cittadina e intorno alla storia orizzontale – che continua ad essere la scomparsa della figlia del sindaco e chi è l’uomo dei boschi -; la serie usa i miti celtici per rinverdire le simbologie che ruotano intorno a quella bestia. La seconda stagione di Black Spot mescola thriller e noir al mondo mistery; se nei primi otto episodi questo mix funzionava abbastanza, in questi ultimi otto qualcosa non funziona, risultando a tratti un gioco poco riuscito.

Black Spot si chiede ossessivamente il motivo per cui le persone spariscano, perché gli abitanti di questo paese siano vessati da forze incredibili che li sferzano senza pietà e compassione. Al centro di tutto c’è sempre il maggiore Laurène Weiss che, dopo aver rischiato, per l’ennesima volta, la vita nel bosco e essersi salvata, grazie ad una mano spaventosa ma amica, torna in carreggiata per salvare il suo paese e la sua gente. Weiss, come chi conosce il confine tra vita e morte, tra esistere e non esistere, tra morte “apparente” e sonno eterno, riprende il suo ruolo dopo la malattia continuando a portare dentro di sé questi due mondi, universi distanti ma compresenti in lei. 

Black Spot: il centro della seconda stagione continua ad essere Laurène

Black Spot

Il maggiore lavora al fianco del suo fedele amico Nounours che continua a starle vicino, non senza perplessità, pur non comprendendone fino in fondo le ragioni, per il bene che le vuole, nota infatti le sue “stranezze”, il suo “dolore”. L’uomo si sente in colpa per ciò che non ha fatto e per ciò che non riesce a fare per l’amica, continua a rimproverarla per il suo modo non ortodosso di condurre le indagini, senza però lasciarla mai sola.

A capo della squadra c’è ancora il procuratore Siriani (Laurent Capelluto) che è un personaggio strano, che vive il suo ruolo nell’ambiguità. Nella prima stagione l’abbiamo visto dialogare con il nemico, stare un po’ di là e di qua se questo poteva tornare utile, ora, se da un certo punto di vista sembra aver capito le regole di questa “zona bianca” – Laurène gli dice parafrasando che ha fatto molta strada da quando è arrivato tra loro -, è ancora comunque uomo dalle tante ombre. In questa seconda stagione lo spettatore conosce un aspetto nuovo dell’uomo di legge, grazie all’entrata nel cast di Marina Hands (Le invasioni barbariche, Non dirlo a nessuno), che incarna Delphine Garnier, un’esperta di inquinamento atmosferico – ritornano quei barili di cui si era parlato nella prima stagione e che erano già stati “merce di scambio” tra i personaggi, la famiglia Steiner e la comunità di Villefranche – con cui c’è una forte attrazione. La donna è chiamata in paese per studiare quell’orda di cani impazziti e di api assassine che stanno dilagando in paese.

La Natura infatti continua ad essere un elemento fondamentale dentro questo complesso testo, non sempre coerente: cani e api attaccano l’essere umano, lo divorano, lo mangiano, lo dilaniano. L’atmosfera continua ad essere quella brumosa della prima stagione, Villefranche è un mondo in cui esiste nulla e tutto, in cui tutto e nulla è possibile. Le persone spariscono, i vicini muoiono, e all’uomo non rimane che sopravvivere tra miti e leggende, tra incubi e realtà crudeli.

Black Spot: una stagione 2 deludente

Black Spot

Da un momento all’altro le cose possono cambiare, dopo un’inquietante e narcotizzante stasi e una lentezza – che se da una parte può essere lo stile di un noir dall’altro non è sempre una grammatica coinvolgente – a tratti ingiustificata, chi indaga diventa preda di un “male” di cui non si scorgono i confini, chi è convinto che quella del mostro del bosco sia solo una leggenda si convince che non è così. Entrare in Black Spot fa comprendere il significato stesso della parola confine, poiché costruisce tutto il suo mondo proprio lì, sul quel confine, labile, inconsistente.

Se la serie cerca di sciogliere alcuni nodi, ne intreccia però altri, proprio a ridosso del finale di stagione – infatti ci si chiede se ci sarà una terza stagione proprio per svelare gli arcani; se da una parte si creano storie che possono coinvolgere dall’altra si fanno affondare in un mare poco affascinante e il risultato è una perdita di interesse per ciò che si sta guardando. Quella che sembrava una buona serie con molto margine di miglioramento, anche grazie ad un testo d’ispirazione d’eccezione, Twin Peaks, si è appiattita su se stessa nonostante qualche interessante intuizione.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2.5
Emozione - 2.5

2.7