Better Call Saul 5 – recensione del finale di stagione

E alla fine anche per Saul sarà meglio chiamare qualcuno, come Kim Wexler.

Con la chiusura della sua quinta stagione, Better Call Saul ci costringe almeno parzialmente a rivedere tutto quel che sapevamo (o credevamo di sapere) riguardo la natura dei personaggi che muovono i fili delle vicende narrate.

Pensata per essere un semplice spin-off di Breaking Bad, serie di culto di Vince Gilligan, Better Call Saul ci permette di intuire la presenza costante di alcuni personaggi fino all’epilogo, quando non addirittura di tracciarne le possibili traiettorie future. Questo fattore, da un lato limitante per la libertà sull’evoluzione della serie, spinge in realtà il team di autori (fra cui spiccano gli eccellenti Peter Gould, Thomas Schnautz e Heather Marion) a esperire nuove vie tramite cui raccontare un universo nuovo. Il focus viene spostato dai personaggi di Breaking Bad a quelli nuovi (anche Jimmy/Saul è un individuo diverso da quello che conoscevamo, persino nel nome) ed è proprio questo rovesciamento a rappresentare la novità e la chiave vincente di Better Call Saul. 
La quinta stagione, in particolar modo, sottolinea ancor più la volontà da parte degli autori di distaccarsi in toto dalla serie madre, che a questo punto ha davvero poco senso chiamare in questo modo.

Better Call Saul 5: dramma, azione, commedia e gangster movie

Better Call Saul 5: recensione del finale di stagione Cinematographe.it

Gould e la squadra di sceneggiatori hanno realizzato un prodotto del tutto indipendente da Breaking Bad, in grado di discostarsi su ogni livello pur riuscendo a preservare intatto uno degli elementi principali della serie di Gilligan: la narrazione del racconto attraverso diversi generi, che in Better Call Saul sono il drama (tra cui il courtroom), la commedia, l’action e il gangster movie. Tra questi, nelle precedenti stagioni, intercorreva un argine immaginario che separava in base all’ambiente lavorativo le vite di James McGill (Bob Odenkirk), Kim (Rhea Seehorn), Chuck (Michael McKean) e Howard (Patrick Fabian), legati dall’ambiente giudiziario, da quelle, assorbite dall’universo della criminalità organizzata, di Mike (Jonathan Banks), Fring (Giancarlo Esposito), Nacho (Michael Mando) e i Salamanca.

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Il più significativo cambiamento introdotto dalla stagione appena conclusa è stato quello di completare – anche grazie all’introduzione di un cattivo perfetto, Lalo (Tony Dalton) – un geniale congegno che spingeva tutti questi personaggi a entrare quasi in contatto, senza mai però assecondare la totale amalgama dei due mondi. Quel “quasi” era sempre un elemento di tensione che fungeva da ostacolo e al contempo da magnete, permettendo che i due territori esplorati – quello della legalità e quello, congiunto e opposto, della criminalità – rimanessero abbastanza disgiunti. Nella quinta stagione Jimmy/Saul comincia a pagare lo scotto (in senso non solo figurato) delle sue azioni, il già acceso conflitto interiore che vive da sempre fa sì che subisca un cambiamento come individuo, seppur gradualmente, e su un livello narrativo cambia Better Call Saul, che mai come ora è stato più distaccato da Breaking Bad e allo stesso tempo così simile per toni, tematica portante e dinamiche.

Better Call Saul 5: l’evoluzione di Kim Wexler e l’etica professionale

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Verrebbe spontaneo riconoscere nell’apparente dualità del protagonista Jimmy/Saul quella stessa disgregazione che sussisteva fra Walter White e Heisenberg, sorta di doppio che finisce con l’assorbire del tutto la personalità del family man pulito e integerrimo, dando vita a quel che a tutti gli effetti è un villain. Eppure è sin dalle prime stagioni che di Jimmy sappiamo bene una cosa: il fatto che sia slippin’ Jimmy” e, dettaglio più importante, che lo sia da sempre. Il continuo scivolamento che porta Jimmy verso Saul, a viceversa, può far pensare a un analogo meccanismo, ma quel personaggio che in Better Call Saul subisce una vera scissione interna è Kim Wexler, l’avvocato perfetto, l’avvocato dalla saldissima etica professionale ma continuamente sedotto dall’idea che le regole esistano per essere spezzate.

Better Call Saul 5: recensione del finale di stagione Cinematographe.it

L’avvocato pronto a sostenere e a vincere qualsiasi battaglia legale per proteggere i deboli (persino Jimmy in un tesissimo confronto con Lalo che Kim affronta a denti stretti), ma affascinata da quell’ambigua e sottilissima discrepanza che spesso riesce a trovare fra ciò che è giusto e ciò che è legge, disposta a manipolare in modo machiavellico la sua concezione di “sbagliato” e di “criminale” se è per aiutare qualcuno (o almeno questo pare essere il pretesto ufficiale). La quinta stagione di Better Call Saul si chiude con un trio di episodi magnifici – Bagman, Bad Choice Road e Something Unforgivable – che si focalizzano, più che sulle azioni di Saul, sul modo in cui vengono percepite e quasi rivissute da Kim, cuore della serie almeno quanto Saul stesso.

Il sentiero di Saul è stato stabilito una volta per tutte dalle scelte che lo vediamo compiere in Bagman, ma l’uomo viene messo a nudo con tutte le sue fragilità, tornando a essere il personaggio indifeso ed esposto, inerme e altamente vulnerabile che conosciamo bene. E’ Kim, piuttosto, a sfoderare un carattere nuovo, troppo forte per essere il semplice frutto dell’influenza negativa di Jimmy, troppo stratificato e ambiguo per essere ridotto a doppio di Jimmy o a un sistema binario che preveda solo il giusto e lo sbagliato. Forse è proprio Kim, eccitata dalla disintegrazione del suo codice morale perché vuole sentirsi viva, a essere il personaggio larger than life di Better Call Saul.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4.5
Fotografia - 4
Recitazione - 5
Sonoro - 4
Emozione - 4.5

4.3