Baghdad Central: recensione dei primi episodi della serie Sky Atlantic

Una spy story oscura come un thriller psicologico.

Iraq. Una donna scompare. Un padre cerca la propria figlia. Un’indagine, un mondo precario dopo il 2003, anno i cui Saddam Hussein viene cacciato e va al potere il governo di transizione anglo-americano. Racconta questo Baghdad Central, serie TV inglese in sei episodi, diretta da Alice Troughton e firmata da Stephen Butchard, che arriva su Sky Atlantic (e in streaming su NOW TV) lunedì 18 gennaio 2021.

La trama di Baghdad Central: una donna scompare e un padre la cerca

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Il primo episodio si apre con uno dei pochi momenti gioiosi della serie, il compleanno di Sawsan (Leem Lubany), una giovane studentessa che nasconde molti segreti e molte speranze, una tra tutte l’arrivo degli americani affinché riportino la democrazia a Baghdad (Sawsan guardando un murales su cui è stato dipinto Hussein dice che la guerra porterebbe a un cambiamento, di cui l’Iraq ha bisogno, e in un secondo momento mentre lei e i suoi parenti guardano alla tv la celebrazione del “glorioso Iraq” lei, parlando degli americani afferma con una ferma spietatezza che l’arrivo degli americani sarebbe per Hussein la fine). 20 Marzo 2003. La città esplode e brucia, riflessa nelle acque – immagini che ci raccontano che molte cose avvengono sotto traccia, nascoste e che non tutto è come appare. Passano i mesi, Novembre 2003. La città è cambiata, una didascalia ci racconta: “L’Iraq si trova sotto il controllo di una coalizione guidata dagli Stati Uniti”; cambia però anche la vita di Sawsan e della sua famiglia ma ancora nessuno lo sa. Sawsan sparisce nel nulla. Arriva una chiamata da parte dello zio di Sawsan che dà la terribile notizia e il padre della ragazza, Muhsinsi (Waleed Zuaiter), ex ispettore di polizia, inizia a fare delle ricerche, mentre sta accanto all’altra figlia, Mrouj (July Namir), gravemente malata, e scopre, rovistando nella sua camera, che è diventata traduttrice per gli americani.

Il padre fa di tutto, anche passare dalla parte dei “collaborazionisti” per riuscire a raggiungere il suo obiettivo: trovare la sua bambina. Baghdad Central è una serie cupa, nera, capace con poche scene di raccontare la paura, il terrore, la precarietà dell’esistenza umana in un terra complessa come l’Iraq; si percepisce un senso di paranoia, di angoscia – la scomparsa della giovane, la malattia dell’altra giovane figlia di Muhsinsi –  aiutato anche dall’atmosfera, resa perfettamente dalla luce elettrica che spesso va e viene.

Baghdad Central: una storia di donne che si ribellano ad ogni costo

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Sawson è scomparsa per le sue idee – e per molti il crimine sta proprio nell’essere donna e avere delle idee -, per il suo lavoro, per ciò che rappresenta e perché donna; è difficile essere progressisti in certi luoghi. “Le donne, nell’Iraq di oggi hanno l’abitudine di scomparire” dice la professoressa Zubeida Rashid (Clara Khoury), una donna forte, sicura, coraggiosa che rappresenta tutto ciò che spaventa, è maestra di molte altre donne come lei, di Sawsan, ma anche di Candy per gli americani ma il suo nome è Sanaa e di Laura, le compagne/amiche della giovane scomparsa, la professoressa è anche però uno dei tanti personaggi ambigui della serie.

Muhsinsi incontra la donna per sapere qualcosa in più su sua figlia ma non riesce ad ottenere tutto ciò che vorrebbe.

Mushinsi: “Crede che potrebbe aver ricevuto delle minacce?”

Professoressa: “Certo, è una donna intelligente e patriottica. Sawsan, come molti altri, crede in un Iraq libero e laico ma essendo suo padre lo saprà già”

Mushinsi: “è giovane e suggestionabile. Dov’è l’Iraq libero, me lo mostri”

In questo dialogo ci sono due modi di pensare diversi: da una parte c’è un padre che nonostante sia, rispetto a molti altri, piuttosto aperto – rompe più di una volta il digiuno, critica Hussein e il modello di Iraq che lui rappresenta, dà il “permesso” alla figlia di studiare lontano da casa, ospite dello zio -, vede in Sawsan sua figlia non una che lotta per il bene comune, per un Iraq libero e laico, dall’altra c’è una professoressa, una donna che sa che rischiano lei e tutte le altre. Non sembra sorpresa della scomparsa e la sua freddezza dispiaciuta si scontra con la rabbia disperata del padre. Mushinsi non sa nulla di Sawsan e inizia a conoscerla veramente solo ora e per lei fa di tutto.

Sawsan è colpevole per molti, colpevole di avere una doppia vita, di avere una sua opinione, di armarsi e combattere per ciò in cui crede, ma lo zio e la zia sono convinti che avrebbe dovuto stare al proprio posto per non mettere in pericolo – non lei stessa – loro e i suoi cugini. Lei, secondo lo zio non ha alcun rispetto per il padre, mette davanti a tutto le proprie convinzioni.

Le donne in Iraq hanno una vita molto difficile, sono ancora costrette a seguire delle regole precise ma sono desiderose di lottare per cambiare: Sawsan balla e il padre la riprende dicendole che non può danzare di fronte a suo zio, Sanaa, una delle amiche di Sawsan, non può amare chi vuole perché prima di ogni cosa c’è la causa. Sono trattate come merce di scambio – il direttore americano compra Mushinsi dicendogli che se fosse passato dalla loro parte nella Green Zone la figlia avrebbe potuto trovare delle cure per la sua malattia -, “territori” di dominio maschile, gli uomini vorrebbero riproporre in eterno la grammatica della donna da proteggere ma le donne (v. storia di Sanaa) sono in grado di proteggersi da sole.

Sono personaggi completi, intensi che si muovono, si ribellano, non stanno mai ferme, sarà per questo che sono loro, come se fosse un errore uscire da quel cerchio che per tradizione e per cultura era stato costruito loro intorno, a pagare lo scotto più grande: la libertà, la vita. Capita a Sawsan ma anche a chi per le proprie ideologie uccide e si uccide, capita a chi come atto dimostrativo si getta sulla Green Zone con la macchina.

“Credete di essere uomini, uomini duri. Siete dei bastardi. Uccidete anche me”

Baghdad Central: un mondo complesso tra iracheni e americani

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L’iraq è una terra piena di luci e ombre, complessa e ricca di sfaccettature (“una volta eravamo tutti iracheni” dice Hamed, un vecchio amico di Mushinsi; viene impedito all’ex ispettore di tornare a casa dopo che è diventato un collaborazionista) e da quando gli americani hanno preso il potere, tutto si fa ancora più complicato. Se da una parte molti iracheni mal sopportano la presenza statunitense, gli americani trattano come esseri inferiori gli iracheni, si sentono i liberatori e in funzione di questo agiscono, vivono e si comportano.

“Siamo i vostri liberatori, un po’ di rispetto”

Gli scontri a fuoco sono all’ordine del giorno; è normale che il popolo prenda a sassate i carri armati americani, che i corpi di iracheni e americani siano nascosti e sepolti in casa, che si cammini sulle macerie di una città che ormai non esiste più, è altrettanto normale che i “liberatori” ridano della rabbia disperata della popolazione.

Durante uno dei viaggi in taxi, per fare le sue ricerche, Mushinsi dialoga con il conducente che rappresenta il ventre molle della società. Per il taxista gli americani credono di essere “dei” perché hanno occhiali da sole e gomme da masticare, orpelli che potrebbero benissimo recuperare anche loro diventando uguali ai loro “liberatori”. Appare chiaro che gli occidentali hanno sì conquistato la città ma non sono ancora riusciti a capire come amministrarla, il terrore serpeggia tra la popolazione e infatti il taxista ammette di aver paura che gli sparino un colpo in testa.

Fondamentale per comprendere non solo il rapporto tra Stati Uniti e Iraq ma anche le luci e le ombre che governano Baghdad è il momento in cui Mushinsi viene sequestrato perché credono che sia il Tre di Quadri, un terrorista. Viene picchiato, torturato, gli vengono strappati i baffi – simbolo del suo essere iracheno – e poi, con delle debolissime scuse, viene rilasciato con una promessa: da ora in poi lui sarà un collaborazionista.

Frank Temple, poliziotto inglese: “Vede ispettore, il funzionamento di una società inizia dall’ordine pubblico, stiamo riscrivendo l’intero sistema giudiziario. Ciò che serve davvero sono le persone, persone con un’integrità, persone come lei”

Temple – che è un uomo retto, che mira a riportare ordine e libertà in quella città – gioca con Muhsinsi sa che lui farebbe di tutto per la sua famiglia, per sapere di più sulla scomparsa di Sawsan ma anche per la salute di Mrouj, lo compra per usarlo a suo uso e consumo, gli può servire un ispettore, un analista conoscitore del territorio.

Baghdad Central: un thriller teso e oscuro

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Baghdad Central è un thriller psicologico teso, oscuro, è una serie che offre le tipiche ambiguità delle spy-story in cui le piccole tragedie intime e personali si mescolano alle Grandi Storie. I primi due episodi portano lo spettatore, a poco a poco, in un mondo complessissimo, nero, in cui bisogna scendere a patti per sopravvivere. Sono le prime righe di un dramma che turba e sconvolge, di un poema fatto da donne che si ribellano in un mondo di uomini, di guerra e d’odio ma anche di libertà da riconquistare.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.4