All About The Washingtons: recensione della serie tv Netflix

La sitcom Netflix uscita il 10 agosto ha come protagonisti, nonché produttori, Joseph e Justine Simmons: lui è rapper dei Run DMC e lei moglie sullo schermo, oltre che nella vita. Tra fiction e reality, si mette in scena la quotidianità familiare, all'insegna della comedy americana più tradizionale.

Come pensare una sitcom all’interno dell’attuale produzione seriale, come pensarla senza che questa sia una riproposizione di vecchi modelli ormai obsoleti?
Nel panorama infinito delle uscite seriali (per non parlare delle eterogenee produzioni originali Netflix) la sitcom, spesso, è un genere non attraversato dalle medesime spinte creative riformanti. Cosa vuol dire? Vuol dire che capita, più o meno volentieri, di ritrovarsi di fronte a All About the Washingtons, originale Netflix che sembra nata più per il capriccio egocentrico dei suoi produttori (nonché protagonisti) che per un reale intento artistico. Per All About The Washingtons il tempo sembra essersi fermato: potremmo trovarci agli esordi televisivi di Tutto in famiglia (2001-2005), o a quelli di Will: il principe di Bel Air (eccetto per il fatto che lì c’era Will Smith a fare il mattatore imbattuto e che era il 1990) senza percepire alcun dislivello temporale. Non che i riferimenti ai social media possano bastare.

All About The Washingtons: la vita in famiglia di DJ Run

Insomma, questo è lo show di Joseph Simmons e consorte, elemento a rappresentare in sé una premessa quantomeno interessante, in quanto Joseph è l’ex membro del celebre gruppo hip hop Run DMC, lì sotto lo pseudonimo di DJ Run, ponte di collegamento tra fiction e reality: Joseph e Justine Simmons sono marito e moglie anche sullo schermo, mentre i loro quattro figli sono impersonati da giovani attori piuttosto bravi (nella realtà, Simmons ha cinque figli, avuti anche dalla moglie precedente); poco male, perché l’incursione nel reality a tutto tondo risale a più di dieci anni fa, quando, sotto la produzione di Sean “Diddy” Combs (cioè il rapper Puff Daddy), intorno a coniugi e prole era stato costruito il reality Run’s House, prodotto realizzato sull’onda della wave di docu-soap che all’inizio dei 2000 conobbe la sua età più fortunata, specialmente sulla compianta MTV (The Osbournes, tra le più viste).

Ma, questa volta, la serie prende vita sotto interessi e speranze decisamente differenti, giacché i tempi sono maturati e legittimerebbero un sufficiente distacco dai modelli delle passate e passatissime stagioni. Eppure, troviamo la medesima situazione casalinga tanto cara al genere, senza che questa subisca alcun tipo di aggiornamento formale, o narrativo.
Reverend Run decide di darsi al pensionamento, non con poche remore e ripensamenti, mentre la moglie sfrutta il ribaltamento di ruoli per darsi al business e lanciare sul mercato una specie di utensile che servirebbe ad evitare ai bicchieri di rovesciare il loro liquido nel bel mezzo di un’occasione sociale o sulla pista di una discoteca. Significa più tempo per i siparietti familiari, più tempo per Rev Run per fare il padre di famiglia, mentre ogni eventuale problematicità viene immediatamente lasciata fuori dalla porta. Esemplare, a questo proposito, la parentesi sentimentale della figlia maggiore, Veronica, che s’invaghisce di un ragazzo, gettandola nella disperazione per il timore di cedere alla tentazione finendo per tradire così il suo fidanzato. Le potenzialità del discorso vengono però annullate nell’arco di un paio di episodi, schiacciate sotto il piglio moralizzatore della madre, intervenuta a riportare la figlia sulla retta via.

All About The Washingtons è una comedy poco brillante che ha davvero poco da dire

Man mano che gli episodi si avvicendano, pochi sono i segnali che lasciano intendere una narrazione dei personaggi che possa andare oltre la battuta estemporanea o la stigmatizzazione stereotipata tanto cara alla tradizione della sitcom americana ormai da manuale. Nulla contro un utilizzo della serialità che possa rifarsi ai canoni classici senza inventarne di nuovi, ma l’impianto comico denuncia troppo presto la sua opacità, in una sensazione di déjà vu continuo. Proprio mamma e papà, poi, si rivelano essere i meno portati alla recitazione, maschere di decenni di altre maschere meglio azzeccate. Tra figli adolescenti che fanno musica nella loro stanzetta, emulando il padre (il leitmotif musicale poteva essere importante al fine di dare identità e carattere), e altri, più piccoli e genietti, si respira una certa svogliatezza. La piacevolezza data dalla facilità dei contenuti dà una media soddisfazione che si dimentica velocemente.

Alla domanda: “ce n’era davvero bisogno?” possiamo facilmente rispondere “no”. All’ABC devono aver pensato lo stesso, canovaccio del progetto alla mano, visto che è stato  prontamente delegato al collega più giovane, meno scrupoloso nel rilasciare una sitcom nata vecchia.

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 2

1.9