3% – Stagione 4: recensione della serie TV Netflix

Si conclude con la quarta stagione 3%, la serie tv distopica brasiliana Netflix che racconta la lotta di classe tra il popolo dell’Entroterra e l’elite dell’Offshore.

3% ha dovuto, probabilmente, subire la sfortuna di venir fin troppo relegata nei meandri del catalogo Netflix, quantomeno quello italiano se pensiamo che non esiste doppiaggio nella nostra lingua. La serie tv brasiliana, nata da una web serie omonima, cominciata nel 2016 si è però rivelata fin dalla sua prima stagione come un prodotto interessante e altamente curioso. Con la quarta stagione conclude un ciclo iniziato appunto quattro anni fa con il Processo numero 104. La storia di base la conosciamo fin troppo bene. 3% è ambientata in un futuro distopico, in una Terra ormai totalmente mutata e distrutta da calamità naturali e sociali. Il mondo è diviso in due: da un lato troviamo l’Entroterra, l’area più grande e povera, dov’è relegata la maggior parte della popolazione; dall’altro l’Offshore, o Maralto in lingua originale, un paradiso idilliaco e iper-tecnologico a cui può accedere solamente il 3% della popolazione dell’Entroterra e solo dopo aver superato il Processo, ovvero una serie di prove estenuanti di logica e prestanza fisica rivolte annualmente ad ogni ventenne dell’Entroterra.

Alla fine della terza stagione della serie tv ci ritrovavamo ai margini di una guerra imminente, cioè quella tra la Conchiglia, un luogo-rifugio fondato da Michele e Fernando alla fine della seconda stagione, e l’Offshore determinato a metter fine alle rivolte del popolo.

3% – Stagione 4: La lotta di classe al suo culmine nell’ultima stagione della serie tv brasiliana

3% - Cinematographe.it

3% ha saputo costruire, attraverso le sue stagioni, un castello narrativo solido e imponente. Nonostante una terza stagione forse sottotono rispetto al solito, la stagione finale della serie tv brasiliana creata da Pedro Aguilera riesce a metter un punto ben fermo alla storia pur lasciando elementi volutamente velati e irrisolti. Se la prima stagione s’incentrava sul crudele Processo, le successive sono state in grado di approfondire un discorso più prettamente sociale e pseudopolitico. La lotta di classe, infatti, è certamente il punto focale di questo prodotto seriale Netflix. Una lotta che vede fronteggiarsi il popolo, con gruppi ribelli (la Causa prima fra tutte), da un lato e la ristretta elite che cerca in tutti i modi di mantenere il proprio status quo dall’altro, e la cui perfezione viene minata da scoperte che mettono in luce un difettoso castello di sabbia. Le vere intenzioni della serie, poi, si svelano soprattutto nelle stagioni successive alla prima e vede nella terza e quarta il suo apice.

Con la costruzione della Conchiglia guidata dalla leader Michele, infatti, si innesta un meccanismo narrativo capace di approfondire non solo le relazioni tra i personaggi, ma anche la singola storia dello stesso. Ognuno dei protagonisti di 3%, infatti, diventa specchio di una micro-società complessa e costantemente in contrasto. Ma non solo. Ogni singolo protagonista si mostra pian piano nella propria interezza psicologica e comportamentale attraverso una scrittura semplice, ma dal taglio efficace e diretto anche con l’uso di flashback. Tra i personaggi che più spiccano in tal senso ci sono i quattro veterani: Michele (Bianca Comparato), inizialmente membro della Causa infiltrata nel processo ed ora leader della Conchiglia, nemica dell’attuale Capo del Processo, ovvero suo fratello Andrè, con cui condivide un doloroso passato nell’Entroterra; Rafael (Rodolfo Valente), sempre in lotta interiore tra il giusto e il facile; Marco (Rafael Lozano), che ha rinnegato l’agiatezza e l’importanza storica della propria famiglia, gli Alvares, da generazioni abitanti dell’Offshore; e infine Joana (Vaneza Oliveira), vera punta di diamante della serie, guerriera caparbia che più di tutti ha dovuto lottare anzitutto con se stessa.

3% – Less is more: quando poche risorse vengono sviluppate nel miglior modo possibile

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Less is more è una massima entrata nel nostro linguaggio quotidiano. Significa letteralmente “Il meno è più” ed è stata coniata per la prima volta dall’architetto Ludwig Mies Van Der Rohe. Non è certo questa la sede per parlare d’architettura, eppure l’estetica semplice, ma ragionata dell’architetto tedesco, padre di capolavori come la Casa Farnsworth di Chicago e la Neue Nationalgalerie di Berlino, ben si conforma con gli ideali costruttivi di 3%. La scenografia di questa serie, infatti, è certamente uno dei suoi più grandi punti di forza e trova il suo culmine proprio in quest’ultima stagione. Ricco e povero trovano tangibile riscontro in architetture fortemente caratterizzate: l’Entroterra, che qui diventa teatro dell’ultimo scontro, viene rappresentato come la più grande e degradata città del mondo. Alti grattacieli disturbano il naturale percorso dei raggi del sole nelle strade, rottami abbandonati da anni popolano questa città nascosta nel deserto che pur pullula di miriadi di persone che, nel tempo, hanno quasi dimenticato i sogni di una vita migliore. Un eterno purgatorio in cui, un popolo rassegnato, è stanco di combattere per un illusorio paradiso.

L’Offshore, al contrario, è rappresentato come il vero eden terrestre: un’isola sperduta nel mare ed una comunità costruita tra verdi prati e laghetti e in cui sono incastonati edifici dalla grigia bellezza lineare del cemento. Architettura razionale moderna che si sposa con gli abiti futuristici e tecnologici di quel luogo tanto magico quanto freddo e apatico. Sono i costumi, di conseguenza, l’altro elemento determinante alla spettacolarità di 3%: i colori, i tessuti e le trame intrecciate sapientemente altro non fanno che enfatizzare il distacco sociale tra queste due fazioni in lotta e finalmente fronte a fronte nella resa dei conti finale.

3% – Stagione 4: Un degno finale che lascia alcune domande in sospeso

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La quarta stagione di 3% riesce a raccontare, con una certa coerenza rispetto alle stagioni precedenti, la fine del conflitto in maniera abbastanza convincente. L’operazione conclusiva iniziata nella terza stagione, termina qui con un cliffhanger di tutto rispetto pur con alcune note di demerito: il numero esiguo di puntate – sette per la stagione finale – hanno reso necessaria una narrazione poco più rapida del normale e forse, proprio questa volta, sarebbe stato significativo quantomeno aggiungere qualcosa in più. Il finale non lascia sorpresi, ci troviamo infatti di fronte a qualcosa di naturalmente sperato, tuttavia il fatto di voler lasciare alcune situazioni esplicitamente non svelate, lascia allo spettatore quel senso di incompiuto che lo porta a vagabondare con la mente: e questo non è un male. Preferiamo, in tal senso, non svelare nulla della trama degli ultimi episodi. Se in definitiva 3% non spicca per eccelsa originalità, va detto che però la serie si eleva meritatamente tra le migliori del catalogo Netflix. Cura nel dettaglio scenico e registico, personaggi carismatici e in costante evoluzione e una storia ricca di simbolismi capaci di rivolgere uno sguardo alla nostra contemporaneità – o al nostro possibile futuro – fanno di 3% una serie di tutto rispetto e meritevole di visione.

Regia - 4
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.6

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