Wanna: cinque motivi per vedere la serie Netflix

9 anni e 6 mesi è questa la pena che devono scontare Wanna Marchi e sua figlia, Stefania Nobile, per bancarotta fraudolenta, truffa aggravata e associazione per delinquere, e sono tornate di nuovo davanti alla telecamera per raccontare il loro viaggio; è questo ciò che narra Wanna, la docuserie scritta da Alessandro Garramone con Davide Bandiera, diretta da Nicola Prosatore e disponibile su Netflix dal 21 settembre 2022. La miniserie composta da 4 episodi racconta ascesa e caduta della più celebre televenditrice d’Italia, trasformatasi poi nella cattiva, abilissima e spietata truffatrice. Wanna è una triste e orrorifica parabola, tutta televisiva, che attraverso questo duo pernicioso, porta a galla anche l’Italia e gli italiani di ieri e di oggi.

Perché vedere Wanna, la serie TV disponibile su Netflix?

1. Per conoscere la nemica, un’affabulatrice spaventosa ma anche ammaliante

Stefania: “Noi eravamo una potenza ragazzi”

Wanna: “Tutti abbiamo bisogno di illusioni”

Wanna parla, ricorda, fa battute, guarda dritto in camera, si prende lo spettatore, lo fa suo e non lo lascia più andare. Si diventa di sua proprietà. C’è lei e non c’è spazio per nessun altro. C’è Wanna Marchi, i suoi capelli, una volta di un rosso acceso, ora di un bianco che non ne definisce il candore bensì la demoniaca ferocia che la fa essere simile alla terribile Medusa della Sirenetta. Proprio come la cattiva del mare anche lei irretisce, dà ma chiede anche molto indietro. Non si tratta di avere le gambe al posto della voce, ma di una vita felice e serena barattata con il danaro. Wanna consiglia fanghi per non avere più la cellulite, creme scioglipancia per cancellare l’adipe, nel frattempo insulta, bullizza, prende in giro persone che si sentono perse e sole, sguazza nelle pulsioni più deteriori della società. Bastano pochi soldi e tutto si risolve, ma non sono mai pochi soldi, lei, la divina, ne chiede sempre di più. Wanna è diversa dagli altri che accarezzano, adulano, consigliano con tenerezza, lei invece ferisce, affondando lame velenose in pieno petto, freddando con quel sopracciglio che si alza dimostrando tutto il suo disprezzo. Lei è Wanna Marchi e i comuni mortali non sono niente, sono vermi, poveri cristi di cui non ha compassione né stima. La protagonista sa, può parlare di tutto, del suo passato, del suo dolore, può mentire spudoratamente e tu la ascolti, non le credi, ma la ascolti; è una società dello spettacolo, è un circo e Marchi è la capa. Anche se sono passati 30 anni e il suo mondo (costruito dal nulla come dice chiaramente) è finito, l’incantesimo si attua comunque, ancora e ancora, e lo spettatore resta lì, ipnotizzato, in balia di lei, pronto a consegnarle qualunque cosa.

Avvocato di Wanna Marchi e Stefania Nobile: “lei era convinta di essere diventata così brava da poter vendere anche la fortuna, cioè il nulla”

Chi guarda sa che Wanna Marchi è diabolica, cattiva – addirittura l’ultimo episodio lo dice, chiaramente, nel titolo -, una persona che, colpevole, deve marcire in galera perché ha umiliato, minacciato, preso in giro persone disperate, che si sono affidate a lei e fidate di lei. Si è consapevoli del fatto che lei e sua figlia, Stefania, non sono assolutamente delle sante, delle povere vittime di un sistema, anzi sono loro che hanno usato chi si sono trovate di fronte: insultano, minacciano, vendono fortuna a chi non ce l’ha e augurano di morire, di non morire più e lanciano malocchio. Si è a conoscenza di quei 9 anni di carcere, ridotti poi a sette per buona condotta, ma il racconto è abbacinante come è abbacinante la sensazione di chi guarda tra le fiamme dell’inferno, sa di essere in pericolo eppure la fascinazione è troppo forte.

2. Perché Wanna mostra la parabola televisiva di un’imbonitrice ma anche la fotografia di un paese, tra televenditori, politici e faccendieri

“Aveva questa voglia di diventare lei, in assoluto, la numero uno”

“Sfondava lo schermo in quel modo lì”

Il risultato è un racconto ultra pop, potente e rapido, ma non per questo superficiale, un true crime che si fa anche gangster movie che colpisce. Emerge con forza la potenza dialettica della Marchi e un’Italia persa che ha bisogno di sante e false dee che sotto i vestiti e le maschere nascondono spire, tentacoli e volti animaleschi. Un’Italia ricca e potente, un paese che vende e compra nelle televendite, un paese che ha un volto godurioso ma anche grottesco. Nelle facce degli intervisti, nelle immagini emerge l’Italia degli ultimi quarant’anni, quella dagli anni Ottanta in poi, delle tv locali, delle televendite. Si tratta di un panorama assurdo, un circo in cui ciascuno ha il proprio ruolo, dove più i tormentoni, gli slogan attaccano e umiliano più arrivano dritti allo scopo: vendere. Lei diventa in quel paesaggio la più brava perché utilizza un altro linguaggio. La televendita diventa quasi un genere e ciascuno ha il suo marchio.

Dallo schermo fuoriescono anche l’italiana e l’italiano figure ben precise che aspirano ad un modello chiaro di femminilità e mascolinità in cui il fuori importa tantissimo: cosmetici, cotonature, macchine e rolex, l’essere belli e magri a tutti i costi hanno la meglio su tutto il resto. Marchi ha conosciuto, faccendieri, politici, uomini che contano: Marcello Dell’Utri, Silvio Berlusconi, Bettino Craxi. La storia di Wanna e Stefania si fa sempre più complessa, le infiltrazioni sono moltissime e entrano in scena Carabinieri, Guardia di Finanza, i nuovi set sono la procura e il Palazzo di Giustizia di Milano.

Eppure la televenditrice italiana più famosa di tutte continua a negare di essersi presa gioco dei più deboli, di aver fatto del male a chi non aveva strumenti per proteggersi. Una virago prima di delicatezza e compassione verso chi le ha chiesto aiuto, è orgogliosa di chi è, di ciò che ha costruito, convinta di essere talmente potente da avvicinarsi ad una divinità. Da sola non può lavorare, sceglie bene – o male, visto che alla fine le due Marchi/Nobile raccontano di rapporti rotti con persone che hanno voltato loro le spalle – i suoi collaboratori, ultimo, il mago Do Nascimento. La voce sgradevole di Wanna era capace di richiamare come il canto della sirena quei naviganti nel cui cuore vi era una forza gigantesca: la disperazione, questa era la compagna di lavoro di Wanna ma non la sua, lei disperata non lo era stata mai – quella invece di chi la seguiva e inseguiva.

3. Perché si scoprono nuovi elementi di una pagina molto triste del nostro paese

La serie è capace di mostrare anche i momenti e i ricordi più nascosti della vita delle due protagoniste. Si racconta come sia nata Wanna Marchi (nata Vanna) e questo serve per comprendere come sia diventata così cattiva questa antagonista (la povertà, la violenza). Moglie che ha dovuto rimboccarsi le maniche, donna maltrattata dal marito, creatrice di un brand velenoso, quello Wanna Marchi, di un impero, all’apparenza immortale, tutto questo c’è nella miniserie ed è proprio la truffa sviscerata, gli scandali e i processi. C’è anche spazio per raccontare come tutto è iniziato le aspirazioni e gli aneddoti che sono il cuore dell’opera: il primo lavoro come truccatrice di cadaveri, la 500 comprata con i primi soldi guadagnati. Fin da subito è chiaro, tutto si poggia sulla ex diva, come viene definita da uno degli intervistati alla fine della serie, una Gloria Swanson di Viale del Tramonto, tutto si sostanzia sulla credenza che non è lei ad avere sbagliato, ad essere caduta, ma è il mondo ad averlo fatto. In un mondo selvaggio, spietato e senza regole, lei non solo è sopravvissuta ma è diventata la migliore, sia a vendere ma soprattutto a truffare, e di questo lei non si vergogna, non si pente mai di niente, anche ora che è libera.

Lei non ha fatto niente, di questo ne è certa, non ha rimpianti, perché per lei “i coglioni vanno inculati, cazzo!” dicono ad un certo punto. Quelli di cui parla siamo tutti noi che siamo o siamo stati a bocca aperta e cervello spento di fronte alla tv.

4. Wanna Marchi e l’amore che la lega alla figlia: il punto su cui si regge tutto

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Wanna è gigantesca nel suo potere pericoloso, lo è nella scrittura del suo “personaggio”, lo è nel modo in cui si mostra, lei è tragica, come in un’opera greca o in una shakespeariana, nella sua forza di ruolo in una storia, peccato che lei abbia distrutto le vite di molte persone – spavalda dice che in Italia negli anni ’80 tutti hanno comprato lo scioglipancia -, abbia ridotto al lastrico chi doveva a lei tanto danaro. La sua vita è stata caratterizzata da polvere e ricchezze, da cadute e risurrezioni, e accanto alla donna c’è sempre una persona, Stefania. La figlia di Wanna è una sua compagna d’avventure, è colei che ha imparato ogni cosa dal carattere audace ed ostinato alla cattiveria mefistofelica, dall’ostinazione alla bramosia di avere sempre di più. Se Wanna possiede anche ciò che non esiste, solo con Stefania si dimostra a tratti tenera, addirittura piange per lei. Proprio l’amore che provano l’una per l’altra sostiene il loro lavoro e le loro truffe, regge le maschere e le finzioni di donne che mettono ciò che fanno davanti ad ogni cosa. Wanna costruisce Stefania a sua immagine e somiglianza, Stefania le è seduta accanto sempre, la idolatra, dorme nel suo letto.

5. Perché per andare avanti bisogna capire chi siamo stati e cosa abbiamo vissuto

In o dietro Wanna c’è una grande spinta da parte della protagonista che non vuole usare la miniserie per pulirsi la coscienza, per dirsi colpevole, vuole solo diventare nuovamente protagonista, riavere quell’occhio addosso – infatti entrambe sono state intervistate gratuitamente. I quattro episodi mostrano qualcosa di profondamente brutale e ingiusto, che prorompe e esonda sul piccolo schermo, durante la visione ci si sente arrabbiati, vinti, delusi, ma anche molto vicini alle persone raggirate. Ciò che prorompe ed esonda è anche, e forse bisognerebbe dire purtroppo, Wanna che è ancora la comunicatrice aggressiva e potente di un tempo, sa cosa dire, come dirlo, e quando. Ora sappiamo chi abbiamo di fronte, Wanna è una cantastorie, una maliarda, una televenditrice che si scrive nella testa ogni cosa, la sua è una narrazione indiavolata e folle e ancora si può rimanere vittime del suo gioco sporco e spietato. Questa serie è da vedere perché ben scritta e ben narrata, tesa e affascinante come un horror perché la protagonista è un mostro, come un true crime perché ogni cosa è misurata al minimo dettaglio. Spinge a capire che persone come lei esistono, che noi siamo stati quella “roba” lì, grotteschi e urlatori, odiatori e gradassi con i più deboli ma siamo anche quelli che cadono/potrebbero cadere vittime di amuleti e sali che non si sciolgono, insulti gratuiti che minano le nostre fragilità e numeri del lotto che potrebbero cambiare la nostra vita.

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