Fosse/Verdon: recensione della serie tv con Michelle Williams

Fosse/Verdon racconta i momenti cruciali della vita e della carriera di Bob Fosse e il suo rapporto con Gwen Verdon, compagnia di vita e di palcoscenico. La nostra recensione in anteprima.

Il biopic, si sa, può essere un’arma a doppio taglio. Decidere di realizzarne uno significa assumersi tutte le responsabilità annesse al compito di studiare, con dovizia di dettagli importanti, la vita di un’artista. Tra le responsabilità v’è quella di andare oltre le apparenze, del “dire di più”: cosa sappiamo già? Cosa si è già visto?

Andare oltre, provare a scavare nelle profondità dell’animo di una stella, addentrarsi nei meandri di un’esistenza di cui conosciamo ben poco. Fosse/Verdon segue le orme di chi ha già abbracciato, al cinema, questa tendenza, incastonandosi fermamente in un genere rinato recentemente su grande schermo grazie a opere di altissimo appeal commerciale, come dimostra lo stratosferico successo legato a Bohemian Rhapsody e l’imminente Rocket Man, entrambi focalizzati sulla vita di celebri pop-rockstar.

Fosse/Verdon: recensione della serie in anteprima Cinematographe.it

In fin dei conti, come affermato dal personaggio interpretato da un Sam Rockwell spaventosamente rassomigliante al reale Bob Fosse, la star di cui si narrano cruciali momenti e svolte di carriera si è ritrovata a fare cinema per puro caso, per fortuna o forse per destino, ma con lo sguardo (filmico e non) ancora rivolto alla danza, suo primo amore. Ed è grazie a questa che il nome di Bob Fosse risplende nel firmamento del cinema, colui che ha corrotto il musical col sesso beffardo e irriverente, con la “volgarità” e l’impertinenza dei suoi passi e dei suoi protagonisti burleschi e indimenticabili.

Fosse/Verdon: il biopic su un genio spesso sottostimato

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Fosse/Verdon, però, si spinge oltre la semplice e pura opera biografica. Come da prassi, la serie si pone senza dubbio l’obiettivo di ripercorrere le tappe fondamentali della travagliata vita di un uomo di grande talento, spesso sottostimato, e intuizioni, e riproporle a un pubblico il più vasto possibile. Principalmente, però, il problema sollevato dagli autori Thomas Kail e Steven Levenson, è quello relativo al mezzo ideale entro cui la storia deve prendere forma. La questione era già stata esposta da Fosse stesso con quel fulgido e “piccolo” capolavoro semi-autobiografico che era All That Jazz – Lo spettacolo comincia, e viene qui risolta seguendo l’esempio che il regista aveva proposto nel 1979. Insomma, dunque, come si rende sullo schermo l’intero apparato creativo di un genio che ragionava per immagini, per impressioni, più che per storie e intrecci? E come farlo senza ripetere, semplicemente, quanto già realizzato con il film degli anni ’70? La risposta viene da sé: Fosse/Verdon adotta una regia fatta di stacchi secchi, ellissi a non finire e slittamento di punti di vista, da quello dell’artista creatore a quello della musa (non meno creatrice, anzi) che era Gwen Verdon, ballerina di fiducia proveniente da Broadway nonché compagna di vita di Fosse, dal 1960 fino alla sua morte (avvenuta nel 1987).

Il rapporto con Gwen Verdon

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Gwen Verdon, apparsa anche in film di Stanley Donen, Woody Allen, Francis Ford Coppola e Ron Howard, è interpretata da una Michelle Williams che (nemmeno a dirlo) si spoglia completamente della sua personalità, qualunque essa sia, per far posto a quella di un personaggio a dire il vero non molto presente, fisicamente, nei primi due episodi, ma percepibile attraverso un’influenza piuttosto pronunciata e costante nella vita del protagonista maschile, sempre e interamente dipendente dalla parola, dalle idee e dal giudizio della moglie. In effetti è su quest’ultimo che l’episodio pilota e quello a seguire sembrano focalizzarsi maggiormente, ma la semina che è già stata gettata sul personaggio di Verdon è risonante e aspetta soltanto di essere approfondita negli episodi a seguire. Largo spazio, invece, alle millimetriche ricostruzioni dei momenti cinematografici di culto, fra cui spicca la performance di una novella Liza Minnelli (interpretata da Kelli Barrett) che volteggia attorno a una sedia mentre intona l’iconica Mein Herr.

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Fosse/Verdon è un prodotto di alta fattura, impreziosito da una regia vivace e fine, abile e fedele allo spirito del protagonista raccontato, e dalle prove attoriali di due attori in stato di grazia, perfettamente calati nei panni di protagonisti imperfetti ma viscerali, come il cinema di Bob Fosse. Non affidabili, non compatibili, come il regista e il suo Cabaret, secondo il suo produttore. Eppure, cosa sarebbe il cinema senza quel Cabaret?

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 3

3.5