Il controverso nuovo programma di Netflix sulle ultime parole famose
Il nuovo (e inquietante) format di Netflix che trasforma le ultime parole dei personaggi famosi in uno spettacolo
Netflix non smette mai di stupire. Stavolta, forse, ha davvero superato la soglia tra intrattenimento e inquietudine. La piattaforma ha infatti lanciato Famous Last Words, una serie di documentari dedicata alle ultime parole di grandi personalità del nostro tempo. Il primo episodio – Dr. Jane Goodall – è uscito appena due giorni dopo la morte dell’etologa britannica, scomparsa il 1° ottobre a 91 anni. Un tempismo tanto perfetto da risultare, diciamolo, sospetto.
Nel documentario, la celebre studiosa che ha dedicato la vita agli scimpanzé racconta se stessa con la serenità e la lucidità di chi sa di aver lasciato un segno nel mondo. “Dato che sono morta, non ci possono essere ripercussioni per ciò che dico”, afferma a un certo punto. Una frase che, inevitabilmente, gela lo spettatore.
Il format, adattato da un’idea danese, parte da una premessa affascinante, quasi poetica: regalare un’ultima conversazione al pubblico. Ma nella pratica, l’esperimento finisce per muoversi su un confine sottile, sottilissimo, tra il tributo e il sensazionalismo. Guardandolo, si alternano due sensazioni contrastanti: da un lato la tenerezza di un addio consapevole, dall’altro il disagio di sapere che questo addio era già pronto, registrato, archiviato… in attesa.
Il produttore esecutivo e conduttore Brad Falchuk (sì, quello di Glee e marito di Gwyneth Paltrow) ha spiegato al New York Times che lo show non è “transazionale”. Le interviste vengono realizzate con il consenso degli intervistati e nel rispetto assoluto della loro privacy. Piccola troupe, atmosfera intima, segretezza totale: nessuno, nemmeno lo staff Netflix, conosce i nomi degli intervistati fino alla pubblicazione dell’episodio, che avviene solo dopo la loro scomparsa. Un’idea, sulla carta, nobile e rispettosa. Eppure, non si può ignorare il retrogusto morboso. Come spettatori, sappiamo che mentre guardiamo l’episodio di Goodall ci sono altre interviste già registrate, già montate, in attesa della morte dei protagonisti. Falchuk ne ha confermate quattro, con almeno altre quattro in lavorazione.
L’intento dichiarato è quello di celebrare vite straordinarie. Ma la domanda resta sospesa: non sarebbe stato più bello (e più umano) pubblicarle prima, quando quelle voci erano ancora vive, e potevano rispondere, ridere, ribattere? Come recita l’incipit del programma: “Quando muore qualcuno di importante, tutto ciò che desideri è trascorrere ancora un po’ di tempo con lui.” Un pensiero toccante. Ma quando anche la nostalgia diventa contenuto “on demand”, forse un po’ di tempo per riflettere su cosa stiamo davvero guardando non guasterebbe.
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