Lazarus: recensione della serie thriller su Prime Video

Tra incoerenze e jumpscare eccessivi, Lazarus riesce comunque a portare a casa un'ottima performance.

La miniserie in sei episodi Lazarus, disponibile sulla piattaforma Prime Video a partire dal 22 Ottobre 2025, rappresenta a suo modo un esperimento ambizioso, che unisce il progetto dello scrittore americano Harlan Coben alla genialità dello sceneggiatore inglese Danny Brocklehurst. Se Coben, da un lato, tenta di spostare il suo marchio di thriller ad alta torsione fuori dallo steccato del giallo “puro”, innestando una venatura soprannaturale da ghost-story su un castello di delitti irrisolti, Brocklehurst dà vita a un’opera ipnotica per atmosfere e scelte attoriali (su tutti, Bill Night e Sam Claflin).

Il perno narrativo è Joel “Laz” Lazarus (Claflin), psicologo forense che rientra nella casa di famiglia dopo il suicidio del padre (Nighy) e si ritrova invischiato in una scia di omicidi irrisolti, col fantasma di una twin sister morta venticinque anni prima a gravargli sulla coscienza. È la tipica architettura cobeniana, dove un protagonista afflitto, a causa di alcune verità rimosse dalla memoria, riporta a galla alcuni segreti insospettabili persino agli occhi della comunità. Nel caso di Lazarus, però, Coben aggiunge un filtro: visioni, presenze, l’ambiguità di ciò che vediamo – espediente che sulla carta dovrebbe dare profondità emotiva e un certo respiro al whodunit ma che, sul piano pratico, risulta anche pieno di irregolarità-.

Nella serie il cast vende il mistero (ma senza renderlo credibile)

Lazarus: recensione della mini-serie thriller su Prime Video-Cinematographe

Nei primi episodi la formula funziona: la costruzione è cupa, elegante e la regia lavora per sottrazione, lasciando che i silenzi e lo sguardo perduto di Claflin mettano in luce man mano l’angoscia. Anche la sceneggiatura in realtà gioca bene con l’idea di un investigatore che dubita di sé stesso e con il tema – caro a Coben – del lutto come vettore di allucinazione. Il problema, però, inizia ad affiorare quando la serie imbocca la salita: il groviglio di twist si moltiplica, motivi e sospettati saltano fuori dalle fessure con una frequenza tale da rendere tutto troppo meccanico per riuscire a dare un senso, e compaiono a ripetizione vari momenti che spengono la tensione piuttosto che alimentarla.

Potremmo dire che il cast risulta efficace nel “vendere” il mistero (grazie alla classica formula della sospensione dell’incredulità), ma non abbastanza da ricrearne le atmosfere preannunciate. Claflin regge il quadro con un malessere fisico (mascella serrata, scatti d’ira, vulnerabilità esposta) che a volte sfiora l’eccesso, ma che alla fine aderisce bene all’idea di un uomo che non si fida dei propri sensi. Nighy fa Nighy: mezza piega del volto basta a evocare stati d’animo di rimorso e distacco, grazie alla sua presenza sottile che nobilita ogni scena. A dirla tutta, nonostante dei difetti strutturali di fondo, quando la sceneggiatura dà loro respiro, l’alchimia tra gli attori funziona (eccome se funziona) e sono questi momenti – non i twist – a restare impressi nello spettatore.

Valutazione e conclusione di Lazarus

Lazarus: recensione della mini-serie thriller su Prime Video-Cinematographe

Anche la struttura a sei episodi di Lazarus rilasciati in blocco può rappresentare sia un punto a favore che a sfavore: se da un lato aiuta perché consente la fruizione compulsiva tipica del prodotto Coben (il montaggio finale di ogni episodio è progettato per farti cliccare “avanti”), dall’altro danneggia perché impone una certa ripetitività che finisce per apparire forzata. Eppure, quando Lazarus lascia che il fantasma si apra a un ampio discorso sul tema del ricordo, su cosa in particolare scegliamo di ricordare e su cosa, invece, distorciamo per sopravvivere, la serie trova finalmente un centro emotivo importante. Solo a quel punto, Coben sembra davvero cercare un nuovo registro, arrivando a identificare il suo prodotto come un noir del rimosso che parla di espiazione di un dolore familiare e non più solo di colpevoli da smascherare.

Dal punto di vista tecnico, fotografia e suono di Lazarus costruiscono un’amosfera da bruma costiera che valorizza il contesto britannico, come ad esempio case che scricchiolano e un lungomare quasi totalmente spopolato. Consideriamo sempre che l’identità visiva di un prodotto di questo tipo è fondamentale e, non a caso, qui Lazarus risulta pienamente convincente (persino i momenti più “gotici” restano sobri). Alla fine, Lazarus non è altro che un enorme ibrido, grazie a Coben che si approccia, non con poche difficoltà, al mondo soprannaturale e ad attori di pregio che, tuttavia, non reggono in modo impeccabile l’equilibrio instabile della narrazione.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 2.5

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