Monster: La storia di Ed Gein – recensione della serie TV

Disturbante e commovente: Monster 3 ci regala il ritratto di uno dei serial killer più feroci del secolo

Regia - 0.4
Sceneggiatura - 0.4
Fotografia - 0.4
Recitazione - 0.5
Sonoro - 0.5
Emozione - 0.5

0.5

C’è qualcosa di profondamente irritante (e allo stesso tempo affascinante) in Monster: La storia di Ed Gein, la terza stagione dell’antologia Netflix portata sugli schermi da Ryan Murphy e Ian Brennan. Il fulcro di tutta la narrazione appare chiaro sin dai primi episodi, dove i creatori della serie hanno scelto di raccontare sì cronaca dei delitti, ma concentrandosi perlopiù sul vuoto tormentato che ha generato uno dei soggetti più inquietanti del mito del serial killer americano. La gestione di quel vuoto appare insostenibile e, a tratti, indecorosa -al punto che, almeno in fase iniziale, il personaggio di Gein resta sempre sul filo del rasoio, sospeso tra chi è e chi potrebbe diventare se solo la sua vita prendesse una piega diversa-. D’altronde, il nome di Gein non è di certo sconosciuto agli appassionati. Aleggia da sempre nell’horror popolare, influenzando Norman Bates, Leatherface, Buffalo Bill e altri. A Monster va riconosciuto il merito di riportarlo con assoluta fedeltà agli occhi dello spettatore (molti degli elementi “familiari” sono stati già sfruttati da decenni).

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Monster: La storia di Ed Gein – la zona grigia tra culto ed exploit

Monster, la storia di Ed Gein: recensione serie TV- Cinematographe.it

La vera domanda che ci si pone è quanto questa fedeltà narrativa riesca a uscire dalla sua zona di comfort per scuotere lo spettatore, facendolo quasi sentire “in pericolo” dietro uno schermo. Resta questa sfida costante, dato che la risposta non è mai pienamente soddisfacente: Monster 3 è profondo e torbido, dà quelle giuste vibrazioni che ci si aspetterebbe da un prodotto di questa portata, ma senza mai sfondare troppo la quarta parete, facendo davvero il salto di qualità. La serie, inoltre, è molto rispettosa dell’iconografia dell’orrore e al contempo troppo ansiosa di reinventarla, in una zona grigia sospesa tra culto ed exploit. Possiamo dire che anche la performance di Charlie Hunnam nei panni di Gein sia controversa, più inquietante per carisma che per crudeltà (non a caso Monster 3 mette un po’ troppo in risalto la valorizzazione della fisicità del suo personaggio rispetto all’immagine storica e alienata del vero killer).

Nel complesso di una narrazione sempre molto ambigua, ma inquietantissima, non si coglie mai fino in fondo se Ed Gein incarni più il fascino decennale del “mostro sensuale” o il senso di colpa per la macabra realtà che c’è dietro la sua psiche malata. Ora possiamo ammetterlo: questa stagione pare quella più affetta da sbalzi tonali (anche a dispetto del predecessore, Dahmer, dove era tutto meno d’impatto ma equilibrato). I momenti luminosi, in Gein, come i dialoghi sul dovere, sulla fede e sulla memoria, si alternano a visioni grottesche che fanno sprofondare il personaggio sempre più in abissi emotivi irraggiungibili -se non da lui stesso-. Restando sempre nel tema delle performance degli attori, Laurie Metcalf (che veste i panni della madre del killer) è, senza dubbio, uno dei punti forti di Monster: Ed Gein. Infatti, Augusta Gein è una figura chiave di stampo religioso, ossessiva, indelebile nel suo impatto sull’identità del figlio (come Norma Bates, madre del disturbatissimo Norman, in Bates Motel).

Monster: La storia di Ed Gein – valutazione e conclusione

Monster, la storia di Ed Gein: recensione serie TV- Cinematographe

Esistono sequenze potenti in cui Gein cerca, quasi romanticamente, il consenso materno. Arriva a confondere il bene che nutre per lei per un’ossessione, considerando anche che si tratta dell’unica, effettiva figura femminile con la quale avrà a che fare per la prima parte della sua vita. Quello della madre è probabilmente il capitolo più denso del ciclo Monster da questo punto di vista. Ma c’è da da dire che la serie non si limita al realismo crudo, tutt’altro. Nel tentativo di raccontare il mostro interiore inserisce elementi simbolici e quasi onirici, dove il confine tra sogno e visione si sfuma. Qui, il rischio è che questi passaggi diventino un po’ troppo kitsch: astratti rispetto all’orrore concreto che dovrebbe essere l’elemento centrale del racconto.

Una delle questioni più delicate affrontate da Monster sin dall’episodio su Dahmer è: dove comincia la finzione e dove finisce la persona? In Ed Gein questa tensione è amplificata, e proprio per questo c’è il rischio che la serie finisca per fare dell’uomo un archetipo narrativo. In ogni caso, le precedenti stagioni di Monster (Dahmer, Menendez) hanno decisamente alzato l’asticella del racconto true crime — e anche delle critiche (alcuni accusano il franchise di drammatizzare troppo le tragedie reali). Il risultato è stata la creazione di un mosaico cinematografico ambizioso in cui si respira magistralmente l’orrore delle brutalità commesse da Ed Gein.

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