La regina dell’autostima: recensione della serie TV
Un drama che porta tre geniali Robin Hood nel sud della Corea.
Nato come il remake coreano di una popolarissima serie giapponese del 2018 intitolata Confidence Man, La regina dell’autostima si presenta al pubblico come un drama che lega in maniera impeccabile lo spirito di squadra a una visione eccentrica della giustizia, valutata attraverso la lente della truffa. Con un numero di episodi pari a 13, di cui 2 disponibili ogni settimana il sabato e la domenica sulla piattaforma Prime Video, la serie vede alla regia Ki Hoon Nam e alla sceneggiatura Hong Seung-Hyun.
Park Min Young, invece, veste i panni di Yoon Yi Rang, una mente criminale così brillante da dimostrarsi la spalla perfetta del carismatico leader James (Park Hee Soon), nonché miglior punto di riferimento per il giovane Myung Gu Ho (Joo Jong Hyuk). A completare il quadro dei personaggi, il villain Jeon Tae Soo (Jung Woong In), la cui sola presenza basta a far salire la tensione alle stelle.
La regina dell’autostima: la criminalità che diventa genio e sregolatezza

Nonostante l’obiettivo finale del trio di truffatori sia quello di orchestrare il colpo della vita, alcune delle operazioni più complesse a cui finiamo per assistere sono proprio quelle di sottrarre i guadagni illeciti ad altri malfattori che orbitano soprattutto nei settori immobiliare e finanziario, il che finisce per configurarli più come dei Robin Hood moderni dalla tipica tempra coreana che come dei veri e propri criminali. Non si tratta della solita serie da binge-watching, ma di un magistrale compromesso televisivo tra commedia e thriller, capace di rievocare adrenalina e stravaganza.
La lettura del copione, inoltre, rappresenta perfettamente una lezione di gioco di squadra tra attori: dove Park Hee Soon incarna quel senso di profondità emotiva, James replica con un fascino stratificato e maturo, caricando ogni battuta di pura personalità. Anche Joo Jong Hyuk e Jung Woong In contribuiscono, con il primo che bilancia l’astuzia del gruppo grazie alla propria spontaneità e il secondo che dà vita a momenti di forti tensioni psicologiche. Ciò che colpisce, più di ogni altro dettaglio, è l’intesa tra gli attori, capaci di trasformare l’interpretazione delle battute di un copione in momenti di verità così intensi da coinvolgere il pubblico senza riserve.
Questo, in particolar modo, per merito del formidabile personaggio di Yoon Yi Rang, tanto comica quanto intimidatoria, ma sempre pronta a lanciarsi in sfide che le conferiscono uno spessore umano straordinariamente irresistibile. Se la sceneggiatura e il cast sono il cuore pulsante della serie, la musica ne è il battito persistente. Non a caso, le tracce che accompagnano la narrazione danno vita a una colonna sonora raffinata che non solo scandisce i momenti di tensione e complicità, ma ne amplifica il ritmo interno: risate appena trattenute, sospetti che si insinuano, strategie d’azione. Il mix tra la melodia e il silenzio nei momenti chiave funziona da contrappunto emotivo, elevando l’esperienza visiva e trasformando ogni scena in un piccolo equilibrio sonoro.
La regina dell’autostima: valutazione e conclusione

Questo drama imposta le sue regole su un terreno familiare, ma con un twist tutto coreano: la fusione tra umorismo tagliente e furto perfetto. Il tutto coniugato dallo stile registico di Ki-Hoon Nam, già noto per Destined with You, che si fa riconoscere per elementi come una prima scena immersa nel crepuscolare di una città sudcoreana, inquadrature che si rincorrono tra vicoli scintillanti e grandi edifici, illuminate da lucine al neon e atmosfere notturne che sanno di alta finanza corrotta — elementi visivi che amplificano il contrasto tra l’immagine e il contenuto morale dei truffatori, ossia rubare ai potenti.
Il ritmo non risulta forsennato, ma neanche lento. C’è un intreccio di fondo che si dipana con eleganza, come un piano ben congegnato che svela i pezzi uno alla volta. Persino Hong Seung-Hyun, preposto alla sceneggiatura, non tradisce le attese di chi dapprima conosceva Confidence Man, aggiungendo tuttavia l’imperativo della psicologia. Ogni dialogo, ogni gag non sono mai casuali: ogni movimento racconta qualcosa, o suggerisce un ritorno del passato della protagonista. In questi dettagli si intuisce già il cuore pulsante della serie, dove le atmosfere sottili non fungono da riempitivo, ma contribuiscono all’immortalità emotiva dei personaggi agli occhi dello spettatore.