Typewriter: recensione della serie TV indiana Netflix

Nel pittoresco quartiere di Bardez a Goa, in India, un famoso scrittore viene trovato morto nella sua casa. È un evento innaturale, anzi sovrannaturale: quali misteri ancestrali nasconde?

Che l’India sia uno dei mercati cinematografici più importanti al mondo – grazie a Bollywood – è un dato di fatto. Non può stupire dunque la qualità dei nuovi progetti seriali del grande Stato dell’Asia meridionale, che ormai spuntano quasi a cadenza fissa su Netflix. Ghoul, nel 2018, aveva dato il via alle danze, con una vicenda che mescolava realismo e deriva fantastico-orrorifica; lo stesso approccio di Typewriter, a grandi linee, che affonda a piene mani nella leggenda e nell’arcano pur restando saldamente ancorata alla quotidianità di un Paese proiettato nel futuro ma ancora inchiodato ad alcuni retaggi della tradizione.

Nei 5 episodi della sua prima stagione (on line su Netflix dal 19 luglio), Typewriter narra di un prolifico scrittore di storie di fantasmi, Madhav Matthews, che negli anni ’80 viene trovato morto nella sua dimora, Villa Bardez. La casa pare essere infestata, e ai giorni nostri un gruppo di quattro ragazzini tiene d’occhio la situazione, a caccia di manifestazioni paranormali. La situazione si complica quando la nipote del romanziere, Jenny, torna curiosamente a vivere proprio a Villa Bardez assieme alla sua famiglia, scatenando una serie di inquitanti incidenti.

Typewriter: il club dei fantasmi

Il topos classico della casa come luogo dello spavento, in mezzo alla tempesta, chiarisce fin dall’incipit le intenzioni di Typewriter e del suo creatore, Sujoy Ghosh: dare forma e contenuto ad un racconto solido privo di sbavature, senza particolari picchi di originalità ma che dimostri di essere all’altezza dei predecessori. Che la serie non punti particolarmente sulla novità appare evidente anche da alcuni evidenti rimandi, su tutti il club di giovani amici “indagatori dell’incubo” presi un po’ di peso dall’immaginario di Stranger Things che, usando come traccia il fantomatico libro Il fantasma di Sultanpore, affianca gli adulti nella risoluzione del mistero.

Sembra anche esserci un chiaro riferimento alla struttura e all’estetica di Dark: per unire al meglio tutti i fili si salta dalla nostra contemporaneità al 1983, per arrivare anche al 1950. Non si parla tanto di viaggi nel tempo ma di possessione e reincarnazione (che, a suo modo, è un viaggio nel tempo e nello spazio), elementi inaccettabili per la razionalità degli adulti, che dovranno tuttavia progressivamente ricredersi grazie al fondamentale supporto della combriccola ben assortita formata dalla sveglia Sam, dall’intelligente Banerjee e dall’astuto Gablu.

Typewriter: splatter, umorismo, familismo e gore

Se da un punto di vista produttivo Typewriter mette in campo una invidiabile professionalità (anche e forse soprattutto nella scelta del cast, su cui spiccano l’agente di polizia Purab Kohli e la protagonista Palomi Ghosh), l’intreccio di trame e sottotrame evidenzia alcune importanti lacune che non riducono la quota di mistero e inquietudine ma la rendono più sui generis e meno centrata: si ha paura perché è normale provare tensione di fronte a certi risvolti occulti ed enigmatici, non perché questi siano applicati a specifici personaggi rappresentati ai quali ci si appassiona.

Si accetta, in buona sostanza, che alcune spiegazioni siano piuttosto vaghe o scarsamente argomentate, dando per valide le lunghe spiegazioni che qua e là i caratteri in gioco si ritrovano a dare per facilitare il compito allo spettatore. Ma che l’intera struttura non sia da prendere eccessivamente sul serio viene in fondo sottolineato dalla stessa serie, quando fra un minaccioso doppelgänger, una macchina da scrivere indemoniata e uno stregone di nome Fakeer che sarebbe la causa di ogni male, ci si lascia andare a buffi e scompaginati alleggerimenti comici che ci riportano a quello che è, di fatto, il target designato: il pubblico dei pre-adolescenti, da conquistare con una curiosa commistione di umorismo e splatter, familismo e slanci gore che in qualche modo vuole strizzare l’occhio anche agli adulti che ricordano le avventure dell’infanzia.

Typewriter: verso la seconda stagione (?)

Typewriter è, dunque, un romanzo di formazione avvolto in un mistero soprannaturale. Ma questa ricerca, questo percorso verso la maturità vale non solo per i personaggi – grandi o piccoli che siano – ma anche per la serie stessa e per chi l’ha scritta (Suresh Nair e Sujoy Ghosh, quest’ultimo anche showrunner e famoso in patria per il thriller del 2012 Kahaani). Se il modello più o meno dichiarato è il sopraccitato Stranger Things, al termine dell’ultimo episodio occorre fare i conti con una risoluzione tutto sommato sbrigativa, ingenua e che perde via via fascino e anima.

Svariati enigmi restano irrisolti, così come certe false piste vengono abbandonate a loro stesse senza la minima ragione. Alcuni esempi: Peter, il marito di Jenny, resta invischiato in un torbido affare economico a causa della scaltra femme fatale Elli, che all’improvviso sparisce nel nulla; la giovane Sam crea il club dei fantasmi per poter incontrare in verità la propria madre defunta, ma questo apparentemente rilevante colpo di scena viene totalmente dimenticato nel prosieguo della vicenda. Siamo di fronte ad enormi buchi di script o a dei calcolatissimi cliffhanger in vista della seconda stagione, già annunciata da Netflix? Non possiamo fare altro che accettare, ancora una volta, il mistero.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.8

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