Reality Z: recensione della serie horror brasiliana di Netflix

La recensione del remake carioca della serie cult britannica Dead Set. Orde di zombie, sangue a volontà e frattaglie per una macelleria a buon mercato in salsa action-horror-comedy. Disponibile dal 10 giugno su Netflix.

Nei decenni lo zombie movie è diventato un vero e proprio sottogenere della famiglia allargata del fanta-horror, tanto che stilare un elenco preciso e dettagliato delle pellicole che ne fanno parte di diritto è quanto di più complicato possa esserci. Questo perché  lo abbiamo visto declinato in tutte le salse possibili e immaginabili, sottoposto a processi continui di ibridazione che ne ha modificato in maniera sostanziale il DNA rispetto a quello circoscritto da George Romero ai tempi del capostipite La notte dei morti viventi. Una contaminazione che ha portato il filone in questione ad allargare il proprio spettro di temi e stilemi, ma anche ad ampliare gli orizzonti produttivi alla serialità. Ed ecco che, alle varie latitudini, hanno iniziato a spuntare come funghi progetti destinati al piccolo schermo e alla rete.

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Tra quelli meritevoli d’attenzione c’è sicuramente Dead Set, la miniserie zombesca in salsa horror-comedy made in UK che nel 2008 fece breccia nei cuori di moltissimi addetti ai lavori – compreso il nostro – e appassionati del genere. Creata Charlie Brooker (l’autore di Black Mirror) e diretta da Yann Demange, la serie si sviluppava intorno a un plot semplice e al contempo geniale, che aveva come protagonisti gli ignari concorrenti del Big Brother inglese rimasti chiusi nella casa mentre fuori imperversava un’invasione di morti viventi causata da un’epidemia.

Reality Z: dal Big Brother britannico all’Olimpo carioca

Dodici anni dopo, Netflix ne ha ordinato un remake dal titolo Reality Z, con la speranza che questo riesca a replicare il clamoroso successo planetario della matrice. Un rifacimento che i vertici della piattaforma statunitense hanno affidato a Cláudio Torres, che l’ha co-diretto a quattro mani con Rodrigo Monte. La riscrittura ha seguito pressoché la ricetta originale, con qualche ingrediente in aggiunta inserito nello script per provare a cambiarne in parte il sapore. Non siamo più nel Regno Unito, bensì a Rio de Janeiro, con il Grande Fratello che nella versione carioca diventa l’Olimpo. Qui, a giocarsi la vittoria finale sono dei concorrenti vestiti da Dei, anch’essi ignari dell’apocalisse zombie scoppiata all’esterno della casa, diventata per l’occasione l’unico posto sicuro della città nel quale rifugiarsi per provare a sopravvivere.

Una riscrittura in chiave orrorifica dei classici meccanismi del reality che partorisce un crossover di generi

Reality Z cinematographe.it

Sinossi alla mano, si assiste – così come nella serie madre – a una riscrittura in chiave orrorifica dei classici meccanismi del reality (l’eliminazione, il confessionale), che partorisce a sua volta un vero e proprio crossover di generi, spalmato in una decina di episodi di una trentina di minuti cadauno anziché nei cinque di Dead Set. L’estensione della timeline ha di riflesso dilatato e aumentato il racconto, con la linea orizzontale che ha di fatto cancellato quella verticale. Non si tratta, infatti, di episodi auto-conclusivi, ma dei tasselli di un mosaico audiovisivo da consumarsi tutto d’un fiato. Ma fate attenzione perché ai deboli di stomaco il cocktail di frattaglie, cervello, arti mozzati e sangue, potrebbe risultare alquanto indigesto. Sicuramente i nostri occhi hanno visto molto di peggio in termini di crudezza e brutalità, ma il quantitativo di sangue e corpi smembrati è piuttosto generoso. Al contrario, ci saremmo preoccupati, gettando la spugna prima dell’epilogo. Invece, Reality Z si lascia guardare sino in fondo, con quell’abbondante dosaggio di splatter e azione che garantisce alla visione le giuste motivazioni.

La discontinuità della resa che traspare da capitolo a capitolo è il tallone d’Achille di Reality Z

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Purtroppo, quanto apparso sulla piattaforma lo scorso 10 giugno, non raggiunge le vette di Dead Set, decisamente più solido e compatto nella forma e nei contenuti rispetto a Reality Z, che ha nella discontinuità della resa, che traspare da capitolo a capitolo, il suo tallone d’Achille. In tal senso, i cultori della materia, così come gli estimatori della serie originale, non saranno soddisfatti a pieno dello “show” offerto da Torres e Monte. La confezione, la regia e il contributo alla causa dei numerosi interpreti che si avvicendano sullo schermo (dove spiccano Pierre Baitelli nei panni del poliziotto cocainomane Robson, Ana Hartmann nei panni dell’assistente di produzione Nina e Luellem de Castro in quelli di una reporter d’inchiesta) sono meritevoli d’attenzioni, ma il sali e scendi al quale si assiste nel corso degli episodi ne mette in evidenza i pregi di una parte, mostrando le mancanze dei restanti.

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Al netto dei dieci complessivi, infatti, all’interno dei singoli capitoli rimangono impresse nella retina sola una manciata di scene davvero riuscite, il più delle volte legate alla componente action che regala al pubblico qualche scarica di adrenalina: da quella immancabile del supermercato, dove alcuni sopravvissuti si recano per fare rifornimento di cibo e medicinali (ep. 3 Grocery Store), alla pirotecnica fuga dalla camionetta della polizia per raggiungere il tunnel sotterraneo d’ingresso alla casa (ep. 6 Wild Thing), passando per il tutti contro tutti a colpi di fucile e accetta per liberare il cortile dall’orda di zombie (ep. 8 The Future). Qui lo spettacolo è garantito e reso avvincente e ben ritmato dall’uso dello split-screen.

Reality Z: uno splatterone che in modalità randomonica passa dal classico home invasion al game show mortale

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Questo, per sottolineare come in Dead Set a fare la differenza è stato il tutto e il modo in cui gli autori sono riusciti a tenerlo insieme. Il randomico cambio di modus operandi che caratterizza l’architettura del racconto del remake brasiliano, invece, finisce con il depotenzializzare quanto di buono c’è. La scelta di rimbalzare dall’home invasion all’azione in esterno e al game show mortale non sortisce alla lunga gli esiti sperati. Ciò che resta è uno splatterone che cambia pelle, che tra una mutazione e l’altra ha la pretesa di consegnarci un importante messaggio: la vera minaccia per l’uomo è l’uomo stesso. Una messaggio, questo, che abbiamo fatto nostro già dalla notte dei tempi e che di certo non aspettavamo di vederci recapitare ancora una volta da una serie come questa.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2.5
Sonoro - 3
Emozione - 1

2.3

Tags: Netflix