It’s Okay to Not Be Okay: recensione della serie sud-coreana di Netflix

La guarigione interiore e la rinascita sono al centro della nuova serie coreana in sedici episodi It's Okay to Not Be Okay: non una semplice storia d'amore, ma un dramma che fa luce sul mondo della salute mentale, sulle dinamiche familiari e sulla ricerca di una felicità che tutti - nessuno escluso - possono perseguire.

It’s Okay to Not Be Okay è la nuova serie sud-coreana del regista Park Shin-woo disponibile su Netflix dallo scorso 16 agosto in sedici episodi della durata di circa 70 minuti ciascuno. Un’opera intensa, emozionante, per certi versi anche ricca di nodi da districare – come quelli interiori che legano i protagonisti a un passato “tenebroso” a cui cercano di voltare le spalle.

La trama di It’s Okay to Not Be Okay

Moon Gang-tae (Kim Soo-hyun) è un giovane infermiere impiegato in un ospedale psichiatrico di Seul: orfano da quando era piccolo, Gang-tae si prende cura del fratello maggiore Sang-tae (Oh Jung-se) che è affetto da autismo. I due hanno uno stile di vita peculiare, infatti ogni primavera cambiano città, contesto e relazioni sociali a causa di un trauma che da anni perseguita Sang-tae: dopo aver assistito all’omicidio della madre, Sang-tae del tragico evento ricorda solo di aver visto una farfalla ed è ossessionato dalla paura che questa torni ad uccidere lui e il fratello. Per una serie di circostanze che presto si rivelano frutto del destino, Gang-tae incontra l’affascinante e controversa scrittrice di fiabe per bambini Ko Moon-young (Seo Ye-ji), della quale Sang-tae è un grande fan. Tra i due nasce subito un’intesa morbosa ma tormentata. Gang-tae e Moon-young scoprono presto di essersi incontrati già da bambini, quando lei salvò Gang-tae dall’annegare in un lago ghiacciato. Una volta fatto ritorno alla loro città natale, i due si troveranno a dover fare i conti con il loro passato e i suoi enigmi: per Moon-young è il fantasma della madre che non le dà tregua, per Gang-tae il nodo che non viene al pettine è il suo senso di colpa verso il fratello e l’obbligo che sente nei suoi confronti. I loro sentimenti, tuttavia, riusciranno a far sì che i due trovino sostegno l’uno nell’altra e li condurranno verso un percorso di guarigione interiore che non avrebbero potuto percorrere altrimenti.

Alla ricerca delle facce perdute: un cammino di rinascita

“Alla ricerca delle facce perdute”: si intitola così l’ultimo episodio del k-drama diretto da Park Shin-woo e sceneggiato da Jo Yong, una serie monumentale per la lunghezza del girato – gli episodi avrebbero sicuramente reso ugualmente se fossero stati alleggeriti nella loro durata. Perdute lo sono di certo le facce dei due protagonisti, Gang-tae e Moon-young: due persone infelici che solo dopo aver vissuto un rapporto dinamico e complesso, con un conflitto difficile da attraversare, sono riuscite a trovare il modo di sostenersi vicendevolmente.

It's okay not to be okay Cinematographe.it Gang-tae e Moon-young

Kim Soo-hyun si rivela perfetto per il ruolo del giovane ed emotivamente represso Gang-tae e con la sua recitazione riesce a dare il giusto spessore a questo personaggio così difficile da capire, tanto quanto quello sopra le righe di Moon-young. Gang-tae è all’apparenza un ragazzo semplice e generoso, che dedica da sempre la sua intera vita a prendersi cura del fratello autistico ma in realtà dietro la lunga sfilza di sorrisi finti che riserva a chi lo circonda si nasconde una personalità molto fragile, che ha sempre sofferto di una mancanza di attenzioni e di premure materne e che si sente in un certo qual modo schiava del “senso del dovere”. Gang-tae, infatti, pur amando profondamente il fratello sente che la condizione di salute di Sang-tae non gli permetterà mai di trovare la sua strada e di essere felice, perché in realtà è egli stesso dipendente da questo rapporto e non riesce a viverlo senza esserne perennemente frustrato e in preda ad ansie e preoccupazioni. Per questo motivo, Gang-tae non fa altro che mettere una “cintura di sicurezza” – come la definisce Moon-young – alla sua vita e al suo carattere e cerca in tutti i modi di reprimere i suoi desideri, i suoi sentimenti e le sue pulsioni per far sì che nulla possa allontanarlo dall’occuparsi del fratello Sang-tae.

It's okay not to be okay Cinematographe.it Gang-tae

Moon-young è l’opposto: una donna famosa, prepotentemente bella ma eterea, egocentrica, a tratti sadica. Moon-young soffre di un disturbo di personalità antisociale che agli occhi della maggior parte delle persone che vi hanno a che fare appare come una radicata misantropia. In realtà il tallone d’Achille di Moon-young è la figura della madre che ha sempre cercato di possederla e di convincerla di non essere migliore di lei, anzi di somigliarle in tutto e per tutto – un punto di certo non a favore di Moon-young… Seo Ye-ji svolge un lavoro impeccabile sul personaggio e riesce a dare a Moon-young un’intensità sorprendente e un calore straniante anche negli sguardi più glaciali: inquietante e magnetica, Seo Ye-ji crea e plasma una Moon-young dalla quale davvero non si riesce a distogliere lo sguardo per più di un istante.

It's okay not to be okay Cinematographe.it

Due anime infrante, dunque, quelle di Gang-tae e Moon-young i cui meccanismi rotti del cuore tentano di rimettersi in moto appoggiandosi reciprocamente nella loro debolezza: per tutta la serie, la loro sarà una lenta ma costante evoluzione che li porterà a compiere un lavoro su se stessi su cui nessuno avrebbe potuto scommettere.

Non solo romance: il mondo della salute mentale e la bellezza della diversità

It’s Okay to Not Be Okay non è solo una serie incentrata su una tormentata – e per questo ancor più passionale – storia d’amore tra due figure ai margini della normalità: il dramma coreano di Park Shin-woo fa luce su quel mondo dove spesso anzi le luci le si vuole tenere spente, quello della salute mentale. La maggior parte della serie ruota attorno all’ospedale psichiatrico dove lavora Gang-tae – la clinica OK – e segue il personaggio di Sang-tae, affetto da autismo. Questa serie ci parla chiaramente dei problemi della depressione, di disturbi psichiatrici e di personalità che alla società bastano a etichettare chi ne è affetto come diverso. Eppure, Gang-tae non fa altro che ricordare e imprimere nel pensiero di Sang-tae che essere diversi non è un male: è okay – da qui il gioco di parole del titolo della serie stessa, “it’s okay not to be okay” che letteralmente significa “va bene non essere a posto”. Una scelta audace quella di far luce su questi personaggi, soprattutto in una società – quella asiatica – dove la ricerca della perfezione spesso è un’ossessione e si rivela anzi la parte più controversa di una cultura che fino a pochi anni fa faceva ancora fatica ad accettare la diversità e la disabilità come qualcosa con cui si può non solo convivere, ma anche perseguire la felicità.

It's okay not to be okay Cinematographe.it Sang-tae

Grandiosa ed emozionante è l’interpretazione di Oh Jung-se nel ruolo di Sang-tae: una parte sicuramente di non facile recitazione, che l’attore ha fatto sua regalando al personaggio sfumature e intensità difficili da dimenticare.

Tinte burtoniane e mistero: un mix di generi per Park Shin-woo

Strizza l’occhio a Tim Burton la produzione di It’s Okay to Not Be Okay, sotto vari aspetti: a una fotografia dai toni pastello – tipica dei k-drama – si accompagnano atmosfere cupe e inquietanti come quelle che caratterizzano soprattutto la seconda parte della serie. Accanto al romance si tesse una parallela narrazione che svolta nell’horror – come i momenti in cui Moon-young sembra vedere lo spettro della madre con i suoi lunghi capelli neri – e nel thriller. Elementi, questi, che contribuiscono a dare un certo dinamismo alla serie – che già per l’eccessiva lunghezza rischiava invece di risultare monotematica – e che danno al dramma coreano per antonomasia una rinfrescata per nulla spiacevole.

Burtoniani poi sono anche i costumi di Moon-young, uno più bello e sorprendente dell’altro: una gothic lolita dall’incarnato diafano, che ama sfoggiare vistosi cappelli e ampie gonne degne di una fiaba dark del regista di Burbank.

It's okay not to be okay Cinematographe.it Moon-young

La regia di Park Shin-woo si fa notare, ma cade inevitabilmente più volte nei cliché narrativi del k-drama – come accade nelle lunghe pause puramente visive che però hanno almeno il pregio di soffermarsi su una scenografia ben curata e gradevole – come quella decisamente dark e un po’ eccessiva della casa natale di Moon-young, simile a un castello stregato.

Con l’uso di tecniche miste – come lo stop motion e l’animazione – Park Shin-woo ci fa tuffare nella stravaganza della sua storia e ci conduce – lentamente – a comprendere che anche i brutti ricordi sono parte integrante della nostra maturità e solo superarli, non dimenticarli, può lasciarci essere felici.

It’s Okay to Not Be Okay è disponibile su Netflix dal 16 agosto.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 3

2.8

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