Il business degli stupefacenti: recensione della docuserie Netflix

Netflix firma la produzione in sei episodi di una docuserie incentrata sul mondo delle droghe e del loro giro d'affari. Il business degli stupefacenti è disponibile sulla piattaforma dallo scorso 14 luglio e ci racconta - con lo sguardo e la voce di un'ex analista della CIA - cos'è che muove il commercio illecito di droghe nel mondo.

Prodotta da Netflix, la docuserie in sei episodi Il business degli stupefacenti ha fatto il suo debutto sulla piattaforma lo scorso 14 luglio. Si tratta di sei episodi della durata di circa 45 minuti l’uno, in ciascuno dei quali Amaryllis Fox – ex analista della CIA che ha lavorato per anni sul tema della lotta al terrorismo e alle droghe – ci racconta nello specifico il business che ruota attorno a una determinata sostanza stupefacente, soffermandosi più sulle implicazioni economiche e politiche vere e proprie che sugli effetti – certo devastanti – che le droghe hanno sulla salute di chi ne fa uso, dando una piega particolarmente interessante alla docuserie.

Il focus dei sei episodi: dalla cocaina agli oppioidi

Il business degli stupefacenti - Cinematographe.it

Il primo episodio de Il business degli stupefacenti ruota attorno alla produzione e al commercio illegale della cocaina nella sua “madrepatria”, la Colombia. Amaryllis Fox intervista alcuni coltivatori di cocaina e mostra come questa viene prodotta a partire dalla coltivazione della pianta, dalla lavorazione nei laboratori fino alla tratta che la conduce fuori dal Paese verso il Messico e poi negli Stati Uniti.

Il secondo episodio esplora il mondo delle droghe sintetiche come l’MDMA – creato dal chimico Alexander Shulgin e si concentra sul suo mancato uso a livello farmaceutico per essere stato prematuramente inserito nella lista delle droghe illegali dopo aver spopolato a uso ricreativo con il nome di ecstasy.

Il terzo episodio apre una finestra sul continente africano e in particolare sulla produzione  e sul commercio di eroina in Kenya. Inizialmente, questa viene prodotta grazie alle massive coltivazioni di papavero presenti soprattutto nell’Asia centrale – specialmente in Afghanistan – ma poi è in Africa che l’eroina “prende la sua strada”, portando profitto a chi ne fa un business e degrado a chi la consuma.

Nel quarto episodio della docuserie Il business degli stupefacenti Amaryllis Fox ci racconta il complesso scenario geopolitico del Sud-Est Asiatico e che ruolo abbia nel dilagare della metanfetamina, soffermandosi sui Paesi del Myanmar e della Thailandia.

Il quinto episodio ci porta negli States, dove negli ultimi anni la marijuana è stata resa legale a livello federale. Amaryllis Fox ci racconta del business della droga più usata al mondo – l’erba – nello stato della California e di quanto sia difficile venderla legalmente, con tutte le contraddizioni di una legge ancora imperfetta e i costi esosi che rendono impossibile l’accesso al commercio legale per le imprese più piccole.

Il sesto episodio torna ancora una volta sui derivati dell’oppio, come l’eroina, e ci parla più generalmente degli oppiodi. Si torna ancora una volta negli USA dove Amaryllis intervista alcuni membri di una comunità in Pennsylvania e fa luce sul fenomeno della prescrizione di massa di oppioidi come antidolorifici e sulle conseguenze devastanti di tossicodipendenza che tuttora hanno su ex pazienti approdati poi all’eroina.

Il business degli stupefacenti e il volto umano della droga

Quello che più colpisce di questa docuserie Netflix ben realizzata ma al tempo stesso perfettamente aderente agli standard documentaristici degli ultimi anni, è soprattutto la parte, di un tema così vasto come la dipendenza da droghe, su cui Il business degli stupefacenti si sofferma: la docuserie, infatti, si focalizza realmente – come suggerisce il titolo stesso – sul business vero e proprio della droga e su come questo si incastri con la politica dei Paesi coinvolti. La docuserie Netflix quindi trascura l’approfondire le dipendenze e gli effetti che le droghe hanno sulla salute di chi ne fa uso e di come possano condurre alla morte – sebbene in alcune sequenze venga mostrato in che modo le molecole degli stupefacenti reagiscano con i recettori del sistema cerebrale umano, ma le luci che accende su questa vera e propria “catena di montaggio” illecita sono realmente interessanti. Amaryllis Fox ha una presenza carismatica e si rivela perfetta per intervistare e mediare con persone a cui è stato promesso di mantenere l’anonimato totale oscurandone il volto e alterandone la voce, perché durante i sei episodi entra in contatto anche con spacciatori e con figure che compongono questa rete criminale che sembra impossibile da sradicare.

Il business degli stupefacenti fa apparire chiaro come tutto ciò che muova il commercio di droga non sia altro che il denaro e nel farlo ne mostra il volto “umano”: già dal primo episodio, quando la Fox si addentra nella foresta colombiana fino a parlare con i coltivatori di cocaina, ci si rende conto che dietro il business della droga – o usando la metafora della piramide, “alla base” del business – ci sono persone che nella vita non hanno alcuna altra opportunità di sopravvivenza. Grazie a un’attenta analisi dei numeri e dei dati coinvolti, la docuserie ci mostra che il guadagno che tutte le figure coinvolte nel traffico illecito ottengono è di gran lunga superiore a quello che otterrebbero in un mese coltivando – per esempio – caffè. Certo è che ci si rende anche conto di come il business della droga non sia fatto esclusivamente di ricconi con ville stratosferiche e bracciali d’oro – i narcos dei cartelli a cui il mondo fittizio delle serie tv ci ha abituati – ma soprattutto di persone che ne ricevono un ben più misero guadagno.

Il business degli stupefacenti - Cinematographe.it

Il prezzo delle droghe, infatti, così come il guadagno delle figure che vi ruotano attorno aumenta via via che questa giunge a destinazione sul mercato e quindi per trarne maggiore profitto occorre svolgere i ruoli più pericolosi e incriminanti – come il trasporto di eroina in ovuli. Il primo episodio spiega molto bene come la produzione di cocaina sia una vera e propria industria regolamentata da leggi di mercato “logiche”: Amaryllis Fox ci mostra che le scelte economiche delle persone che entrano nel giro sono del tutto razionali e sono le sole possibili in un sistema che non dà altre alternative a popoli che versano in condizioni estreme di povertà e conclude che probabilmente sono le stesse scelte che ognuno di noi prenderebbe per portare del cibo in tavola se fosse nelle loro stesse condizioni.

Le riprese de Il business degli stupefacenti sono durate un anno intero perché la troupe – oltre a intervistare medici ed esperti in materia – ha anche affrontato situazioni di pericolo seguendo le tracce della storia fino alle piantagioni colombiane, ai sobborghi di Nairobi e Mombasa e persino lungo la sanguinosa rotta dei cartelli messicani nel viaggio che la cocaina compie per attraversare la frontiera a El Paso, in Texas. Con una regia fluida e immediata, nonostante le eventuali inconvenienze che la troupe ha potuto trovare nel suo percorso di produzione, la docuserie si racconta attraverso immagini particolarmente belle dal punto di vista estetico soprattutto per la fotografia vivace e calda che non si ostina a rendere cupe le immagini per via del contesto, ma che ci mostra anche la bellezza dei territori attraversati e della natura di luoghi incredibili come il Myanmar e la Thailandia.

A proposito del Sud-Est asiatico, di cui si parla nel terzo episodio della docuserie, è davvero interessante come Amaryllis Fox metta in discussione tutto ciò in cui ha creduto fino ad allora nel momento in cui intervista alcune milizie di ribelli e fa luce sul rapporto ambiguo che queste hanno nel business della droga: in quei Paesi la situazione politica si intreccia quanto mai con l’illegalità e ciò che ne viene fuori è un chiaroscuro in cui non ci sono buoni o cattivi, in cui ognuno ha il suo peso nelle azioni e nelle conseguenze. L’interrogatorio finale della Fox è proprio questo: è possibile vincere questa lotta alla droga, che sta portando a spendere milioni e milioni di dollari, con il proibizionismo? Oppure questo è un retaggio ormai destinato a fare spazio alla legalizzazione vera e propria, andando contro a certe morali forse anche ipocrite e cercando di tirare fuori dal degrado tutte quelle persone che vi sono indissolubilmente dipendenti economicamente? Certo è che il tema del business degli stupefacenti nel mondo è inscindibile dall’indagine sul benessere di un determinato Paese e dalle mosse che la politica può operare in tal senso. Forse a questo proposito ci si sarebbe aspettati che la docuserie si soffermasse sul fenomeno della dura guerra alla droga del presidente delle Filippine – Rodrigo Duterte, detto anche “il giustiziere” – e sulle migliaia di uccisioni extra giudiziarie da parte della polizia filippina che vanno avanti dalla sua elezione, ma purtroppo alla troupe non è stato reso possibile approfondire le indagini sul Paese.

Il business degli stupefacenti è disponibile in streaming su Netflix dal 14 luglio.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.3

Tags: Netflix