Ethos: recensione della serie TV turca disponibile su Netflix

Tra i molti prodotti turchi acquistati da Netflix per il suo catalogo spicca la serie Ethos, dramma complesso per struttura e tematiche disponibile dal 12 novembre 2020

Dramma seriale in otto episodi di poco meno di un’ora, Ethos – il titolo originale turco, tradotto, suona più come “È qualcos’altro” – segue le vite intrecciate di alcuni personaggi dell’Istanbul contemporanea, allestendo il ritratto composito di un paese, la Turchia, tanto diviso al suo interno quanto febbrilmente vitale, in stato di perpetua effervescenza.

Il racconto è corale, ma il magnete relazionale è rappresentato da Meryem, il personaggio potente e interpretato con strabiliante sensibilità dall’attrice trentenne Öykü Karayel di una giovane domestica proveniente da una famiglia campagnola e conservatrice, educata al rispetto maniacale dell’autorità dell’hodja (a metà tra il maestro e il saggio dispensatore di consigli ispirati da Allah), affetta da un disturbo psicosomatico di matrice isterica che la porta a svenire a seguito di detonazioni individuabili ma non facilmente decodificabili: il corpo manifesta ciò che la parola non riesce a dire, caricandosi di un’energia spaventosa e debordante incompresa dal soggetto, sconosciuta alla sua coscienza sofferente per il sintomo. 

Ethos: al centro del racconto, Meryem e Peri, paziente isterica e psichiatra allo specchio

La psichiatra Peri, interpretata da Defne Kayalar

Il suo rapporto con la psichiatra Peri, una donna elegante, sofisticata, educata benissimo, con studi americani e una ricchissima famiglia della vecchia borghesia turca alle spalle, è contrassegnato dalla reciproca fascinazione, ma anche da un controtransfert ambivalente: la dottoressa non riesce a superare il sentimento di superiorità nei confronti di quella candida ma petulante contadinella che le si presenta in studio con omaggi gastronomici homemade, non riuscendosi, così, a farsi carico, per pregiudizio classista, ma anche stanchezza emotiva, aridità, desideri compressi, della disperata richiesta di lei di avere attenzione, amore, considerazione.

Attorno alla coppia terapeutica gravitano Gülbin, l’analista di Peri insofferente nei confronti della sua collega-paziente e in aperta ostilità con l’aggressiva sorella per la gestione di un fratello gravemente disabile; Sinan, il playboy che dà lavoro a Meryem e ha una relazione con Gülbin; Melisa, l’attrice di una celebre soap opera compagna di yoga di Peri e amante di Sinan; il fratello e la cognata di Meryem, una donna gravemente depressa; l’hodja e sua figlia; e altri personaggi ancora. 

Ethos è una serie tv appassionante ma sfilacciata da un eccesso di coralità

Meryem, la protagonista interpretata da Öykü Karayel, a colloquio con il suo hodja

Come in un grande romanzo naturalista ciascuno di loro è figlio del suo ambiente, del suo milieu: Ethos ha il grande pregio di rappresentare la Turchia come un mosaico di estrazioni sociali in cui non necessariamente chi è laico è più illuminato di chi, invece, è prono a seguire pedissequamente l’insegnamento religioso. Tuttavia, questa identificazione tra personaggio e ambiente, pur priva di caratteri deterministici e, in fondo, sufficientemente sfumata, fa delle tranches de vie portate in scena dei capitoli di un saggio sociologo in cui ciascun personaggio incarna, oltre e più che se stesso, il segmento corrispondente alla propria collocazione all’interno della società.

Questa operazione permette di guidare chi guarda verso una comprensione più ampia della Turchia, ma, tipizzando i personaggi, finisce per attribuire loro tratti di rigidità, di eccessivo didascalismo. La coralità sfilaccia, inoltre, la tensione: il dramma sarebbe risultato più teso se si fosse concentrato, senza digressioni, sul solo rapporto tra Meryem e Peri, sul solo segreto che valga la pena sciogliere: quello del sintomo della ragazza e della sua metafora.

Ma Ethos non rinuncia né alle sue ambizioni saggistiche né alla sua struttura centrifuga e, se da una parte è un eccellente prodotto, curato visivamente e di pregevole scrittura, dall’altra non riesce a trasformare l’affascinante spunto regionalistico in discorso universale, in interrogazione non solo delle contraddizioni d’ambiente, ma anche delle contraddizioni delle anime che quell’ambiente lo abitano. O, meglio: ci riesce solo con Meryem e Peri, e tutti gli altri personaggi sbiadiscono un po’, attraversati solo di riflesso dalla dialettica tra le due donne che pulsa al cuore della scena. 

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.3

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