Così parlò Rohan Kishibe: recensione dell’anime spin-off di JoJo

La recensione di Così parlò Rohan Kishibe, lo spassoso spin-off di Le bizzarre avventure di JoJo disponibile su Netflix dal 18 febbraio.

Arriva su Netflix Così parlò Rohan Kishibe, l’anime ispirato al manga spin-off dell’ormai iconico Le bizzarre avventure di JoJo di Hirohiko Araki. La serie, composta da quattro puntate, è stata diretta da Toshiyuki Kato in collaborazione con il character design Shunichi Ishimoto per lo studio David Production. Il mondo di Araki prende qui forma in piccole storie antologiche dal fascino surreale e pittoresco, come nella serie madre, aprendosi però ad una narrazione horror davvero coinvolgente.

Così parlò Rohan Kishibe: da una costola di Le bizzarre avventure di JoJo

Così parlò Rohan Kishibe cinematographe.it

Rohan Kishibe è un famoso mangaka, nonché alter ego dello stesso Araki. Personalità eccentrica e narcisa, si butta a capofitto nelle avventure più disparate pur di ottenere l’ispirazione giusta per le sue storie. I soldi e le persone non destano il suo interesse, salvo alcuni rari casi, ma se la causa è giusta il fuoco dell’onore lo porta a combattere con tutto sé stesso. Il suo stand (potere) è lo Heaven’s Door, che gli consente di sfogliare come un libro le sue vittime, e volendo anche modificarne ricordi e atteggiamenti.

Kishibe fa la sua prima apparizione in Diamond Is Unbreakable, terza stagione (quarta per il manga) di Le bizzarre avventure di JoJo. Qui faceva la conoscenza di Josuke Higashikata, che lo costrinse ad una lunga degenza in ospedale per aver manipolato Koichi Hirose. In Così parlò Rohan Kishibe, troviamo il protagonista alle prese con un crollo finanziario dovuto all’infruttuoso acquisto di una montagna e alla continua ricerca di nuove storie. In ogni episodio Kishibe racconta una sua avventura a dei possibili editori, ed ognuna di esse ha diversi risvolti e non sempre dei più eclatanti.

Un personaggio borderline ai confini dell’impossibile; un non-eroe

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Ciò che salta subito all’occhio è la costruzione del personaggio, un non-eroe. Perché tale definizione? Scopriamolo subito. Kishibe non rientra nelle categorie standard, dove abbiamo l’eroe, la sua nemesi o il nemico di turno, e infine l’anti-eroe. Quest’ultimo è un cavaliere grigio, a metà tra il bene e il male, contraddistinto appunto per un’ambiguità morale. L’eroe, invece, è un risolutore, porta a compimento una missione nel nome del bene. Il nostro protagonista è mosso soltanto da pura curiosità e un narcisistico bisogno di essere il migliore in ciò che fa: il mangaka. Oltretutto, alla fine di ogni storia non avviene quasi mai un ribaltamento della situazione iniziale; non abbiamo un nemico sconfitto. Kishibe il più delle volte è uno spettatore passivo, che agisce solo in caso di pericolo. È per questo motivo che lo definiamo come un non-eroe, e non in senso dispregiativo. Araki è un fine storyteller, e qui la sua bravura sta proprio nel creare un personaggio del tutto in contrasto con la norma.

Così parlò Rohan Kishibe, un ottimo cocktail che si scola troppo in fretta

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Le quattro storie che compongono la serie hanno due punti di giunzione: il bar dove Kishibe incontra i propri interlocutori e la voce dello stesso. Entrambi i punti, convergono nella figura del protagonista, perché è lui il narratore di tali storie. È un narratore affidabile o no? è un interrogativo che si pongono anche gli altri personaggi, colpendo nell’orgoglio il mangaka. Non sappiamo se ciò che racconta sia veritiero o meno, eppure diamo per assodato che lo sia. In How i met your mother, per esempio, Ted non si dimostra un narratore affidabile, dimenticando vicissitudini e ingigantendone altre fino all’assurdo. Forse è proprio quello che fa Kishibe, ma a noi piace pensare che quelle strampalate avventure le abbia vissute davvero. Ed è proprio nell’assurdo che viaggia Così parlò Rohan Kishibe. Non c’è da stupirsi, Le bizzarre avventure di JoJo ci ha abituati alle situazioni più disparate. È il potere dell’immaginazione senza briglie, dove colori, urla e faccia deformate prendono vita.

Come dicevamo, Akari aggiunge un altro tassello al puzzle: l’horror. Suspense e mistero ben si amalgamano alla mitologia dell’autore, restituendo delle storie divertenti e a tratti davvero inquietanti. Oltretutto, essendo un OAV (un prodotto nato per l’home video) l’animazione quanto i disegni sono di una qualità leggermente superiore alla serie madre. Dettagli, costumi e ambientazione rendono saturo lo spazio d’azione dei personaggi. Ogni elemento ha un suo scopo: rendere peculiare il protagonista quanto chi interagisce con lui. Inoltre, la serie lavora sulle contrapposizioni. Di per sé Kishibe non è un personaggio spassoso, anzi si prende molto sul serio. Ciò che porta alla risata è il suo atteggiamento composto difronte a situazioni che non lo sono per niente. Ad aggiungere irriverenza sono le varie citazioni al mondo reale, tra cui l’Italia, luogo di una delle avventure. Insomma, Così parlò Rohan Kishibe è una piccola opera che si fa mangiare in un sol boccone, e al palato è un’esplosione di sapori e colori.

Regia - 4
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 4

3.8

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