The Drug King: recensione del biopic sudcoreano Netflix

Il nuovo originale Netflix ha gli occhi a mandorla, ecco la recensione del biopic The Drug King.

Netflix ha di recente aggiornato il suo catalogo con un nuovo originale. Stavolta è il turno di The Drug King, una produzione sudcoreana scritta e diretta da Woo Min-ho.

Il film è un biopic di Lee Doo-sam, un criminale coreano degli anni 70  che è riuscito dal nulla a diventare il re indiscusso dello spaccio di droga della Corea del Sud. Un film con una produzione importantissima, pensato e scritto rifacendosi allo stile hollywoodiano, ma con degli elementi assolutamente interessanti.
Nel cast troviamo il fuoriclasse Song Kang-Ho (Memories of a Murder, The Host e Snowpiercer), Jo Jung-suk, Bae Doona nei ruoli dei personaggi più importanti e Kym Dae-myung, Kim So-jin e Lee Hee-joon ad affiancarli. Il primo rilascio del film risale al 19 dicembre 2018.

The Drug King: l’ascesa di Lee Doo-Sam

The Drug King Cinematographe.it

Busan, Corea del Sud anni 70. Lee Doo-Sam (Kang-Ho) lavora per un gruppo criminale locale dedito allo spaccio di oro e di oggetti costosi fin quando una manovra governativa decide di gettare fumo negli occhi all’opinione pubblica effettuando degli arresti decisi a tavolino. In cambio della libertà il boss della banda consegna Doo-Sam, il quale viene torturato e sbattuto in carcere.

Qui inizia l’ascesa di Lee Doo-Sam, il quale, una volta uscito, decide di dedicarsi alla produzione e la distribuzione di ice, una delle droghe più in voga in quegli anni. La sua ascesa è veloce e prepotente e nel giro di qualche anno riesce a diventare uno dei boss più rispettati del Paese e uno degli uomini più ricchi d’Oriente.

Il percorso porterà Lee Doo-Sam a cambiare sempre di più, tant’è che da uomo devoto e dai sani principi arriva a tradire anche la moglie con la lobbista Kim Jung-A (Doona), una donna fine e intelligentissima, che finirà con il ricoprire un ruolo fondamentale per gli affari di Doo-Sam. Non tutti però sono sul suo libro paga e tra questi c’è il detective Kim In-Goo (Jung-suk), determinato più che mai ad incastrare il gangster e a fare piazza pulita di tutta la corruzione che il denaro dell’uomo ha seminato nel Paese.

The Drug King e le leggende di Hollywood

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Woo Min-ho, il regista del film, ha fatto dell’emulazione del cinema americano la sua poetica, sfornando pellicole come Inside Men e The Spies, ma forse stavolta ha alzato un po’ troppo l’asticella.

The Drug King strizza l’occhio allo stile “depalmiano” e niente meno che a Scarface e a Carlito’s Way, non tralasciando il cinema di Scorsese. E, se vogliamo dirla tutta, i riferimenti non disturbano, non c’è mai la sensazione di una parodia di quel tipo di cinema, c’è anzi un’appropriazione così totale da renderlo parte integrante della pellicola, e, di conseguenza, rendendola una bella contaminazione che sa di tributo.

Il film disegna bene la parabola del re della droga Lee Doo-Sam, creando un personaggio originale, interessante e assolutamente da cinema orientale. A livello tecnico siamo davanti ad un’opera di tutto rispetto, la regia è buona e ricercata, c’è un bell’accompagnamento sonoro e sicuramente la fotografia crea le giuste atmosfere per accompagnare la narrazione. Per non parlare della recitazione, la sola prova di Song Kang-ho è capace di magnetizzare l’attenzione dello spettatore.

Il re della droga è un personaggio interessante e originale

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Tutto molto bello, ma non siamo neanche lontanamente a livello dei film e dei registi citati ad inizio paragrafo. Il film non riesce mai a scrollarsi di dosso in maniera convincente il suo status di film minore e, nonostante sia un lavoro assolutamente apprezzabile, la sceneggiatura diventa man mano che passano i minuti una crepa troppo grande per non far affondare la nave.

Lo svolgimento dell’odissea di Lee Doo-Sam è tanto epica a tratti, quanto frettolosa, sbrigativa e poco incisiva in tantissimi altri passaggi. Questo delinea una certa confusione in Woo Min-ho, deficitario nella gestione della storia e dei personaggi, nonostante un minutaggio ampio. Un’occasione sprecata perché gli elementi c’erano tutti per creare veramente un classico del cinema sudcoreano.

Ci si è fermati a metà strada, troppo poco per non rammaricarsi.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 2.5
Recitazione - 3
Sonoro - 2
Emozione - 2

2.3

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