Raccolto amaro: recensione del film di George Mendeluk

Raccolto amaro racconta della vicenda quasi sconosciuta dell’Holomodor, ma lo stile ne fa emergere tutti i difetti

Raccolto amaro, in sala dal 18 luglio, racconta la storia di un giovane cresciuto nelle campagne ucraine durante gli sconvolgimenti politici degli anni Trenta. Yuri è un ragazzo dall’animo artistico nato in una famiglia di guerrieri cosacchi, che lotta per ottenere l’approvazione del nonno Ivan e del padre Yaroslav e per conquistare il cuore dell’amata Natalka. Yuri vedrà però la sua vita sconvolta per sempre dall’invasione dell’Armata Rossa e dalla successiva persecuzione della sua famiglia da parte del regime di Stalin.

La morte per fame: l’Holodomor

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Prima di parlare del film è doveroso fare delle premesse storiche per comprendere pienamente lo spirito in cui si muove la pellicola. Il totalitarismo sovietico, una delle grandi fucine di orrori del Novecento, ha nella sua memoria immani eventi tragici che per decenni sono stati negati, rimossi o semplicemente poco analizzati. Tra questi l’Holodomor che rappresenta, senz’altro, una delle più terribili e terrificanti pagine della storia moderna, non solo per la portata della tragedia, ma anche per i tratti disumani che la caratterizzarono. Rimane comunque forte la probabilità che la popolazione dei paesi occidentali e, in particolare quella italiana, non sia a conoscenza di cosa accadde veramente in Ucraina agli inizi degli anni ’30. Ecco quindi che la pellicola diventa la messa in luce di un fatto storico devastante. L’espressione ucraina moryty holodom significa ammazzare la gente affamandola fino alla morte: quella che si abbatté sul “granaio d’Europa” non fu certo una carestia naturale.

Nonostante quello che affermano molte fonti revisioniste di chiaro orientamento stalinista, dalla seconda metà degli anni ’20, morto Lenin, le milizie bolsceviche avevano cominciato per reprimere ulteriormente le velleità autonomistiche della popolazione ucraina, che al termine della Prima Guerra Mondiale aveva manifestato il desiderio di sottrarsi allo Zarismo, provando a salvaguardare le istanze democratiche e quei tratti specifici nazionali che lo stivale sovietico s’apprestava a reprimere brutalmente.

Inizia così la persecuzione degli intellettuali, fino agli arbitrari processi politici e all’eliminazione sistematica dei cosiddetti kulaki, contadini abbienti spogliati di tutte le loro proprietà, deportati poi in Siberia. Stalin aveva già programmato di assoggettare completamente quei floridi territori ucraini per rafforzare il gigante sovietico sia sul versante agricolo che attraverso progetti di espansione industriale. Stalin decise così di risolvere la questione nel modo più “veloce”.

Tra il 1932 e il 1933 i Bolscevichi imperversarono ovunque sequestrando alla popolazione qualsiasi bene, dai raccolti alle proprietà personali, fino alle pur minime quantità di cibo e arrivarono a giustiziare e a punire chiunque contravvenisse alle regole dello Stato. Storici ed esperti di questioni demografiche si dividono giusto sull’entità di tale moria, considerando che a causa delle direttive staliniane, tese a controllare eventuali fughe di notizie e a reprimere qualsiasi forma di dissenso, la stessa conta delle vittime si prefigura difficile. Tendenzialmente si oscilla tra un milione e mezzo di perdite umane nella stima effettuata da Wheatcroft e le iperboliche ricostruzioni di alcuni studiosi ucraini, intorno ai 10 milioni di morti in virtù di curve demografiche anomale e di decessi imputabili, in anni successivi, all’indebolimento fisico.

Raccolto amaro con il suo stile non incisivo delude le aspettative

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Dal 2008 l’Holomodor è riconosciuta ufficialmente come genocidio, e questa produzione anglo-canadese ne ripercorre gli eventi. La modalità della ricostruzione, nonostante sia la linfa vitale a cui attinge il film, ne risulta al contempo il problema. Il mélo sul dramma di un figlio di contadini e guerrieri ucraini, innamorato di una coetanea del villaggio e la tragedia di un popolo diventano episodi completamente slegati e non omogenei rispetto all’impianto filmico.

La distanza fra il racconto della vita nell’Ucraina pre-sovietica (un paradiso con tanto di cavalli in slow motion in un ambientazione bucolica) e il racconto della morte sotto gli invasori è la stessa che corre fra la bontà delle intenzioni e la rozzezza dei risultati. I meriti del film, realizzato per ricordare tale genocidio, non vanno oltre il valore testimoniale di base e l’accuratezza nel rievocare gli eventi, giacché l’impianto drammaturgico appare carente sotto molteplici punti di vista.

George Mendeluk, regista canadese nato in Germania che ha frequentato finora diversi generi, tra cinema e serie televisive, ha tentato qui di omaggiare le proprie origini ucraine affrescando la vita di un villaggio colpito negli anni ’30 dalla tragedia, senza riuscire però a dosare le emozioni nel modo giusto. Il prologo, incentrato sulla vita della pacifica ma orgogliosa comunità contadina, quando il potere sovietico non si era ancora insediato, e i protagonisti del racconto erano bambini, vorrebbe essere un omaggio alla bellezza delle tradizioni locali, ma eccedendo nel pittoresco finiscono per privilegiare la dimensione folclorica, con un tocco hollywoodiano-disneyano. Quando, poi, i Bolscevichi fanno irruzione nel villaggio e gli episodi più truci hanno luogo, l’impressione è che la narrazione sia costantemente sopra le righe. La stessa interpretazione degli attori è decisamente esagerata sul piano drammatico facendo cadere, o scadere, il tutto, in una dimensione standardizzata e banale. La denuncia dei crimini compiuti da Stalin, che compare in alcuni siparietti a Mosca, è raccontata anch’essa con uno stile che ricorda più uno sceneggiato televisivo che una dimensione cinematografica; invece di concedere il giusto risalto alla drammaticità degli eventi, ne crea esattamente l’effetto opposto.

Un vero peccato, considerando anche il cast di nomi validi: Terence Stamp, Samantha Barks fino al protagonista Max Irons, figlio di Jeremy Irons. Se da un punto di vista cinematografico Raccolto amaro appare ingessato e didascalico e non riesce a imporsi con la dovuta personalità, il consiglio resta comunque quello di confrontarsi con il film, anche solo per il potenziale divulgativo. Difatti la pagina di storia narrata merita l’essere conosciuta e approfondita, nella sua sconvolgente crudezza: “La fame continua a menar strage così imponente fra la popolazione, che resta del tutto inspiegabile come il Mondo rimanga indifferente di fronte a simile catastrofe…” la cosiddetta “morte per fame” di cui la pellicola racconta non trova, ancor oggi, posto sui libri di storia che negli anni è, colpevolmente, scivolata nell’oblio.

Regia - 2
Sceneggiatura  - 1
Fotografia - 1
Recitazione - 2
Sonoro - 2
Emozione - 1

1.5